Lungo dialogo con Piero Ferrari, il figlio del leggendario Enzo – fondatore del marchio – pubblicato dal Sole 24Ore. Un pranzo al Cavallino, il ristorante di Maranello recentemente rinnovato e guidato dallo chef Massimo Bottura, dove al giornalista Paolo Bricco ha ricordato il suo ingresso nell’azienda di famiglia, alcuni aneddoti curiosi legati al padre, il suo impegno in azienda e di come valuta la transizione ecologica in corso. Classe 1945, una figlia (Antonella) e due nipoti (Enzo e Piero), ha ereditato il 10% del capitale della società, di cui è vicepresidente e amministratore non esecutivo, mentre da imprenditore ha investito in una serie di aziende, come il 12% del gruppo di nautica Ferretti e il 40% della società di ingegneria Hpe-Coxa di Modena.
Piero ha lavorato per la Ferrari e ha spiegato in quali ruoli: “Mi sono sempre occupato dell’organizzazione degli acquisti nella scuderia. Ricordo con soddisfazione quando, su suggerimento di Villeneuve, fummo i primi a collocare il cambio con le palette al volante prima sulle monoposto e poi sulle gran turismo. La versione iniziale non convinceva Jacques, io lo portai all’ufficio tecnico dal progettista, alla fine mettemmo i pulsanti da schiacciare con l’indice e il medio dietro alla razza del volante”. Un lavoro che, però, almeno inizialmente è stato osteggiato da Enzo Ferrari, mentre era supportato dalla nonna paterna: “Mio padre non voleva che io entrassi in azienda. Lei, invece, era favorevole. Mia nonna Adalgisa morì nell’ottobre del 1965. Io, come una intera generazione di imprenditori e di figli di imprenditori, mi ero diplomato all’Istituto tecnico Fermo Corni di Modena. Nel suo testamento mia nonna lasciò scritto, fra le sue ultime volontà, che io dovevo entrare in Ferrari. Il 1° novembre 1965 fu il mio primo giorno di lavoro. Mio padre non voleva che si pensasse a favoritismi. Per questo, ogni volta che mi assegnavano un incarico, ricevevo non più dello stipendio base previsto per quella funzione. Era un uomo duro. Ma non mi ha mai sopraffatto. Venire a mangiare qui con lui tutti i giorni, da soli o con gli altri, era un modo per legittimarmi in azienda e per manifestarmi affetto in privato. Lui era mio padre. Io ero, e sono, suo figlio”. Curioso, poi, il suo primo giorno di lavoro: “Mentre beviamo il caffè mio padre mi assegnò un compito: riordinare i documenti della cosiddetta stanza degli errori. Era una sala che custodiva cambi, leve, valvole, molle e bielle che si erano rotte durante le gare. C’era anche il mozzo della ruota che si era spaccato l’unica volta in cui la Ferrari, nel 1956, aveva corso a Indianapolis, con una macchina guidata da Alberto Ascari”.
Infine, Piero Ferrari ha spiegato come sta vivendo il momento di profonda trasformazione che coinvolge tutto il mondo dell’automotive: “La transizione energetica non è univoca. Le grandi aree geografiche, come gli Stati Uniti, l’Europa e la Cina, seguono linee soltanto in parte sovrapponibili. In generale esistono l’elettrico, l’idrogeno, il nucleare, il biofuel. La Ferrari ha una ibrida, la SF90 Stradale. Nel 2025 uscirà la Ferrari elettrica, la prima senza il rombo Ferrari nel motore. La nostra società storicamente si è adattata molto bene ai mutamenti regolamentari. Cito sempre il caso americano: negli anni 70 gli Stati Uniti espressero a livello federale normative anti-inquinamento che, in California, ebbero una versione più stringente. Noi ci attenemmo allo standard californiano. Anche questo ci ha permesso, nei decenni successivi, di trasformare gli Stati Uniti nel nostro primo mercato». E ha concluso: “Riguarda anche la Motor Valley dell’Emilia-Romagna. Conosco bene le nostre imprese della meccanica e della componentistica. In molte hanno iniziato a operare con l’elettrico e con l’ibrido. Non sarà facile. Ma ho una visione realisticamente ottimista”.