Da qualche parte tocca pur partire. Anche ben sapendo quale sarà poi il punto di arrivo. E ben sapendo, a volte mi capita di leggere le didascalie su Instagram che accompagnano foto prevalentemente di cu*i e tet*e, lì a dare al tutto un’aura buffa di filosofia, che il viaggio è il viaggio stesso, più della meta. Per cui partire parto da qui, da una piazza molto brutta, in un pomeriggio molto torrido, in quella che è la città che mi ha visto nascere, crescere e partire in esilio, stavolta partire e basta. La piazza porta un titolo importante, Sandro Pertini, il che non la rende più brutta di quanto non sia. Anzi, a dirla tutta, averla intitolata a Pertini e averla resa, poi, negli anni, un luogo sempre più brutto, sciatto, inaccogliente, lo si potrebbe leggere come l’inizio di quella deriva di destra che nel mentre si è palesata in zona, prima con la vittoria di Francesco Acquaroli alle regionali, Acquaroli da poco incoronato come il peggior governatore di regione nella classifica annuale del Sole 24 Ore, e poi del sindaco Silvetti, primo sindaco di centrodestra nella storia della città di cui sopra, Ancona. Perché Piazza Pertini, se mai il Sole 24 Ore decidesse di stilare anche una classifica delle migliori e peggiori piazze italiane, non potrebbe che occupare la medesima posizione di Acquaroli, il fanalino di coda, a contendergli la posizione piazza Ugo Bassi, sempre in città, brutta come poche, ma almeno con una sua singolarità architettonica, una forma asimmetrica che trova nella asimmetria dei palazzi che la cingono, tutti di altezze e forme diverse, anche colori diversi, quasi qualcosa di fascinoso, come certi personaggi almodovariani o certi quadri di Picasso, una fascinazione ovviamente involontaria. Trovarsi in piazza Pertini, in Ancona, in un torrido pomeriggio di metà agosto, quindi, sarebbe di per sé esperienza estrema, farlo per il motivo per cui lo sto facendo, a breve ovviamente ve ne renderò partecipi, forse lo è anche di più, ma indubbiamente starsene qui, cotti dalla calura, dall’umidità e dall’avere addosso un ingombrante costume da rinoceronte, costume sintetico, di un materiale che potrebbe essere ciniglia, ma che ciniglia non è, è qualcosa di quantomeno straniante, per me, ovviamente, ma anche per chi, presumibilmente per motivi apparentemente più seri e urgenti dei miei, si trova a transitare di qui. Mi trovo sotto l’ingombrante statua che porta il titolo di Mater Amabilis, opera dello scultore marchigiano, maceratese di nascita, anconetano d’azione, Valeriano Trubbiani, opera in acciaio e ottone, opera elaborata e realizzata tra il 1993 e il 1995, le date ovviamente non possono che avere un loro peso, qui come per tutto il resto di questo racconto. L’opera, imponente più che ingombrante, rappresenta due rinoceronti, madre e figliolo, sempre che si dica figliolo anche di un cucciolo di rinoceronte, che se ne stanno su una sorta di palafitta, il titolo Mater amabilis è abbastanza esplicativo a riguardo. Sul perché ci siano una coppia di rinoceronti in acciaio e ottone nel perimetro della più brutta piazza d’Italia, intitolata a Sandro Pertini, si potrebbe aprire dibattito, è un dato di fatto che Trubbiani, ripeto, maceratese di nascita, abbia poi deciso di passare la più parte della sua vita in Ancona, città dove ha trovato la morte nel 2020, e quindi direi che ospitare una delle sue opere più importanti sia un raro caso di profeta in patria cui guardare almeno con sorpresa benevolenza. Considerando che a Franco Scataglini, poeta insigne nato e vissuto nel Novecento, uno dei pochi scrittori locali riconosciuti a livello nazionale, un altro se non “l’altro” sono io, va sottolineato, si è visto appioppare, da morto, una via orribile come quella della zona industriale che si trova di fronte al centro commerciale un