L'ultima immagine è la più potente. Un uomo vestito preciso, giacca e camicia bianca, con una ventiquattrore in mano e un'andatura claudicante che cammina sulla passerella della spiaggia e va incontro al mare. Un uomo solo, insicuro, verso l'ignoto. E poi i titoli di coda. Fabio Cantelli è il personaggio più intenso, a tratti inquietante, sicuramente profondo di SanPa. Selvaggia Lucarelli l'ha intervistato su Il Fatto Quotidiano, così come qualche giorno prima aveva intervistato l'ideatore della docu serie Gianluca Neri per Tpi. Le due interviste più interessanti e rivelatorie su questa produzione di cui si parlerà a lungo. Perché aggiungono dettagli che sembrano quasi un continuo della docu serie.
Quella su Cantelli aggiunge sfumature sulla figura dei Moratti, finanziatori di Muccioli, che in questa vicenda appare circondata da misteri. Racconta: «Mio padre adottivo era un critico cinematografico del Giornale di Montanelli; Montanelli chiese a Gian Marco Moratti di incontrarmi. Andai nella sede della Saras, la società petrolifera di famiglia. Mi chiese: “Ma tu, i soldi per la roba, come li tiri su?”. Il fatto che avesse utilizzato il termine “roba” mi fece capire che conosceva il nostro gergo. Mi entusiasmai». Continua: «Gian Marco viveva con un profondo senso di colpa il fatto di essere così spropositatamente ricco. Voleva restituire qualcosa. Sulla fascinazione che lui e Letizia provavano per Muccioli la mia idea è che fossero ammaliati dall’esuberanza vitale di Vincenzo». Cantelli aggiunge dettagli anche su Muccioli stesso: «Aveva degli occhi che trapassavano l’aria. Lui mi fece una radiografia e disse: “Se vieni, devi stare qui almeno due anni. E poi io ti farò studiare”». Capiva le persone, e sostituiva un mondo con un altro, ossia una passione/debolezza - l'eroina - con un'altra passione/debolezza, nel suo caso lo studio (perché una passione è anche una debolezza e una debolezza, spesso, può diventare una passione). Cantelli è scrittore, è filosofo, anche da San Patrignano è scappato ma Muccioli è andato a riprenderlo: «So che i cultori del diritto inorridiranno ma se non avessi trovato una persona col coraggio di commettere un sequestro, non penso sarei vivo».
Gianluca Neri invece aggiunge un aspetto che nella serie non viene trattato, lo strupro: «Un’altra cosa che mi è dispiaciuto non mettere nel documentario è un passaggio dell’intervista al figlio di Paolo Villaggio, in cui lui a un certo punto dice: “Avevo un capogruppo che la notte entrava nelle camerate, ne sceglieva sempre una e la violentava"». E poi c'è il figlio, Andrea Muccioli, oggi sul Corriere della Sera: «Mio padre in 17 anni ha accolto 8mila persone». Come a dire: la storia, la verità, non può essere tutta in una raccolta parziale di interviste. Andrea pone l'accento sull'umanità: «Mio padre ha commesso errori da uomo», come quando non denunciò subito l'omicidio commesso nel reparto macelleria. «Era in corso il processo per le catene, dal quale fu poi assolto. Aveva paura che su San Patrignano si abbattesse un colpo letale». La sua amarezza più grande? Quando San Patrignano è passata definitivamente di mano e lui e sua madre sono andati a prendere le spoglie di Vincenzo Muccioli, seppellite lì, per portarle via: «Un dolore enorme». Perché qualcosa era finito. Qualcosa che ha mischiato il bene e il male in modo inestricabile.
Quello che resta attaccato è che l'eroina, come dice Don Winslow in Il Cartello, è Dio. E solo un altro Dio può sostituirla. Quello che resta attaccato è che Muccioli si sentiva onnipotente, e quando è così chi è che decide il bene e il male? Dio è Dio. Dio è anche malvagio, solo Dio conosce la verità, ma un umano non può essere Dio, non lo era tantomeno Vincenzo Muccioli. E tra gli umani la verità non esiste quasi mai. Cantelli chiude proprio in questo modo l'intervista alla Lucarelli: «È come una tragedia di Shakespeare: c’è l’amore, c’è il potere, la morte, la vendetta, tutto l’umano». E gli umani - questo è un fatto - hanno bisogno delle dipendenze. Muccioli, alla fine, per chi lo ha incontrato è stato né più né meno che una dipendenza. Ha assunto il ruolo di padre-Dio e i suoi figli eroinomani hanno sublimato in lui la dipendenza. C'è un passaggio nell'intervista a Neri che è fondamentale: «In tutti i reduci di San Patrignano c’è una sorta di paranoia che qualcuno li stia spiando». Sappiamo che i tossici, anche quando sono puliti, restano tossici. Chi ha conosciuto Muccioli e San Patrignano, anche se se n'è allontanato, ha Muccioli e San Patrignano dentro di sé. Può essere messo in dubbio il modello educativo autoritario e patriarcale che in Italia ci portiamo dietro tuttora e che in lui trova l'estremo, ma dobbiamo tenere presente che SanPa e Muccioli - in quegli anni - si sono posti al di là del bene e del male. Dove i confini tra questi due aspetti sono saltati e dove la legge dello stato o il giudizio nostro non possono arrivare fino in fondo, perché il giudizio non può che restare qualcosa di intimo, interiore. E basta. Un giudizio da tenere dentro di sé, in una valigetta, mentre si cammina incerti verso il mare.