In realtà, star qui a affermare che questo viaggio, il viaggio che mi vedrà arrivare proprio lì dove Douglas Adams se ne andava in giro vestito con un ingombrante costume da rinoceronte bianco, salvo poi scoprire che non si trattasse di rinoceronti bianchi, white, ma grandi, wade, ecco, star qui a affermare che questo viaggio, prima un safari in terra ferma, in Tanzania, volo da Milano a Dar Es Salaam con scalo a Parigi, Air France la compagnia, poi una decina di giorni a Zanzibar, sempre parte della Tanzania, ma ovviamente Zanzibar è un’isola, ecco, star qui a affermare che questo viaggio sia una sorta di citazione del viaggio di Douglas Adams, che a quanto mi risulta a Zanzibar non ci è poi andato, gli Aye-Aye li ha cercati dove vivono, nella non troppo distante Madagascar, ecco, star qui a affermare tutto questo sarebbe una menzogna. Perché questo viaggio, prima il safari a Selous, nella parte sud della Tanzania, i safari nella parte nord, quella vicino al Kilimajaro e alla zona del lago Vittoria è più impegnativo, sia sul fronte fisico, dei giorni di viaggio, sia sul fronte economico, di conseguenza, poi Zanzibar, sono un regalo che con mia moglie Marina abbiamo deciso di farci, a noi e ai nostri quattro figli, Lucia, ventitré anni, Tommaso, diciannove, maturato quest’anno, e Francesco e Chiara, quasi tredici, gemelli. Un regalo per il nostro venticinquesimo di matrimonio, data importante che meritava una qualche celebrazione importante, e un viaggio del genere, per tutta una serie di motivi, importante lo è. Non per la faccenda di Douglas Adams, confesso, che però mi è capitata sotto gli occhi proprio mentre iniziavamo a programmarlo, e si sa che noi scrittori siam fatti così, quando notiamo certi dettagli sono quelli a prendere tutta la nostra attenzione, almeno nel momento di allestire una narrazione. Ci sono viaggi che uno non può che favoleggiare tutta la vita. E non può che favoleggiarli perché non sono alla sua portata economica, indubbiamente, o perché troppi impegnativi da un punto di vista fisico, di difficile realizzazione per chi magari non abbia una determinata preparazione atletica, come scalare montagne, o perché richiedono troppo tempo per chi di tempo a disposizione ne ha un lasso determinato, le ferie dal lavoro, e non sto ovviamente parlando nello specifico di me, ma più di mia moglie, e anche dei miei figli, che studiano. Una sorta di paradosso, perché quando poi il tempo a disposizione è maggiore, una volta che il lavoro è archiviato alla voce “passato”, è il fisico a essere invecchiato, rendendo magari quei determinati viaggi impossibili per la questione di impegno fisico. Quindi uno si limita a vagheggiarli, sognarli, ipotizzarli ben sapendo che di ipotesi irrealizzabili si trattano. Quando poi si è parte di una famiglia numerosa, e due genitori con quattro figli sono indubbiamente una famiglia numerosa, non solo per una mera faccenda di calcolo, ma anche per la definizione che di famiglia numerosa dà lo stato, la faccenda si complica ulteriormente. Perché se è una bella cazzata quella di dire che dove si mangia in tre si mangia in quattro, discorso valido magari se vuoi star lì una sera a farti un piatto di pasta con qualcuno, ma che tutti i giorni prende un peso economico ben preciso, dove si mangia in sei si spende per sei, e con quattro figli tra i ventitré e i tredici anni, di cui due maschi, il mangiare per sei a volte rasenta quasi il mangiare per dieci, fidatevi, stesso discorso per il vestire e per tutto, andare al cinema in sei non è uguale che andare al cinema in tre, per dire, quando si tratta di viaggiare, e di viaggiare prendendo voli intercontinentali, e poi facendo safari, e quindi andando in un resort in una località turistica, beh, la questione diventa decisamente seria. Lo so, sto facendo un discorso scivoloso, da medio-borghese che evidentemente alla fine un viaggio del genere se lo è concesso, ma che sta qui a spiegare come in effetti sia qualcosa di particolarmente impegnativo. Il fatto è che io, adesso parlo