tempo noto come Joyland, e tuttora Joyland nell’immaginario comune, tutta piena di buche, senza numeri civici, brutta esteticamente, e inospitale da un punto di vista sociale, figuriamoci se con un minimo di afflato culturale, direi che a Trubbiani è andata decisamente meglio, tanto più che per anni è vissuto nella città che gli riconosceva il suo talento, anche qui, anomalia nell’anomalia. Di fatto in una piazza di rara bruttezza, su una sorta di piccola altura verde, la piazza è per il resto una sorta di lunga distesa bianca, accecante e ancor più torrida d’estate sotto il solleone, si trovano questi due rinoceronti. Sotto, intendendo sotto il pavimento della piazza, un parcheggio coperto, a cui accedere passando da via Palestro, una delle vie più inquinate in città, via San Martino la via che la costeggia dal lato opposto, lì dove un tempo si trovava il cinema Goldoni, oggi in parte divenuto location di negozi, il cinema è ancora accessibile dalla sovrastante via Montebello, via che poi diventa Torrioni, diretta verso Capodimonte.
Questa piazza, prima che la giunta Galeazzi decidesse di titolarla a Sandro Pertini era chiamata piazza Monina, lo dico così, a beneficio dei non autoctoni. Non certo facendo diretto riferimento al suo scrittore più noto, io, ai tempi ancora studente liceale, quanto a un mio zio, cugino buono di mio padre, sindaco per il partito Repubblicano subito dopo il terribile terremoto del 1972, sindaco per questo molto amato in Ancona. Abitando appunto all’inizio di via Torrioni, qui sopra, era uso passeggiare per la piazza, ancora di altra forma, al punto che, alla medesima maniera per cui i giardini pubblici di via Palestro di Milano sono divenuti ufficialmente i Giardini Indro Montanelli, visto che lui lì passava parte della giornata, scrivendo su una panchina, vicina a dove oggi si trova la nota statua, nota perché ogni due per tre qualcuno, legittimamente, ci butta contro vernice rosa o rossa, reo come è stato di aver avuto un rapporto pedofilo con una bambina africana, ai tempi in cui era militare, bambina che aveva presa in sposa, pensa te, molti pensavano la piazza in questione sarebbe stata dedicata a lui, Guido Monina, fatto poi archiviato a beneficio, si fa per dire, di un piccolo vicolo che si trova proprio di fronte al palazzo dove abitava, che da via Torrioni porta verso via Oberdan, dove si trovano le scuole Faiani. Evidentemente per essere profeti in patria, Guido Monina e Franco Scataglini insegnano, tocca essere almeno nati altrove. Del resto, è storia nota, nota almeno a chi è solito leggermi, sono anni e anni che chiedo all’amministrazione locale, di qualsiasi colore sia, di farmi dono della torre che sorge a Portonovo, alle falde del Monte Conero, ancora annessa al comune di Ancona, torre che in realtà appartiene alla famiglia De Bosis, e che gli eredi dei due scrittori, padre Adolfo, e soprattutto Lauro, suo figlio, hanno convertito a B&B, il tutto senza ottenere alcun risultato. La chiedo in quanto non solo scrittore locale più letto, parlo di numeri, ma anche in quanto scrittore locale più pubblicato, quota cento libri qui a portata di mano, e di conseguenza scrittore locale che più volte ha parlato di Ancona, una sorta di sdebitamento da parte della città che mi ha dato sì i natali, ma anche costretto a andarmene, ingrata come la terra cantata in quel canto tradizionale abruzzese. Ne prenderei possesso, certo non tornando a vivere qui, se non saltuariamente, la possibilità che io sia lì dentro, in vestaglia, come Marco Mengoni dentro quella brutta canzone di Mace con anche Frah Quintale che passa in radio questa estate, mentre qualcuno si trovi a transitare da quelle parti, unica contropartita del caso. In fondo a Lauro De Bosis, morto nel 1931 sul litorale tirrenico laziale mentre gettava, alla