“Dov’è finita Cosa Nostra?”: è la domanda reiterata più volte da Michele Santoro durante il lungo “Speciale mafia” condotto da Enrico Mentana andato in onda su La 7, con ospite Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, ucciso all’altezza del numero civico 21 di via d’Amelio a Palermo nella strage del 19 luglio 1992. Nuove verità (o versioni) sono emerse, recriminazioni e appelli (anche al Padreterno) sono stati fatti. Tutto parte dall'uscita del libro di Michele Santoro, “Nient'altro che la verità”, appena pubblicato da Marsilio, in cui parla l'uomo che dice di aver visto per l'ultima volta negli occhi Paolo Borsellino, Maurizio Avola. In studio anche Andrea Purgatori, giornalista, autore della trasmissione Atlantide su La7 e di varie inchieste sul Corriere della Sera, la più famosa delle quali fu quella che evidenziò tutte le incongruenze e i misteri del caso Ustica, l'aereo di linea Dc-9 colpito in volo nel 1980. E in collegamento Antonio Di Pietro, prima magistrato impegnato nell'inchiesta “Mani pulite”, poi uomo politico. Proviamo a ricostruire i passaggi più salienti della trasmissione. E a farci le principali domande che sono emerse. Domande che in molti casi aspettano ancora una risposta definitiva, o quantomeno provata. A volte, poi, la risposta non c’è proprio e ormai potrebbe essere troppo tardi per trovarla.
1) Dov’è finita Cosa Nostra?
“Cosa nostra – ha sottolineato Santoro – non è un’organizzazione qualunque criminale, è un’organizzazione molto particolare che ha avuto una statura politica e la capacità di influenzare gli eventi politici del nostro Paese. Inoltre aveva un enorme potere finanziario. Soltanto riguardo a Malta una sola famiglia di Cosa Nostra prevedeva un investimento di 1.500 miliardi di lire. Come può essere sparita nel nulla un’organizzazione così grande? E che forme deve aver assunto oggi? Teniamo conto che dal 1994 nel nostro Paese non ci sono più omicidi eclatanti, non ci sono stragi, non ci sono bombe. Uno potrebbe dire «è stata sconfitta», ma questa scelta avviene già nel 1994, quando fuori ci sono ancora tanti capi di Cosa Nostra che poi saranno arrestati. Come può essere sparita nel nulla, dove si è inabissata, come la stiamo cercando? Con gli strumenti con cui combattevamo la vecchia Cosa Nostra? Ma se abbiamo sempre la faccia rivolta all’indietro non capiamo che c’è una nuova organizzazione che si è mescolata al nuovo capitalismo, alla finanza globale, e vive là dentro, ed è difficile da stanare”.
Mentana: “E probabilmente non ha più bisogno di ministri, governi, assessori…”
Santoro: “Anche perché il Paese nostro in generale non ha più tanto bisogno di ministri, c’è giusto Draghi, ma sembra andare avanti da solo vista la qualità dei ministri che abbiamo”.
2) Perché dovremmo dare ascolto ad Avola?
“Siccome c’è questa figura ormai leggendaria di Matteo Messina Denaro – ha spiegato Santoro – mi sono messo a studiarlo. Scopro che c’è un signore che si chiama Maurizio Avola il quale dice che insieme a Matteo Messina Denaro ha ucciso il giudice Scopelliti. Allora dico «andiamo a conoscerlo». Comincia con lui una sorta di inseguimento con una persona che ha confessato di aver ucciso 80 persone. Non è un pentito ma ha rotto con il suo passato, non usufruisce di protezione, è fuori, libero. A un certo punto dice «Io sono l’ultima persona che ha visto Borsellino negli occhi»”. Per Santoro “nessuno poteva immaginare che Avola fosse anche sul teatro della strage di via D’Amelio”.
3) I servizi segreti erano coinviolti nella strage di via D'Amelio?