di nuovo di me, come spesso capita, ho a lungo viaggiato per lavoro, e per viaggiato intendo proprio viaggiato, non volendo dire che per lavoro mi sono spostato da un posto a un altro, che so?, per fare una riunione, un meeting o quel che è. Scrivevo, parliamo di qualcosa che si è poi in parte fermato una decina di anni fa, per riviste di viaggi, quando ancora c’erano, e quindi mi pagavano per prendere, partire, andare da qualche parte, fare il viaggiatore, quindi, girare per quei luoghi guardando e vedendo, scriverne, poi tornare a casa e consegnare lunghi articoli, reportage, che poi finivano dentro quei magazine, a volte anche come pezzi di copertina. Ho cominciato esattamente venticinque anni fa, questa faccenda delle coincidenze mi sta prendendo la mano, scrivendo un reportage sui Monti Sibillini per Gente Viaggi, e da lì in poi è stato un crescendo, per anni, sempre a Gente Viaggi, arrivando a esserne prima firma. Poi, è ovvio, quando nel 2006 il magazine della allora Hachette ha chiuso i battenti, ho cominciato a farlo in maniera più sporadica per altri, Marie Claire, Viaggi e Sapori, Diario della Settimana, finché non ho smesso del tutto, con un finalone col botto dato da dodici libri scritti in dodici mesi su dodici città europee pubblicati da Laurana Editore, oggi particolarmente popolare per il grande successo di Ferrovie del Messico, il romanzo, una piccola collana autoconclusiva dal nome Europe per celebrare l’Unione Europea proprio in un momento in cui, a causa della crisi economica che aveva colpito la Grecia e sembrava dovesse contagiare un po’ tutti, sembrava la stessa Unione Europea dovesse venir meno. Da lì ci sono stati alcuni libri di viaggio, spot, uno su Londra, uno su Parigi, poi un diario abruzzese uscito sotto Covid, e recentemente il reportage Aiutiamoci a casa loro, prima uscito su MOW a puntate nell’estate del boom del turismo in Albania, la scorsa estate, quella del 2023, poi, nella versione estesa, sotto forma di libro.
Essere uno che di lavoro viaggia, ripeto, inteso esattamente come viaggiare per lavoro, essere pagati per viaggiare, fa sì che si guardi al mondo come un luogo decisamente più abbordabile, perché quando si viaggia per lavoro ci sono opportunità che altrimenti ci sarebbero negate, compresa la possibilità di andare a vedere posti che altrimenti sono inaccessibili, ma anche l’opportunità di fare viaggi inarrivabili sul fronte economico, tanto c’è qualcuno che finanzia e ti paga anche per poter finanziare. Così, in passato, mi sono ritrovato a passare un mese in Malesia, sulle orme di Sandokan, andando a vedere i luoghi che a distanza hanno ispirato Emilio Salgari, che notoriamente non si è mai mosso dall’Italia, lavorando di enciclopedia e soprattutto di fantasia, o un mese in auto in giro per gli Usa, lì era Springsteen a averci fornito le tappe, il ventennale del suo doppio album The River la scusa per muoversi, e via discorrendo. Viaggi che oggi non farei, perché sono invecchiato, certamente, perché nel mentre è cambiato il mercato e difficilmente qualcuno finanzierebbe viaggi così lunghi e complessi per un reportage, e perché nel mentre ho maturato l’idea che se devo fare certi viaggi voglio farli con la famiglia, e non da solo. Solo che farli in famiglia, qui stavo a mio modo arrivando, ha un impatto economico non irrilevante, specie se certi viaggi prevedono l’utilizzo di voli internazionali, di strutture che non siano appartamenti, come se poi gli appartamenti fossero gratis, di mezzi di trasporto come i taxi o i van, provateci voi a stare in sette dentro un taxi normale. Per dire, ma non è di soldi che mi interessa parlare, sia chiaro, noi siamo sei, solo fare i sei passaporti ha avuto un esborso di quasi ottocento euro, oltre la difficoltà intrinseca di prenotare il medesimo passaporto presso il sito della polizia, con una finestra alla Cinzia Leone ai tempi di Avanzi, dalle otto alle otto per prendere un posto, vai poi a sapere in quale sede milanese, noi cinque prenotazioni in posti diversi e giorni