maniera dei futuristi e di D’Annunzio, volantini antifascisti, Ancona ha dedicato una via in pieno centro, nel quartiere limitrofo al Passetto, ma lui, anconetano di origini, è nato altrove, altro profeta non esattamente in patria. Star qui a invocare il dono di una torre un tempo di uno scrittore morto in un incidente aereo, in procinto di fare un volo in aereo piuttosto lungo è di per sé un gesto epico, ancor più che volare buttando volantini, sia messo agli atti, ognuno ha il coraggio che si ritrova. Di fatto mi trovo qui, in un torrido pomeriggio di metà agosto, in quella che credo prima o poi verrà riconosciuta come la piazza più brutta d’Italia, forse del mondo intero, al cospetto di due enormi statue in acciaio e ottone che rappresentano due rinoceronti, madre e figlio, a mia volta vestito da rinoceronte. Siamo nel 2024, io ho da poco fatto cinquantacinque anni, trenta dei quali passati a scrivere. Trenta esatti, non stavo approssimando. A scrivere pensando, prima, che questo sarebbe potuto diventare il mio mestiere, e lavorando poi con la scrittura, le prime cose che ho scritto pubblicate già a cavallo tra il 1997 e il 1998, un centinaio di libri e non saprei dire quante migliaia di articoli anche piuttosto lunghi, articoli che per vezzo mi diverto a chiamare pezzi, come fossi ancora un musicista e quelle il frutto di jam fatte con me stesso, quando ho iniziato a scrivere, nel 1994, ho iniziato perché avevo smesso di suonare, suonare pensando che quello prima o poi sarebbe potuto diventare il mio mestiere, una scelta che non ho mai rimpianto, neanche quando nel tempo mi sono trovato a pubblicare musica, o a vederla pubblicata interpretata da altri, la scrittura di parole su carta, fisica o virtuale, è indubbiamente il mio talento principale, poco conta che negli anni ci abbia messo a fianco il parlare, lo scrivere per radio e tv, teatro o cinema, resto sempre e prevalentemente uno scrittore. Il fatto che Franco Scataglini, ne parlavo prima, l’unico altro scrittore con una rilevanza nazionale, sia morto proprio una trentina di anni fa, a fine agosto del 1994, beh, è parte di quella serie di coincidenze, sovrapposizioni di date, luoghi, nomi, che, vedrete pagina dopo pagina, accompagna da sempre la mia vita e di conseguenza i miei scritti, sono sensibile a queste situazioni, non vedo perché dovrei evitare di metterlo in evidenza.
Per altro, quando nel 2012, in occasione della presentazione del mio libro Seppellite il mio cuore sul Monte Conero, alla Loggia dei Mercanti di Ancona, alla presenza di sindaco, assessori, presidente della provincia di Ancona e varie personalità locali, ivi compreso il Presidente del Parco del Conero, che moderava l’incontro, ho chiesto in dono la Torre di Portonovo, poi giuro di non tornarci più sopra, ho proprio evidenziato come ritenessi, lo ritenevo allora e lo ritengo ancora oggi, che a Scataglini avessero dedicato quella brutta e irrilevante via, suggerendo che quando mai toccherà a me di avere una via in città a me dedicata, facciano di meglio, spodestando magari il piemontese Cavour dalla piazza di fronte al Comune, o comunque affidando al mio nome una qualche via principale del centro. Il fatto che l’attuale sindaco sia stato a sua volta l’ultimo Presidente del Parco del Conero, che si sia sin da subito professato come un mio fan, e che mi abbia invitato a inaugurare l’Arena del Conero a Sirolo, Scataglini ha trovato la morte nella vicina Numana, occasione quella dell’inaugurazione nella quale mi sono trovato a ripetere per l’ennesima volta la richiesta ferma riguardo la Torre, non fa che ben pensare, seppur io rimanga disilluso verso la mia terra natale, assai più che rispetto a altri posti nel mondo. Disilluso e vestito con un costume da rinoceronte, in uno dei giorni più caldi del