Tra le rivelazioni di Avola, tutte da verificare e approfondire, c’è il fatto che in via D’Amelio, a differenza di quanto riferito da Spatuzza, non ci sarebbe stato alcun uomo dei servizi segreti: “La persona che il pentito Spatuzza ha visto e credeva dei servizi segreti – si sente nell’intervista di Santoro ad Avola – ero io o era Ercolano. Non c’era nessuno dei servizi segreti. Posso dire con certezza che c’era solo Cosa Nostra lì. Boss e killer. La macchina [una 126 rubata, scelta probabilmente perché piccola e comune] è stata preparata da me e da altre due persone. C’erano detonatori elettronici che si usano direttamente con il plastico (non serve la batteria). C’era solo t4. E non era il quantitativo che dicevano loro. Perché se io [di panetti] ne ho messi 12-14, davanti ce ne vanno altri trenta, non di più. Una sessantina di chili di esplosivo in tutto. Già era posteggiata lì [sotto casa della madre di Borsellino]. Nel primo pomeriggio di sabato la 126 già era carica e pronta all’uso”.
4) Perché è stato ucciso Borsellino?
Di Pietro: “Per quel che ho vissuto direttamente sono convinto che Borsellino è stato ucciso non solo e non tanto per quel che aveva fatto, ma per quel che aveva programmato di fare. Borsellino sia prima che dopo la morte di Falcone mi ha detto chiaramente che voleva coinvolgermi in un coordinamento di indagini che non c’è stato perché è stato ammazzato”. Sempre Di Pietro: “Un magistrato che fa il suo dovere come l’ha fatto Borsellino può essere fermato solo in due modi: o con una bomba o da un altro magistrato”.
5) Davvero i colleghi di Borsellino hanno “permesso” la sua uccisione?
Per Fiammetta Borsellino è il caso di soffermarsi “su eventi sui quali non si vuole guardare, una serie di eventi che hanno caratterizzato gli ultimi due mesi di vita di mio due padre all’interno della Procura retta da Pietro Giammanco. Elementi che all’avviso della nostra famiglia dovevano dare adito a sviluppi investigativi soprattutto nei primi dieci anni, che sono quelli cruciali, ma volutamente si è voluto guardare altrove. Io paradossalmente oggi sono meno interessata a quella che è stata la mano armata, perché molti elementi sono stati sviscerati. Uno che era presente materialmente in via D’Amelio sinceramente io l’ho visto anche negli occhi, perché ci ho fatto un colloquio, ed è Giuseppe Graviano, e questa è una cosa accertata perché lo dice Spatuzza. Io mi concentro sugli elementi dell’anomala accelerazione della strage di via D’Amelio. Secondo me questi elementi vanno ricercati nelle parole di mio padre […]: «Sarà la mafia a uccidermi, ma lo farà quando i miei colleghi lo permetteranno». Questa cosa che io dico è abbastanza grave, perché mio padre era una persona rispettosissima dei colleghi, ma bisogna capire perché mio padre fece delle affermazioni così gravi e così perentorie in quel momento.
6) Perché i pm Russo e Camassa dicono solo nel 2009 che Borsellino aveva parlato di Procura come di un nido di vipere?
Fiammetta Borsellino: “I pm Russo e Camassa ahimé ci vengono a dire soltanto nel 2009 che a metà giugno [1992] trovano mio padre nel suo ufficio in uno stato di assoluta prostrazione e mio padre parla della Procura come di un nido di vipere e parla soprattutto di un amico che li ha traditi. Bisogna capire cosa successe alla Procura di Palermo in quel periodo. Un tema cruciale perché si è volutamente guardato altrove”.
7) Perché l'allora capo della Procura palermitana Pietro Giammanco non informò Borsellino dell'arrivo del tritolo?
