Brahim Aoussaoui, l'attentatore di Nizza, è sbarcato a Lampedusa, da lì è andato su una nave di accoglienza a Bari e poi è scomparso, per riapparire in Francia ieri. E quando leggo o sento di qualcuno che dà tutta la colpa agli sbarchi mi viene da ridere. Perché far perdere le proprie tracce e scappare dall'Italia alla Francia è facilissimo. L'ho fatto pure io, fingendomi un tunisino a Ventimiglia. È successo dieci anni fa, l'ho fatto per un servizio poi pubblicato su Donna Moderna. Sono stato quasi una settimana al confine, proprio nei giorni di una delle tantissime emergenze di quel periodo, quando Salvini probabilmente era poco più di uno stagista nella Lega e in Italia c 'erano una situazione e una politica di immigrazione completamente diverse. Ma le storie, le storie di quei ragazzi erano le stesse di oggi. Insieme al fotografo Dario Orlandi mi ero confuso tra di loro, nelle sale di attesa della stazione di Ventimiglia, sugli autobus della Croce rossa, provando a entrare nei centri di accoglienza, sui treni che portavano in terra francese cercando di sfuggire ai controlli della gendarmerie. E tutti, tutti gli immigrati arrivavano da lì, Lampedusa. E tutti poi venivano smistati in qualche centro. E da lì tutti poi avevano lo stesso obiettivo: scappare. E quasi tutti, quasi tutti, mi hanno confermato quella che ho detto sopra: scappare è facilissimo. Facilissimo.
Nel 2010 erano tanti, troppi, meno di adesso, soprattutto in quei mesi. Mentre i controlli avevano dei limiti strutturali, come adesso. Lo scopo di quei ragazzi era varcare il confine e una volta lì farsi coprire da qualche parente, tentare di arrivare in Germania o nel Nord Europa con dei semplici autobus e raggiungere amici, cugini, fratelli, genitori e provare a rifarsi una vita. Mi sono infiltrato tra di loro e ho provato io, sulla mia pelle, a passare il confine in vari modi, senza documenti in tasca, uno zaino, un cambio e niente di più. E sì, è stato facilissimo. I primi giorni ho provato in macchina, da passaggi secondari, ma trovai immigrati che tornavano indietro: i controlli c'erano. Poi in autobus o in treno. Salivi, non pagavi il biglietto, ma alla prima stazione francese era difficile non essere individuato. La gendarmerie ci prendeva e ci portava in una stanza. Quando arrivava il mio turno i poliziotti mi chiedevano le generalità e capivano in un secondo che non ero tunisino. Dopo la seconda volta si incazzarono non capendo che ci facessi lì. Mi misero su un autobus e mi riportarono a Ventimiglia.
In uno di questi autobus ho conosciuto due ragazzi. Uno di loro stava cercando di contattare un parente proprio di Nizza. Legai con questo ragazzo che qualche sera dopo mi disse il suo piano: superare il confine nella maniera più semplice possibile. Dalla dogana. Una cazzata, no? Bastava andarci a piedi e qualche chilometro prima abbandonare la strada, scendere sugli scogli e passare dal mare. Molti venivano fermati ma c'era chi ce la faceva. Se ci andavi di notte fonda le probabilità aumentavano: meno poliziotti, meno luce. Così l'ho seguito. Insieme a lui c'erano altri quattro. E così abbiamo fatto. Quando abbiamo intravisto da lontano la dogana, abbiamo abbandonato la strada, siamo andati sui sassi in riva al mare e abbiamo strisciato fino in Francia. Nascondendoci tra gli scogli ed evitando i fari della polizia. Facile. Facilissimo. In tutto ci abbiamo messo due ore.
Di là ci aspettavano due auto, vecchie Peugeot o Citroen. Io salii in una, il fotografo in un'altra. Chi ci era venuto a prendere, un tunisino, doveva portarci alla stazione degli autobus di Nizza, ovviamente non passando dall'autostrada ma dalle strade interne. Mi ricordo che nelle strade interne, collinari, andava pianissimo. Era agitato, continuava a guardarsi intorno. Se lo fermavano per lui erano cazzi. MI spiegò che abitava in Francia da tre anni e che stava rischiando di essere rispedito a casa. Quando arrivammo a Nizza i ragazzi immigrati che erano lì si sarebbero divisi. Il mio contatto prese il primo autobus delle 5 di mattina direzione Germania. Chissà che fine ha fatto. Aveva una maglia del Lecce e una tuta consumata. Io da Nizza aspettai il primo treno e me ne tornai in Italia: zero controlli. Ormai avevo il servizio, avevamo le foto, avevamo dimostrato quanto fosse una cazzata scappare e superare i confini. Piccola nota di colore, quando chiamai il caporedattore, tutto fiero, e gli chiesi come gli era sembrato il servizio la sua risposta fu: mmmm insomma, le foto sono un po' scure. Ancora adesso mi viene da ridere. Ma come, avevo rischiato di farmi arrestare e lui bello tronfio da una scrivania mi diceva, masticando una gomma, che le foto erano scure? Be' sai, di notte, facendo qualcosa di illegale non è che potevamo usare il flash...
Così come mi viene da ridere ascoltando chi, adesso, si meraviglia che Brahim sia fuggito dall'Italia e sia stato ritrovato a Nizza dopo aver decapitato un sacrestano, una donna e ferito altra gente. Chi pensa di poter controllare i movimenti di queste migliaia di persone si illude. Dal momento che arrivano a Lampedusa questi sono ragazzi pronti a tutto, che uno di loro sia un terrorista non significa che lo sono tutti. Significa che lo era solo lui. Quelli con cui ho parlato io cercavano solo una possibilità. La situazione è decisamente più complessa di come la dipinge chi adesso si appiglia soltanto al fatto che questo qui era arrivato a Lampedusa. E grazie al cazzo, mi viene da dire. Arrivano tutti da lì e da lì, poi, trovare altre vie di fuga è sempre stato piuttosto facile. Facilissimo. Se pensate che il problema sia Lampedusa a fermarsi lì è soltanto la vostra mente.
(tutte le foto sono di Dario Orlandi)
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