Finalmente si ritorna in presenza, anche il mondo del lavoro è in fermento. Si torna nelle aziende, si abbandonano i vari Zoom e ci si rilancia in questo splendido futuro utilizzando come sprone motivazionale i titoli di Repubblica. Dopo qualche giro di mail in copia e conoscenza, quarantacinque messaggi Whatsapp e quattro chiamate di conferma. Eccomi tornare nel magico mondo della comunicazione nell’episodio uno della prima stagione post Covid: “La riunione di lavoro in presenza”.
In un batter d’occhio, mi ritrovo in una di quelle riunioni dove il Creed si mescola all’odore di nicotina tostata, quelle riunioni dove tutti hanno il Mac e sul tavolo di design le donne appoggiano la Chanel e i managerini rampanti sfoderano la moleskine dallo zaino Piquadro – che mi hanno regalato per il master – . “Acqua o caffè?” ti chiede una giovane (e piuttosto figa) segretaria. Vorrei rispondere: “Un gin tonic”, ma l’innato senso commerciale abbinato al senso di colpa cattolico mi esortano a richiedere una sana e pura acqua naturale. Mi concedo una variante di carattere: “temperatura ambiente, se possibile…”
Inizia la riunione. Non so bene quale sia stato il percorso astrale che mi ha condotto in una di quelle poche aziende rimaste in Italia dove vedi dipendenti vagare nei corridoi e la macchinetta per il badge cadenzare le vite degli esseri umani. Non sto leggendo l'ultimo libro del brillante Fabio Volo, nemmeno un publiredazionale sulla ripresa del Sole 24 Ore: è realtà.
Dopo una sana verifica del green pass, mi trovo al meeting in qualità di consulente esterno, superprecario con un contratto di una manciata di ore (ottimamente retribuite devo ammettere) per integrare la macrostrategia di comunicazione di una nota azienda che non posso citare per problemi di privacy, patti di non concorrenza, ’sti cazzi e Gdpr… Insomma, tutte cose alle quali si può risalire tranquillamente facendo qualche query su Google.
Apre il capo. Ha un bel curriculum, fa palestra quanto basta e snocciola subito quattro concetti chiave sul senso del meeting. Il resto della riunione lo passa con lo sguardo fisso sullo smartphone elargendo like su Instagram e probabilmente chattando con una bella figa: non certo la moglie. Insomma, il brainstorming parte con evidenti difficoltà poiché i membri del gruppo non portano temi, piuttosto tengono a specificare cosa sono e quale è il loro senso nell’azienda. Tocca a me. Avevo preparato qualcosa prima della riunione ma all’istante decido di improvvisare e porto temi completamente distanti dalla linea logica che si stava per prospettare. Adoro questo giochino, lo faccio per fare un po’ incazzare gli astanti e solitamente mi riesce. Mi piace destabilizzare i gruppi, mi piace portare temi nuovi, utopie e visioni completamente distanti dall’oggetto. Dalla condizione di superprecario passo subito al mio Miglio verde professionale. Il capo del marketing cerca subito di sottolineare il fatto che di base il mio committente è lui, di contro gli faccio capire che al massimo tra un’ora io sarò fuori da quell’inferno che odora di Creed, entrerò nella nuova catena di kebab di Vacchi e mi proporrò come social media manager in cambio merce e da lì partirà la mia rivalsa. La responsabile delle risorse umane e l’amministratore delegato tra una chat e l’altra fanno capire che il mio progetto è molto interessante. Sono salvo, abbandono l’idea kebab seduta stante. Anche se la cosa si dimostra frustrante per tutti i partecipanti, cervelloni aziendali… esco dalla riunione tra gli sguardi felici di quelli che contano. Questo a me basta.
Il tempo di un’ora che avrò sentito almeno 450 parole in inglese intervallate da dita che fanno apici immaginari nel cielo. Solo per questo scempio dovrei essere pagato. Resto comunque felice del fatto di aver imparato una parola nuova della quale non avevo nessun bisogno: lovemark. Segue la lezioncina fatta dal “Capo”. Esistono brand che cercano di fare mercato restituendo ai consumatori una sorta di vissuto morboso, non discutibile, emozionale. Compro perché amo. Noi siamo un love brand. Aggiungerei come pay off: e ci siam bevuti il cervello.
Torno a casa pensando al fatto che forse sono io a non essere più adeguato o smaaart come un tempo, ma in queste tenebre ecco ad un tratto la luce. Simona Ventura su Instagram: “Brainstorming, Meeting, Scheduling, Balance, Coworking... Ormai nelle riunioni di lavoro non si capisce più niente. Un consiglio: ma parla come mangi!”. Aggiungerei… Prendetevi meno sul serio, che visti da fuori siete penosi.