millennio, Bruce Sterling docet, sembra che ormai ogni giorno tenda a superare un record su cui la fiducia in chi certifica deve necessariamente essere cieca e assoluta, il bianco della piazza a rendere l’atmosfera accecante, oltre che torrida, la perplessità di qualche passante a fare da corredo. Ora, chiariamo che non sono vestito con un costume da rinoceronte perché me ne sto al cospetto di due rinoceronti in acciaio e ottone. Non sono solito muovermi così e per essere chiari, se mai dovesse capitarvi di vedermi vicino alla statua eretta a Cavour, a pochi passi da qui, in quella che in futuro sarà immagino e spero la piazza a me dedicata, un futuro mi auguro non troppo prossimo, o dovesse capitare di vedermi nei pressi della statua eretta a Indro Montanelli in quel dei giardini pubblici di Milano, non mi vedreste vestito come un uomo politico di fine Ottocento, occhialini tondi e basettoni a incorniciare il viso, né mi vedreste coperto di vernice fucsia, a meno che, per motivi che mi sfuggono, qualcuno non decida di versarmela addosso proprio mentre vi troviate a passare di lì. Sono vestito con un costume da rinoceronte, nonostante un caldo che, immagino, qualcuno potrebbe serenamente definire africano, qualcuno cui siano sfuggiti i cambiamenti climatici e le emergenze a questi dovute, per un motivo specifico, un motivo che affonda le sue radici sempre in quel lontano 1994, trent’anni fa proprio in questi giorni. Era infatti l’estate del 1994 quando Douglas Adams decise che andarsene in giro per la Tanzania, per la precisione dalle parti del Kilimanjiaro indossando un costume da rinoceronte assai più ingombrante di quello che al momento indosso io, fosse cosa non solo buona e giusta, ma addirittura sensata. Piccola deviazione sul percorso principale, non prima e neanche unica in queste pagine, quando dico “il costume che sto indossando al momento io”, sto mettendo in pratica un artificio letterario. Non sono in piazza Pertini, in Ancona, adesso. Non è rilevante se io sia o meno in Ancona, ma sicuramente non sto scrivendo in piazza Pertini, non sono vestito da rinoceronte mentre sto scrivendo e soprattutto non è affatto detto che io stia scrivendo tutto ciò in un’unica sessione di scrittura. Un artificio letterario, appunto. Del resto l’oggi di chi scrive, quello che diventa magicamente l’oggi di chi legge, specie se chi scrive utilizza una inclusivissima prima persona singolare, non possono giocoforza coincidere, perché non è una sessione di scrittura in pubblico, non so neanche se esista come forma letteraria, lo scrivere magari su un computer collegato a uno schermo, con i lettori che leggono in presa diretta, potrebbe anche essere un’idea da sviluppare, qualcosa di performativo vagamente alla Marina Abramovic, con gli errori corretti in diretta, magari su segnalazione del lettore, i ripensamenti che arrivano decisamente troppo tardi, cioè dopo che quel che si è deciso di cancellare è stato letto, insomma, un’idea. Io scrivo ora, e questo ora è un “ora” che si potrebbe essere dilatato nel corso di una giornata, volendo di più giornate, forse anche di anni, voi leggete ora, e quel vostro ora non coincide col mio, e a sua volta potrebbe essere dilatato nella medesima modalità, ognuno nella sua modalità. Il fatto che io parli di un voi, invece, non è tanto un artificio letterario, né credo un modo per flexare, cioè un dare per scontato che io abbia più lettori e magari più lettori in contemporanea, ma una necessità narrativa, non è un racconto intimo, il mio, parlare a un generico tu renderebbe il tutto quantomeno strano, artificioso, appunto.
