Oggi è il giorno della morte di De André e questo dovrebbe essere il giorno dei bombaroli di spirito degli anarchici di chi non si allinea di chi si ubriaca e le spara grosse e nonostante questo resta più lucido di quelli che crediamo essere lucidi di chi mette la propria creatività davanti a tutti delle puttane e dei puttanieri che si vendono o pagano pere con il proprio cuore. Di chi, come ha scritto Vasco Rossi nel suo ultimo post, prova a superare continuamente i pregiudizi e i falsi moralismi. Dei disadattati, disperati fuori ma anche soltanto dentro. Dei fragili. Due sono le canzoni di De André che mi tornano in mente, spesso, per non dire sempre. Amico Fragile è una di queste. De André va a una festa borghese, donne vestite bene e maschi col drink in mano, gente da prima fila insomma, gli chiedono una canzone con la chitarra, ma mica è giullare da festa, ancora sta facendo fatica a farsi capire, a emergere e poi c’è Dori Ghezzi da qualche parte nel mondo là fuori e lui vorrebbe essere con lei e invece è costretto a una serie di convenevoli di cui non gliene frega niente e allora beve, si ubriaca e canta una canzone sconcia, da far vergognare quei benpensanti e così se ne va, torna a casa da solo, evapora in una nuvola rossa e butta giù Amico Fragile. Contro quei salotti, quei drink, quelle convenienze, e scrive: «Perché già dalla prima trincea, ero molto più curioso di voi»
Potevo stuzzicare i pantaloni della sconosciuta
Fino a vederle spalancarsi la bocca
Potevo chiedere ad uno qualunque dei miei figli
Di parlare ancora male e ad alta voce di me
...
E mai che mi sia venuto in mente
Di essere più ubriaco di voi
Di essere molto più ubriaco di voi
La seconda è Bombarolo. Questa riflette il periodo in cui è stata pubblicata, primi anni Settanta, delle prime bombe, dell’anarchismo che tanto amo e amo in De André. È attuale. Sentite qua: «Qui chi non terrorizza, si ammala di terrore. C'è chi aspetta la pioggia, per non piangere da solo, io sono d'un altro avviso... Son bombarolo». Guardiamo i dati Covid giorno dopo giorno, passiamo le cene e le telefonate a terrorizzarci a vicenda, i virologi li conosciamo per nome e i negazionisti pure. In Bombarolo diceva:
Intellettuali d'oggi
Idioti di domani
Ridatemi il cervello
Che basta alle mie mani
De André faceva parte della buona società, e questo è chiaro, una buona società dai buoni modi che gli andava stretta, ma a cui - volente o nolente - era costretto. C'è chi gliene ha fatto una colpa per questo, e per questo non lo ha mai preso seriamente in considerazione. C'è chi ha detto: facile fare i comunisti con i soldi in tasca. Ma non bisogna nascere o restare per forza ai margini per essere credibile. Non c'è niente di più sbagliato che provare a inquadrare chi per disperazione tenta una slancio verso la libertà. Dobbiamo molto a Fabrizio De André, anche se non lo ascoltiamo più, anche se capita ancora qualche volta di scendere a compromessi. Ne dobbiamo molto soprattutto quando non ci sentiamo a nostro agio, perché è lì, nel disagio, che uno come lui ci ricorda che dobbiamo trovare il coraggio di dire e fare ciò che ci pare, anche se andiamo in direzione ostinata e contraria al pensiero più comune e meno pericoloso. Sì, viva De André, sempre.