Fiammetta Borsellino: Una delle domande più importanti che bisogna farsi è perché Pietro Giammanco, allora capo della Procura, non informò mio padre dell’arrivo del tritolo? E come mai non lo fece nemmeno Sambrunna, capo dei Ros, il reparto operativo speciale dei Carabinieri, di cui mio padre si fidava ciecamente? L’informativa sull’arrivo del tritolo è datata 19 giugno. Mio padre apprende dell’arrivo del tritolo solo per caso dopo un incontro all’aeroporto con l’onorevole Salvo Andò il 28 giugno. Il 29 giugno mio padre litiga con Giammanco dicendogli apertamente che la sua condotta era stato irresponsabile e imperdonabile. Queste domande le dovevano fare a Giammanco i magistrati che hanno indagato nei primi dieci anni, se non ci hanno neanche provato, ci possiamo fare queste domande fino alla fine della nostra vita. Le Procure non l’hanno chiesto ai diretti interessati. È una cosa gravissima, hanno aspettato che le persone fossero morte. Inutile farsi queste domande trent’anni dopo.
8) Trattativa Stato-mafia: è stata messa la parola fine?
Fiammetta Borsellino: “Nella sentenza della trattativa si dice una vera e propria menzogna. Sentenza non definitiva perché siamo ancora al secondo grado di appello. In questa sentenza si dice che mio padre fosse addirittura disinteressato al dossier mafia appalti o che addirittura non lo conoscesse. Il padre di questo dossier era stato Falcone. Ma mio padre questo dossier lo conosceva benissimo e ne parlò in riunione a tutti i suoi sostituti. Perché tutta questa reticenza e tutta questa fretta nell’archiviare il dossier appalti? Nessuno della Procura ha mai ritenuto di dover sentire Giammanco per quanto riguarda le indagini sulla strage di via D’Amelio. Qui non sono io che devo fare le indagini, c’è una Procura incaricata di farle, le ha fatte male, ha sbagliato”.
9) Cos’è riuscito (e cosa non è riuscito) a scoprire Di Pietro sulle tangenti Enimont?
“I fatti di cui parla Fiammetta Borsellino – ha detto Di Pietro – li ho denunciati personalmente al Copasir e alla Procura di Milano nel 1995-96. Il Copasir disse «siccome sta scadendo la legislatura, nella prossima legislatura ne parleremo». Io sto ancora aspettando. Io più volte ho avuto modo di parlare con Paolo Borsellino, ai funerali di Falcone ma anche al Ministero di grazia e giustizia. Tra maggio-giugno-luglio del 1992 a Milano avevamo scoperto tante imprese del nord che riferivano di aver pagato tangenti dappertutto, ma non riferivano di quel che accadeva in Sicilia. Proprio il giorno dei funerali di Falcone Borsellino mi disse due cose: primo, dobbiamo trovare il sistema e secondo, dobbiamo fare presto. Si riferiva alla necessità che io potessi dare una collaborazione a lui per legare il terzo anello del rapporto appalti-politica. Noi al nord avevamo scoperto il rapporto politica-affari ma in realtà nel novembre 1992 io scoprii quel che Borsellino sapeva già, che in Sicilia c’era il terzo anello, l’imprenditore locale di collegamento tra il sistema imprenditoriale e il sistema politico e le imprese locali. Con riferimento all’inchiesta Enimont, [la maxitangente] che era di 150 miliardi di lire, ho scoperto poco più della metà di quelli che erano i destinatari. L’altra metà me la doveva dire quel giorno, quella mattina, Gardini”.
10) Gardini si è suicidato oppure...?
Di Pietro: “La mattina alle 8 mi ha telefonato il suo avvocato dicendo «stiamo arrivando». L’accordo che avevo fatto con Gardini, chiamatela trattativa se volete ma l’ho fatto per lo Stato, era che lui arrivava da me con le sue gambe nonostante avesse il mandato di cattura e io lo avrei mandato fuori con le sue gambe se m’avesse detto chi erano i destinatari degli altri 70 circa miliardi di lire [Enimont]. Gardini quella mattina quello mi doveva dire, e già io sapevo quello che mi doveva dire, però purtroppo lui quella mattina per un gesto di orgoglio o chissà per quale altro motivo si è suicidato e non sappiamo a chi andarono a quei soldi. Ho cercato di intercettarli e ho trovato solo una cosa: che quei soldi sono transitati attraverso lo Ior e una parte dei quali sono finiti a Salvo Lima. Altri posso immaginarli, posso saperlo ma non posso provarlo. Borsellino queste cose le sapeva a menadito”.