diversi. Anche i vaccini, ne parlerò poi, hanno un costo, e un costo che aumenta col numero delle persone che li fanno, mettiamo qualche altro centinaio di euro. Poi mettici i voli, mettici le prenotazioni delle escursioni, delle strutture presso le quali soggiorneremo. Ma per farla breve, anche solo comprare il repellente per le zanzare, nello specifico il potentissimo, ci hanno detto alla Asl di Milano, Jungle 4, per sei persone, otto confezioni, una a testa e due di scorta, pur su Amazon e quindi scontate del 5% sul prezzo di listino, e pur dilazionate nei mesi, ha un costo, così come i due flaconi di disinfettante per abiti, Bio Kill, nome quantomai evocativo, converrete. Anche comprare i medicinali per un qualche tampone d’emergenza, parlo di antibiotici a ampio specchio, creme cortisoniche, colliri, roba tipo Immodium, anche quello ha un costo. Costo che si moltiplica per sei, tanti siamo. Dove si viaggia in due si viaggia in sei, credo, non lo ha mai detto nessuno. E se lo ha fatto meriterebbe una punizione corporale di quelle esemplari. Che so? trovarsi da quelle parti senza Immodium, appunto. Ma lasciamo perdere i soldi, che non sono mai argomento interessante sul quale scrivere, e concentriamoci sui luoghi. La Tanzania. La Tanzania, nasce dall’unione della Tanganica, liberatasi dalla dominazione britannica, prima divenendo un reame del Commonwealth, nel 1961, poi una repubblica, l’anno successivo, e di Zanzibar, a lungo un Sultanato, poi protettorato britannico fino al 1963, Tanzania sarebbe quindi la crasi tra Tanganica e Zanzibar, ecco, e la Tanzania nasce ufficialmente nel 1964, per la precisione il 26 di aprile del 1964, e ovviamente non provo nessuna sorpresa nell’apprendere che sono passati giusto sessant’anni proprio quest’anno, le date tonde sembrano e continueranno a sembrare parte integrante di questo viaggio e di questo racconto. Si trova nella sua parte settentrionale, quella del Kilimajiaro e dei grandi laghi, a confinare con il Kenya, e poi, scendendo verso ovest, in ordine di apparizione con Rwanda, Burundi, Congo, Zambia, Malawi e Mozambico. La parte orientale, e stiamo appunto in Africa orientale, si affaccia sull’Oceano Indiano, l’isola di Zanzibar a poche miglia dalla costa di Dar Es Salaam. La parte settentrionale è toccata dall’Equatore, parecchio più giù si trova il Tropico del Capricorno. Fine della lezione di geografia. Quando si pensa ai safari, torniamo al nostro viaggio, si pensa in genere a questa parte dell’Africa, la parte sud del Kenya, la Tanzania, il Mozambico, volendo anche il Sud Africa. Zanzibar, invece, è una delle isole vicine alla costa più famose che ci siano in questo continente, in ottima compagnia con Madagascar, che si trova di fronte al Mozambico, lambita nella sua parte meridionale dal Tropico, e da Mauritius, all’incirca all’altezza della parte centrale di Madagascar, ma più distante dalla parte continentale, diciamo sotto le Seychelles.
A Mauritius ci sono andato due volte, la prima per lavoro, per scrivere un reportage per Gente Viaggi, la seconda per festeggiare il decennale di matrimonio, allora con i nostri due figli maggiori, Lucia e Tommaso, i gemelli non erano ancora nati. Un posto incantevole, Mauritius, con una flora imponente, un mare incredibilmente cristallino, ha anche la barriera corallina che la circonda, come una sorta di anello, una popolazione in stragrande maggioranza di provenienza indiana e questa faccenda dell’essere confusa con un arcipelago che da sempre la fa chiamare “le Mauritius” presso una utenza italiana. Quando c’ero andato per Gente Viaggi, credo nell’ultimo anno prima che chiudesse, nel 2006, avevo decisamente spinto sul mio modo di raccontare i luoghi secondo la prassi della psicogeografia, prassi cui in realtà non ero ancora a conoscenza ma esercitavo istintivamente. Andavo cioè in luoghi anche conosciuti, almeno per certe loro caratteristiche turistiche, e li raccontavo non tenendo conto appunto di nulla, andando alla deriva, spesso rifuggendo proprio i punti di