Oggi è un giorno del cazzo. Perché non me lo scordo l’incidente di Sepang, il mio urlo, mio figlio Orlando nato da pochi mesi che sussulta nella culla, il testone di babbo Paolo che va da una parte all’altra mentre cammina fuori dalla sala medica e la faccia e le lacrime e i capelli sconvolti e le parole di Paolo Beltramo alla telecamera di Italia Uno: “Marco non ce l’ha fatta, Marco è morto”. Oggi è un giorno del cazzo perché oggi, di nove anni fa, moriva Marco Simoncelli.
L’ho intervistato tre volte in due anni, il Sic. Era nato un rapporto di confidenza. E mi manca. Mi manca come sportivo innanzitutto. Avrei goduto - e tanto - a vederlo in pista ancora e ancora, a lottare sicuramente per il mondiale di MotoGP, sarebbe stato uno spettacolo vederlo contro Marquez, con lui si sarebbe beccato di sicuro, e uno spettacolo seguirlo su Instagram. In una di queste interviste per Riders gli abbiamo cambiato pettinatura, lo abbiamo fatto punk, coi capelli lisci e pure calvo. Un giorno di trucco e parrucco e le foto di Max&Douglas. Un servizio così incredibile forse è irripetibile. Mi reputo fortunato a essere stato lì, con lui (qua il backstage).
Ogni tanto me le rileggo, quelle interviste. Ma oggi no, non lo faccio. Vado di memoria. Se mi sbaglio, pazienza. Che si fotta, pure la memoria. Mi ricordo - e ci penso spesso - che mi raccontò che ogni tanto dormiva ancora coi genitori e insieme a sua sorella faceva a gara a chi riusciva a scendere prima dal letto. Mi ricordo che aveva la macchina piena di bottiglie di acqua vuote e quando gli chiesi “bevi tanto?” lui rispose: no, è che non butto mai le bottiglie.
Mi ricordo che gli chiesi una battuta sul suo amico Valentino Rossi e lui ci pensò e a fine intervista me la disse: “Ho scoperto che il gossip con la Canalis non era vero e non c’era stato a letto nemmeno una volta. Ecco: ci sono rimasto male, male sul serio”. Mi ricordo che c’era chi lo aveva chiamato “somaro da 80 chili” e lui aveva risposto vincendo la 250. Mi ricordo una frase: “La mia famiglia mi ha insegnato che l’onestà viene ripagata sempre. Di essere riconoscente verso chi ti ha aiutato quando nessuno lo faceva. Che nessuno ti regala niente e che se vuoi una cosa devi essere tu il primo a crederci”.
Quando penso a Marco mi sale una malinconia fottuta. Penso spesso a lui, al padre, alla madre, alla sorella, alla sua fidanzata Kate. L’ultima volta che li ho visti non li ho potuti abbracciare. Maledetto Covid. Penso al vuoto che si portano dentro, dietro, intorno e davanti che non potrò mai capire, che posso solo immaginare perché se ce l’ho io il vuoto figuriamoci loro, il vuoto come quello delle bottiglie che aveva in macchina. Un vuoto che, però, loro sono riusciti a riempire con energia, una Fondazione che porta il suo nome e che aiuta i bambini in difficoltà, un museo, una squadra corse, con una quotidianità vissuta con amore e gli occhi meravigliosi e accesi, di Rossella, la madre. E a me, che ho una malinconia fottuta, l’unica parola che mi viene da dire è: peccato.
Perché quello che ci ha dato Marco è tantissimo, ma è tantissimo anche quello che ci siamo persi. Questo è sicuro. Come è sicuro che Marco ci manca. Oggi è un giorno del cazzo. Ma grazie ai ricordi, a ciò e a ciò che da nove anni ci resta e ci motiva, è anche un giorno bellissimo. Vi consiglio di guardare il Tedx tenuto dalla sua fidanzata storica Kate. Conoscere Marco, una sera a Riccione, gli ha stravolto la vita. Il suo intervento si chiude così: "Fate quello che vi fa star bene perché alla fine è lì che trovate il vostro senso". È proprio così.
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