11) Perché si volevano colpire anche personalità mediatiche?
Santoro: “Cosa Nostra comincia a pensare «Com’è possibile che un comunista come Santoro faccia una trasmissione sulla Rai contro la mafia?». Addirittura porto Pippo Baudo, il quale chiede interventi severi contro la mafia, che non si sia troppo rispettosi nemmeno delle norme garantistiche. Secondo Avola, il giorno dopo che Baudo dice quelle cose nella nostra trasmissione [nella quale c’è anche Maurizio Costanzo] decidono di ammazzarlo. Prima non avevo coscienza di questa cosa. Pensavo che l’attentato alla sua villa (l’hanno spianata a zero a dire il vero), fosse solo un attentato intimidatorio, per dire non ti impicciare. In realtà lo salva soltanto Santapaola, perché Riina, Aldo Ercolano e Avola sono pronti ad ammazzarlo. Ma vi rendete conto? L’uomo più popolare della televisione italiana. In quella trasmissione ci sono Falcone, Costanzo (che subisce un attentato) e Pippo Baudo, tre attentati”.
Purgatori: “E in quella trasmissione citano anche i fratelli Salvo e Lima, che vengono ammazzati tutti e tre”.
12) Perché Cosa Nostra rompe con il sistema politico dell’epoca?
Santoro: “Non avevamo capito che Cosa Nostra con quel sistema politico rompe proprio perché pensa che opportunisticamente ha tirato Falcone dentro per salvarsi il culo, diciamolo in maniera che ci possano capire tutti. Secondo Cosa Nostra chiamano Falcone nel palazzo perché sono screditati, per rifarsi un’immagine. Così Giulio Andreotti il presidente della Repubblica e Martelli potrà fare il presidente del Consiglio. Questo è il pensiero. Ma loro hanno già deciso e decretato che molte di quelle persone sono condannate a morte. Andreotti non lo condannano a morte perché condannano a morte Lima, ma Andreotti lo condannano a morte politicamente parlando perché gli impediscono di diventare presidente della Repubblica”.
13) È vero che a un certo punto la mafia voleva ammazzare Di Pietro?
Di Pietro: “Sì, confermo che fui avvisato, per tempo, che c’era questo progetto nei miei confronti ed è vero anche che nel mio caso lo Stato ha reagito molto efficacemente, perché mi ha permesso di dare passaporti di copertura a mia moglie e ai miei figli, che mandati in Costa Rica e negli Stati Uniti, mentre io mi misi in una casa isolata con ai quattro angoli h24 le forze di polizia con le telecamere collegate direttamente alla questura”.
14) Di quali complicità gode Cosa Nostra?
Santoro: “La mafia ha rapporti con la massoneria, sono informatissimi su quello che sta succedendo. Avola ci aiuta a capire. Sono dalla parte di Fiammetta nel denunciare queste complicità, ma non sono così organiche, non vanno in un piano per il quale la sera si siedono tutti assieme e decidono «adesso ammazziamo Borsellino». Questa decisione la prende Cosa Nostra e ammazza Scopelliti perché Falcone vuole che Scopelliti svolga il ruolo dell’accusa nel maxiprocesso, quindi loro ammazzano Scopelliti perché loro vogliono in qualche maniera arrivare a una attenuazione delle condanne portate avanti dal maxiprocesso. In appello ci erano riusciti, non loro, ma naturalmente si erano annullati una serie di ergastoli”.
15) C’è un grande vecchio dietro a tutto?
Santoro: “No, il grande vecchio non c’è. Ci sono tante complicità, ci sono tantissime mancanze e deficienze sul piano investigativo, ma potrebbe essere successo per tanti motivi, perché i magistrati vogliono fare carriera. C’erano tanti soggetti che agivano sulla scacchiera, con interessi loro, con interessi loschi alcune volte. Questo Caso Nostra lo capisce, agisce e fa politica a modo suo, con le armi, con le bombe. Cosa Nostra si convince a questo punto che lo Stato è debole e quindi colpiamo ancora, colpiamo ancora, colpiamo ancora perché li pieghiamo, facciamo andare in crisi il sistema e cerchiamo dei nuovi interlocutori. Che li comandano? No, perché Cosa Nostra non si fa comandare dalla politica, però ci parla con la politica, ci dialoga, trova la politica più favorevole, quindi favorisce l’ascesa al potere di una forza politica che secondo loro sarebbe stata migliore”.