Ma non perdiamo il filo. Chi è Douglas Adams? Forse avrei potuto dire “chi era Douglas Adams?”, dal momento che Douglas Adams, scrittore e sceneggiatore inglese, è ahinoi morto nel 2001. Nato a Cambridge nel 1952, è morto a Santa Barbara, in California, e questo ci dice già molto. Il motivo per cui ho però scritto “Chi è Douglas Adams?”, al presente, è che Douglas Adams è uno scrittore le cui opere sono ancora lì, vive e vegete, usare il passato parlando del suo genio sarebbe un errore marchiano. Parte del giro dei Monty Python, Douglas Adams si è sin da subito mosso nel campo della fantascienza, scrivendo quello che a oggi viene considerato un grande classico del genere, la Guida galattica per autostoppista che nel tempo si è andato arricchendo di altri quattro capitoli, Ristorante al termine dell’Universo, La vita, L’Universo e tutto quanto, Addio e grazie per il pesce e infine Praticamente innocuo. Una trilogia in cinque romanzi, come l’autore stesso amava definirla, divenuta con oltre quindici milioni di copie venduta un long seller oggetto di studio, non fosse altro che per l’anomalia di vedere unite nelle stesse pagine fantascienza e umorismo, senza soluzione di continuità. L’idea del pianeta Terra abbattuto per far posto a una autostrada planetaria, notizia che arriva al protagonista Arthur Dent nel momento in cui delle ruspe stanno per abbattere la sua casa per fare spazio a un’autostrada ci dice già molto di come Douglas Adams intenda la narrazione, il fatto che la Guida galattica per autostoppisti sia al tempo stesso il titolo dell’intera trilogia, del primo romanzo della trilogia e del libro, una vera guida galattica per autostoppisti, di enorme successo per la sua economicità e per la trovata geniale dell’editore di porre la scritta “Niente Panico” sul retrocopertina, anche. Nato come radiodramma, la Guida è subito diventata oggetto di culto, trasformando automaticamente Douglas Adams in una vera popstar letteraria. Per capire cosa intendo per “popstar”, vi basti sapere da un paio di settimane dopo la sua morte, avvenuta improvvisamente l’11 maggio 2001, il 25 maggio è diventato per i suoi tantissimi fan il Towel Day. Rifacendosi cioè al fatto che nei romanzi della saga della Guida compare spesso un asciugamano, il 25 maggio, da ventitré anni a questa parte c’è gente che se ne va in giro tutto il giorno con un asciugamano in bella vista. Sorte simile al numero 42, risposta alla domanda delle domande che per tutta la saga si rincorre “qual è il senso della vita, l’Universo e tutto il resto?”. 42, appunto. Conscio di tutto questo, Douglas Adams, che oltre che occuparsi della Guida si è negli anni occupato anche della serie tv, altrettanto di culto, Doctor Who, e della saga dell’agente olistico Dirk Genltly, a un certo punto comincerà a interessarsi alle razze animali in via d’estinzione. Su questo tema, in compagnia dello zoologo Mark Carwardine, scriverà il libro L’ultima occasione, reportage di un viaggio in giro per il mondo alla ricerca di animali a grande rischio estinzione, dall’Aye-Aye del Madagascar al Rinoceronte bianco della Tanzania, libro uscito l’anno successivo a buona parte di quei viaggi, nel 1991. Segnatevi questa cosa anche dell’Aye-Aye, poi ci tornerò su, parlando di me, ma tornando a Douglas Adams, nel 1994, entusiasta per questa nuova passione della salvaguardia degli animali a rischio, lo scrittore britannico deciderà di fondare una onlus dal nome Save the Rhino, e di promuoverne le attività andandosene fino alla cima del Kilimanjiaro vestito da rinoceronte, fatto che poi racconterà in poche pagine apparse nella raccolta postuma Il salmone del dubbio, raccolta che prende il titolo dal suo ultimo romanzo, rimasto incompiuto proprio per la morte improvvisa. Ah, il libro di Douglas Adams L’ultima occasione è uscito in Italia per Strade Blu, collana della Mondadori alla cui start-up ho lavorato, e il cui primo romanzo italiano è stato il mio “aironfric”, direi che a questo punto si può davvero cominciare.