forza per far emergere altro, storie e luoghi altrimenti poco conosciuti. Di Mauritius, per dire, non avevo raccontato il mare, scelta singolare che però aveva poi spinto il direttore, Silvestro Serra, a farne un pezzo di copertina. Mi ero molto appassionato di nomi, ricordo, e ricordo che ce n’erano di assai tragici, dal fiume della morte, vado a memoria, a Capo di sventura, passando per una malattia passata dalle zanzare, zanzare che però non mi era capitato mai di incontrare, dal momento che risiedevo in un resort di lusso, di quelli dove le coppie vanno in viaggio di nozze, io mestissimo ero lì da solo, il disinfettante sparato da idranti a tenerle lontane. La malattia, per la cronaca, sempre, si chiamava Chicunguya, e stava tipo per “uomo che si contorce per i forti dolori”, quando si dice essere precisi nelle indicazioni. Aver parlato nel pezzo di chicunkìguya, questo lo ricordo bene, aveva fatto molto incazzare l’ente del turismo mauriziano, che in qualche modo mi rinfacciava l’aver fatto emergere una criticità, ma io ero un reporter, non un promotore turistico. Comunque quel viaggio, passato in solitudine in un luogo dove tutti erano a divertirsi, iniziato con me dimenticato dalle guide nel resort per un intero giorno, l’indomani addirittura accompagnato dal Ministro del Turismo per poter accogliere le sue scuse personali, il presentarmi Miss Mauritius, una bellissima donna dalla carnagione singolarmente chiara e gli occhi azzurri, un po’ alla Sammy Barbot, un altrettanto singolare modo di provare a ingraziarmisi, viaggio finito con me e il mio accompagnatore inseguiti dalla polizia in autostrada mentre stavamo andando in aeroporto, lui che si era voluto fermare a compare il pesce per cena, la cena della sua famiglia, e si era poi reso conto di essere in clamoroso ritardo aveva corso troppo, e come nei film americani a un certo punto ci siamo trovati una macchina con sirena alle spalle, macchina che abbiamo seminato imboccando una uscita all’ultimo secondo, uscita che loro, troppo in accelerazione, non sono riusciti a prendere, a Mauritius non c’è il corrispettivo del nostro Aci, mi ha spiegato a suo modo quel pazzo criminale, quindi se la polizia non ti ferma non può poi risalire a te e arrestarti o farti una multa, viaggio poi terminato con la tipa che mi sedeva di fianco in aereo colta da attacchi di panico per tutto il viaggio, la hostess costretta a tenerle la mano mentre lei presagiva una imminente catastrofe aerea, il tutto mentre mio figlio Tommaso, a Milano, neanche due anni, era caduto dal letto sbattendo la testa, con mia moglie quindi in ospedale al mio arrivo a Malpensa, insomma, una brutta esperienza che, siccome ritenevo Mauritius un posto incredibile, nonostante i nomi sventurati, volevo in qualche modo cacciare via, di qui la scelta di tornarci con la famiglia, per festeggiare, lo diciamo sempre, io e mia moglie, una giornata passata all’Isola dei cervi una delle più indimenticabili della nostra vita, a riprova che a volte si fa bene a voler cacciare le brutte esperienze concedendosi una seconda chance. Ancora una volta mi trovo a parlare di altre occasioni, come il titolo del libro di Douglas Adams. Allora è vero che un po’ Douglas Adams con questo viaggio c’entra. È il momento di imbarcarsi, ci attende un’ora e mezzo di volo per Parigi, poi abbiamo un’ora e cinque minuti per prendere il volo per Dar Es Salaam, perché Air France ha anticipato la coincidenza di mezz’ora, costringendoci a un po’ d’ansia e indubbiamente una notevole fretta, ma di questo vi parlerò, per scaramanzia una volta arrivato, non è questo il momento. La nostra auto è in un parcheggio per lunghe soste a Cardano al Campo, abbiamo superato i controlli, imbarcato le valige, tenendo per noi gli zaini con su quel che ci servirà per il safari, una volta arrivati, l’hotel a Dar Es Salaam a neanche un chilometro dall’aeroporto ha predisposto una navetta che ci porterà lì, pronti a partire la mattina dopo con una jeep verso Selous. Ci si ribecca all’arrivo in Tanzania.