Tra le magie del motorsport ce ne è una speciale: le imprese dei piloti sono facilmente riconducibili a momenti di quotidiano trascorso. Forse è così anche per gli altri sport, ma le corse prevedono un coinvolgimento che sembra sintonizzare l’attenzione di chi corre (in moto o in auto)m dovendo cogliere ogni dettaglio, e di chi guarda, che, quindi, contestualizza in maniera più efficace. Migliore.
L’ha ricordato a ognuno di noi Giorgio Terruzzi, osservando con le sue solite parole dirette, risparmiate e calibrate, che tutti, ma proprio tutti, si ricordano dov’erano e cosa stavano facendo quando è morto Ayrton Senna. Il ricordo, la morte che fa ricordare. Probabilmente la vita non fa ricordare con la stessa potenza. Anzi, non ce la fa di sicuro, ma sarebbe bello. Ecco perché noi di MOW abbiamo deciso che Marco Simoncelli lo ricorderemo oggi, non il prossimo 23 ottobre. Forse lo faremo anche quel giorno, sarà inevitabile, ma il nostro ricordo ufficiale di Marco Simoncelli è oggi. Perché vorremmo scrivere di ricordi di vita che ci fanno ricordare. E' meno potente, ma anche meno doloroso. E oggi è uno di quei giorni che forniscono, appunto, l’appiglio giusto.
Perché il 19 ottobre di 12 anni fa Marco Simoncelli si è laureato campione del mondo. Le sue lunghe braccia - quelle che mai e poi mai (a detta dei soliti profeti di futuro) gli avrebbero permesso di farsi valere come pilota – si sono aperte dopo il traguardo di Sepang, tagliato in terza posizione. Niente più casco, capelli al vento e lacrime. Di gioia però. Su quella stessa pista che tre anni dopo ce ne avrebbe fatte versare ben altre. Il passaggio al muretto, con i suoi uomini che avevano preparato quel cartello “T’an are’ vent e’ mundiel Callaghan”, quel volo d’angelo sulla piccola moto che sembrava sovrastata dal suo fisico grosso e sgraziato, gli abbracci, compreso quello con Valentino Rossi sceso per lui sull’asfalto di Sepang. In una parola sola: vita! E’ quella che vogliamo celebrare, è quella che vogliamo ricordare. Oggi, proprio oggi, magari provando pure a chiedervi: dove eravate quando il SIC ha regalato un altro mondiale all’Italia dei motori?
Perché è vero, ha ragione Giorgio Terruzzi, tutti probabilmente ci ricordiamo dove eravamo e cosa stavamo facendo quando se ne è andato Ayrton Senna. E tutti probabilmente ci ricordiamo dove eravamo e cosa stavamo facendo quando abbiamo visto andarsene Marco Simoncelli, o quando abbiamo saputo che se ne era andato. Però magari la chiave per non esaltare sempre la tristezza, nella vita e nel motorsport (che poi sono pure la stessa cosa), è imparare ad essere presenti quando a vincere è la vita, quando a bagnare gli eventi sono le lacrime della gioia piuttosto che quelle del dolore. Quando, insomma, si riesce a godere di ciò che accade, piuttosto che a provare caldissima tenerezza per ciò che non accadrà più. “Velocità perfetta, figlio mio, vuol dire solo esserci, essere là” – scrisse Richard Bach in quello che non provo vergogna a definire l’unico vero e credibile Testo Sacro dell’uomo moderno. Ma che c’entra il Gabbiano Jonathan Livingstone con Marco Simonelli?
C’entra perché è il mio ricordo di quel giorno: le braccia di Marco Simoncelli aperte dopo il traguardo di Sepang hanno evocato proprio il gabbiano. Così, pronto a salire al livello successivo, ma capace di godere fino in fondo di quel momento lì, di esserci non solo per averlo voluto perseguire e agguantare, ma anche per celebrarlo. Il resto è scenario: il divano di una casa silenziosa a quell’ora del mattino, il freddo di quell’ora del mattino combattuto con una tazzina di caffè, la prima felpa trovata messa su senza sapere nemmeno se al contrario, e poi con le emozioni di quel ragazzo che poteva farcela. Fino alla voce di Guido Meda, che si preoccupava di dove fosse Bautista e all’esplosione: “Bautista sai che vede? Vede un campione che sta arrivando!”. Era il 19 ottobre del 2008. Il resto lo ha scritto proprio Richard Bach, tanti anni prima: “Egli imparò a volare, e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare. Scoprì che erano la noia e la paura e la rabbia a rendere così breve la vita di un gabbiano”. E poi ancora: “se superi il tempo e lo spazio, non vi sarà nient'altro che l'Adesso e il Qui, il Qui e l'Adesso. E non ti sa che, in questo Hic et Nunc, noi avremo occasione di vederci, eh, ogni tanto?”. Pensiamoci, oggi, nel ricordo di una gioia, e magari facciamolo davvero. Tra quattro giorni, al ricordo di un addio.
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