Piero Villaggio è il figlio di Paolo Villaggio, quello che il senso comune identifica – per comodità e in parte per affetto – con il personaggio cinematografico di Fantozzi. Piero ha passato a San Patrignano 3 anni della sua vita, dal 1984 al 1987: la sua tossicodipendenza andava avanti da molto, e precedenti tentativi di disintossicazione – tra cliniche svizzere e statunitensi – non avevano dato alcun esito. Anche per questo non ha nessuna difficoltà a dire che senza quel luogo – senza accettare quello che allora era e imponeva – sarebbe “probabilmente morto”.
È di certo l’interlocutore ideale, Piero, per parlare della docuserie Netflix in uscita oggi, SanPa: luci e tenebre di San Patrignano. Lo è anche perché in quel progetto lui era stato coinvolto attivamente in un primo momento, quando una troupe gli chiese di partecipare al documentario con “un ruolo centrale”, ma senza fornire ulteriori specifiche e lasciando poi inevase le sue richieste di certezze, di “tutele” anche di fronte a un lavoro di montaggio che, per sua natura, può finire per raccontare “tutto e il contrario di tutto”.
Ma anche senza prenderne parte, è innegabile il ruolo attivo e costruttivo di Piero nella realtà e nella circostanza storica che la serie – strutturata in cinque puntate di più o meno un’ora ciascuna – si propone di raccontare. Sono frangenti che lui stesso ha descritto tra le pagine di Non mi sono fatto mancare niente (Mondadori, 2016), dopo decenni di rielaborazioni e scioglimenti. Il padre, Paolo Villaggio, lo si associa spesso a San Patrignano ricordandone la sua testimonianza a favore di Vincenzo Muccioli, nel processo che vedeva quest’ultimo accusato di violenze, maltrattamenti e sequestro di persona. Dopo una prima condanna, nel 1987 la Corte d'Appello lo assolse, così come fece anche la Cassazione a marzo del 1990, mettendo fine alla vicenda giudiziaria.
Muccioli è inevitabilmente al centro della serie, come è stato al centro della vita di Piero per diversi anni. Ma questo non ne condiziona del tutto le opinioni, che focalizzano una figura “con delle ombre”, ma molto difficile da spiegare senza analizzare i contesti e soprattutto i perché.
Hai sentito della docuserie Netflix su San Patrignano, SanPa?
Sì, ma devo dirti che tempo fa, molto tempo fa, venne una troupe a casa mia perché voleva fare questa cosa su San Patrignano, mi chiesero se mi andava di partecipare e io risposi che dipendeva da come era strutturata, ma in linea di massima diedi il mio accordo. Poi è successo quello che è successo e io non ho più sentito nessuno…
Ti avevano chiesto di rilasciare una testimonianza da inserire nella serie?
Sì, mi dissero che erano su questo progetto e mi chiesero se mi interessava prenderne parte, anche partecipando attivamente alla cosa. Io risposi che per me andava bene in linea di massima, ma chiesi maggiore chiarezza su quali erano i loro obiettivi e quale poteva essere il mio apporto al prodotto. Nel frattempo, ne parlai con il mio avvocato, e lui mi disse che fare tutto così, al buio, era rischioso. Perché dare un assenso incondizionato, senza mettere alcun paletto, dà la possibilità a chiunque di dire qualsiasi cosa, e forse non è proprio giustissimo. Feci queste osservazioni anche con loro, ovvero dissi che per me andava bene ma era necessario conoscere gli argomenti, perché in qualche modo dovevo tutelarmi vista anche la vicenda abbastanza delicata in oggetto; parliamo di un periodo della mia vita molto particolare, e non chiedevo soldi né benefici di nessun tipo, solo un po’ più di certezze. Gli dissi tutto questo quando mancavano 48 ore all’inizio delle riprese, e alla mia richiesta loro non si sono fatti più sentire.
Ora come te la aspetti la serie? Credi sia possibile restituire davvero l’essenza di quel luogo in un prodotto cinematografico?
È molto difficile far capire San Patrignano a uno che non ci è mai stato, quindi devi essere davvero bravo per riuscire a farlo. Per dire di più dovrei vederla, mentre per quanto riguarda la mia idea di San Patrignano… è un’idea che adesso non esiste più. Io ci sono entrato nell’84, per uscirne poi nel 1987: era molto diversa da com’è adesso. Negli anni seguenti, specialmente i primi, tornavo spesso a salutare e a far visita a Vincenzo Muccioli. Poi ci sono andato sempre meno, ma so che è cambiata moltissimo, in tante cose. Prima di tutto nell’aspetto diciamo logistico: ai miei tempi c’erano polvere d’estate e fango d’inverno; non c’erano strade, non c’era nulla. Ora è molto meno, passami il termine, “casalinga”. Allora, va detto, c’era Vincenzo (Muccioli, ndr), e di fatto si occupava di tutto lui, con i pro e contro che questa cosa si trascinava. Da questo punto di vista, non c’era tanto dialogo: se ti stava bene era quello, sennò niente. E io chiaramente ho accettato, altrimenti non sarei qua, probabilmente sarei morto.
Stamattina rileggevo l’ormai storico pezzo di Natalia Aspesi che riporta l’accorata testimonianza di tuo padre, Paolo Villaggio, a favore di Vincenzo Muccioli nel processo che vedeva quest’ultimo accusato di violenze e maltrattamenti. Adesso, a distanza di più di trent’anni, che opinione hai della figura di Muccioli? Una figura di cui molto spesso, anche nella stessa serie Netflix, se ne sottolineano le contraddizioni, le ombre.
Vissuta da dentro qualche ombra emergeva, ma bisogna chiarire bene cosa si voglia intendere per ombra. Di certo Muccioli era una persona particolare, con un grandissimo carisma, che a mio avviso – e sottolineo a mio avviso – aveva un comportamento alcune volte discutibile. Io sono stato accolto in un posto senza pagare mai una lira, neanche spese mediche… nulla. Ero stato in tante cliniche, in tanti posti senza mai riuscire a risolvere niente. Resta molto difficile riassumere i tratti di una figura simile… di certo parliamo di un uomo di grande personalità, che a mio vedere a volte aveva qualche lacuna, l’aspetto un po’ violento forse per me era eccessivo, perché uno schiaffone può andare bene, ma massacrare una persona di botte forse anche no. Ma si tratta di contesti molto particolari, difficili da spiegare e capire senza esserci dentro, senza analizzare i perché. Io con lui ne parlavo, e mi confermava che forse sì, non era bello, non era corretto. Ma quello che poi cercava di spiegarmi era che con “voi tossici”, specialmente quando fuori di testa e assolutamente decisi a fare una determinata cosa (molto spesso farsi e basta), o si fa in questo modo o niente. Lui incuteva timore, perché era tra l’altro una persona fisicamente enorme, con questo vocione. Mio padre andò al processo com’era giusto che fosse, perché dopo quello stesso processo e diverse storie e vicissitudini ad esso legate fu molto rivalutata la sua figura. Addirittura, poi, come spesso succede, molti politici si affrettarono a salire sul carro del vincitore: si passò rapidamente da una persona che picchiava la gente e la metteva in catene a un santo… ecco… io credo che la verità stia sempre un po’ nel mezzo.
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