Diciamola piatta: arrestare i 7 brigatisti (diventati 9 con i due che si sono costituiti) è stata un'operazione inutile. Buona per i media, buona per rassenerare un po' i parenti delle vittime, buona per i manettari anche se di giorni di galera questi brigatisti non ne faranno nemmeno mezzo, buona per Draghi che fa sentire ancora una volta il suo peso specifico in Europa, e buona soprattutto per Macron, che accontenta così la parte destra del suo elettorato, tra l'altro il giorno dopo che 20 ex generali si sono schierati contro di lui per difendere la Francia dall'invasione islamica (20 ex generali, lo ripeto, perché ai più sfugge l'importanza che può avere il fatto che in un Paese democratico 20 ex generali si mettono contro il Comandante in Capo). Buona per loro ma inutile nella sostanza, o così rischia di diventare.
Innanzitutto l'unico brigatista che non è stato arrestato, Maurizio Di Marzio, 62 anni, condannato a 15 anni di carcere, di cui 5 ancora da scontare, la prescrizione potrebbe arrivare il 10 maggio: un po' di pazienza, insomma, e tutto passerà. Quelli che invece si sono consegnati di loro sponte, Luigi Bergamin e Raffaele Ventura, non sembrano averlo fatto per spirito di giustizia. Ma solo perché l'estradizione non è per niente una cosa automatica. Mi spiego meglio: non è che questi qui sono stati presi, messi su un aereo e portati in Italia per finire in carcere o ai domiciliari. L'estradizione sarà stabilita da un tribunale francese, i processi cominceranno il 5 maggio, si vaglieranno le condizioni di salute, le condanne ricevute in Italia, la storia personale. A ogni tappa della procedura sarà possibile esercitare ricorso, fino al Consiglio di Stato. Ci vorranno due, forse tre anni. E costituirsi era il modo più convincente per far capire ai giudici la loro presunta affidabilità.
Intanto tutti quanti sono stati messi in libertà vigilata dalla Corte di Apello, dopo aver risposto di no, con i loro capelli bianchi, i volti scavati dal tempo, i loro atteggiamenti da pensionati molto diversi dalle foto in bianco e nero e dai reati che hanno commesso, alla domanda "accetta l'estradizione verso l'Italia?". I giudici hanno così deciso che i nove ex terroristi possono aspettare a casa loro l'esito del processo, dopo aver consegnato i documenti di identità al tribunale di Parigi e firmato il divieto di lasciare il territorio francese e l'obbligo di presentarsi regolarmente al commissariato o alla sede della gendarmeria più vicina al proprio domicilio. Ma al di là della cronaca, ci sono i dolori, le notti insonne, le adolescenze passate senza un padre, le prime comunioni e i compleanni con la tristezza dentro, glli anniversari pesanti come macigni. Dei figli, delle figlie, delle madri, delle mogli. C'è un sentimento di ingiustizia e, perché no, di vendetta, da parte di chi ha sofferto. Legittimi entrambi. Puri e non macchiati dalle stronzate ideologiche che hanno lasciato per terra troppi padri di famiglia e uomini che tenevano solo al lavoro che facevano.
Oggi sul Corriere Ambra Minervini, figlia del giudice Girolamo, ucciso a Roma dalle Br nel 1980, lancia la scommessa: «Ci giochiamo un caffè che i nove terroristi non aspetteranno l'estradizione ma scapperanno ancora come hanno già fatto per 40 anni? Così la Francia ci ha fatto contenti e ci ha canzonati di nuovo». La cosa più intelligente l'ha detta Mario Calabresi ieri sera a Piazza Pulita. Mario Calabresi, ex direttore de La Stampa e di Repubblica, è rimasto orfano di padre a due anni. Suo padre era il commissario Luigi, ucciso da un plotone di Lotta Continua, omicidio per il quale sono stati condannati Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, uno degli arrestati in Francia. Calabresi ha detto: «Poco importa che dei quasi ottantenni finiscano in prigione, importa che dicano la verità». Chi erano i mandanti, come si svolti i fatti, chi veramente - al di là delle verità processuali - ha sparato, ucciso, ordinato.
Resta infine il tema del perdono. Sempre Ambra Minervini: «Non sono cattolica, ma non posso perdonare chi ha avuto la pretesa di sostituirsi a Dio». Ed emettere sentenze di morte. Gemma Calabresi, mamma di Mario e moglie di Luigi, è stata intervistata da Mario stesso. «Dopo l'omicidio è stata dura, siamo andati ad abitare a casa dei nonni, mi sono messa a insegnare religione alla scuola elementare e insegnando ai bambini avevo la sensazione quasi di tradirli. Perché gli insegnavo il perdono ma io in realtà non avevo perdonato perché il perdono non lo dai con la testa, lo dai solo col cuore e quindi non puoi prenderti in giro». In mezzo c'è stato il tempo. «Io volevo arrivare a pregare per loro e ora riesco a farlo. Ogni giorno nelle mie preghiere prego perché abbiano la pace nel cuore. Questa cosa mi dà serenità, gioia e ci tengo a dire che il perdono non è una debolezza, ma una forza, ti fa volare alto». Insomma, nonostante gli arresti, questa storia è tutt'altro che chiusa. E l'impressione è che si chiuderà solo con il perdono, se qualcuno si sentirà di concederglielo, o con la verità, semmai qualcuno - prima o poi - si sentirà davvero di raccontarla.