16) Quando parliamo di Cosa Nostra, di chi parliamo?
Santoro: “Di Totò Riina che nel 1991 decide la strategia delle stragi. Prima Riina conquista le provincie e mette suoi uomini di fiducia e questo lavoro lo fa anche negli Stati Uniti, perché John Gotti ammazza Paul Castellano. Quindi Riina controlla sia le province siciliane sia Cosa Nostra americana. Quello che dice Avola è che loro non erano in grado di far funzionare i telecomandi a via D’Amelio e Capaci esattamente, e viene un uomo dagli Stati Uniti, mandato da John Gotti, a insegnare come far funzionare i telecomandi”.
17) Esiste la fantomatica agenda rossa di Borsellino?
Santoro: “Avola dice che Borsellino è arrivato in via D’Amelio prima di tutti, violando i protocolli, perché con lui c’erano poliziotti nuovi che non sapevano la strada e lui si scoccia. Scende e lascia la porta della macchina aperta. Se avesse avuto dentro qualcosa di così prezioso lo avrebbe lasciato a disposizione di persone che conosceva a malapena? Dopodiché è “ovvio” che i documenti spariscono, che la cassaforte viene violata, perché anche solo trovare scritta una delle frasi riferite dalla moglie Agnese avrebbe causato un terremoto.
18) Perché c'è stato un depistaggio pesante con Scarantino (ritenuto un falso pentito indotto a mentire da funzionari dello Stato, in particolare, a suo dire, da Arnaldo La Barbera)?
Santoro: “Non lo sappiamo”.
Mentana: “Di certo un risultato è stato ottenuto, allungare di anni e anni le indagini”.
Santoro: “E i Graviano sono usciti”.
Fiammetta Borsellino: “Si sbriciolano le prove, muoiono i testimoni. L’agenda rossa è simbolica dell’inquinamento probatorio che c’è stato immediatamente anche nel lasciare aperto a chiunque il teatro di una strage”.
Santoro e Purgatori: “Anche una frase, anche una parola sarebbero state importanti”.
19) Chi era veramente Arnaldo La Barbera e perché avrebbe depistato le indagini su via D’Amelio?
Purgatori: “La Barbera è stato capo della squadra mobile, questore di Palermo ed è certamente l’uomo che ha costruito questo depistaggio, non da solo, ma assieme anche ad alcuni agenti della cosiddetta squadra Falcone-Borsellino che si occupavano delle stragi. Ci sono decine di pagine di testimonianze di tanti pentiti che raccontano che lui era a libro paga di Cosa Nostra, sta nelle ordinanze di rinvio a giudizio di alcuni omicidi. Poi si è scoperto che aveva un doppio ruolo: era in polizia ma era anche un uomo dei servizi segreti, del Sisde, aveva anche un nome in codice. Non stiamo parlando di un funzionario, per quanto alto, che voleva risolvere in fretta il caso della strage. Era un uomo che lavorava per più partiti”.
Mentana: “C’era una doppiezza insita nel suo ruolo”.
20) Chi o cosa potrebbe favorire l’emergere della verità?
Di Pietro: “Sono convinto che se Città del Vaticano rispondesse oggi a che fine hanno fatto quei 70 miliardi di lire che ancora stiamo cercando della vicenda Enimont e che riguardavano appunto anche soldi che erano finiti al sistema mafioso siciliano forse qualcosa si potrebbe scoprire, ma ci vorrebbe il Padreterno”.
Santoro: “Se interviene il Padreterno forse ci fa capire pure com’è andata con l’Ambrosiano”.
Di Pietro: “Una discovery si potrebbe fare, visto che adesso è tutto prescritto. Chiediamo a Città del Vaticano”.