L’estate, la movida, il turismo, gli scazzi tra chi si trova ad amministrare le nostre città e chi ci si trovava prima. Sono argomenti che animano da sempre le pagine dei quotidiani locali, che su questi scontri epici, oltre che sulla cronaca spiccia, campano, ma da che esistono i social anche argomento di threads e botta e risposta degne dei pugili e delle pugili che si contendono l’oro a Parigi, senza la supervisione dell’Iba, è cosa nota. Prendo spunto da quel che sta capitando nella città nella quale mi trovo in questi primi giorni di agosto, la medesima dove sono nato e cresciuto per i primi ventotto anni della mia vita, Ancona. Da poco più di un anno alla guida c’è colui che è passato alla storia locale come il primo sindaco di centro-destra, Daniele Silvetti, primo sindaco di destra a guardare la cosa dai seggi dell’opposizione. Una vittoria storica, appunto, che seguiva a ruota quella di Acquaroli, primo presidente di Regione di destra, le Marche la regione, Fratelli d’Italia il partito di appartenenza. Qualcosa un tempo di impensabile, essendo Ancona e le Marche roccaforte della sinistra, un po’ come buona parte del centro-Italia. Complice di questa vittoria, oltre un modo di fare assai poco ascrivibile agli stereotipi della destra dello stesso Silvetti, una sorta di democristiano atterrato col Tardis nel 2023, un regno da Maria Antonietta della precedente sindaca Valeria Mancinelli, Pd, a suo tempo autoproclamatasi sindaca del mondo e col tempo accentratrice di potere come raramente è capitato in luoghi sì di provincia, ma comunque con ruoli istituzionali ben precisi, un capoluogo di regione. Di fatto, Silvetti ha vinto, buon per lui, e da quel momento due sono i percorsi che la città di Ancona ha visto prendere forma. Ne parlo non perché le vicende di questa cittadina di centomila abitanti scarsi sia di un qualche interesse nazionale, vivo a Milano mica per caso, ma perché mi sembra piuttosto indicativo di una consuetudine ormai calcificata, quel particulare guiccardiniano facilmente eleggibile a generale. Parlo di vita culturale, nello specifico, e anche sociale. Con modi di fare vagamente novecenteschi, per non dire nazisti, chi era al ponte di comando ha lasciato macerie e fiamme dietro di sé, sì concedendo un certo gruzzoletto a chi arrivava, ma portandosi via un po’ tutto quel che poteva, dai Festival culturali quali il Kum Festival, approdato con fortuna a Pesaro, capitale italiana della cultura in questo 2024, Massimo Recalcati e l’ex assessore alla cultura Paolo Marasca titolari del marchio, parlo del La mia generazione Festival, cui per la cronaca ho preso parte in compagnia del compianto Massimo Cotto nella sua ultima edizione, anno del Signore 2024, unico momento di questi cinquantacinque anni di vita in cui ho lavorato per qualche ora nella città in cui sono nato, altrimenti impermeabile al mio cv, e tutta una serie di iniziative che, puf, sono evaporate.
Certo, a leggere quel che dice l’opposizione le colpe stanno tutte a destra, perché la neo-assessora alla cultura, nota per aver esordito dicendo che in “in fatto di tirar fuori i soldi io sono un po’ ebrea”, ha tagliato tutti i fondi destinati alla cultura, gridando alle casse lasciate vuote, ma di fatto, vuoi perché non si è voluto dar continuità a quel che c’era prima, vuoi perché chi c’era prima non si è voluto sporcare le mani con quel che c’è ora, di fatto l’estate 2024 è una sorta di requiem che Ancona canta a se stessa, esattamente come lo era stata quella del 2023. Allora, però, si era detto che quel mortorio era dovuto all’arrivo a ridosso della nuova giunta, stavolta la faccenda è diversa. Certo, come Silvetti ha sottolineato in un post sui social, si sono riaperti sia l’area concerti del Porto Antico che l’Anfiteatro Romano, la prima chiusa sotto Covid, il secondo addirittura tredici anni fa, quando Maria Antonietta Mancinelli è diventata sindaca e ha, a sua volta, spazzato via quanto fatto in precedenza dal sindaco Fiorello Gramillano, anche lui, come lei, del Pd. Peccato che all’area concerti del Porto Antico sia andato in scena solo l’UlisseFest, esportato da fuori, e che all’Anfiteatro Romano sia andato in scena giusto la versione anconetana di PopSophia e tre date tre dell’Ancona Jazz Festival, non esattamente un calendario di quelli che ti fa gioire per le occasioni offerte da un capoluogo, col porto dove approdano anche navi da Crociere, oltre che traghetti per i Balcani e la Grecia, e comunque affacciato sul mare. Silvetti, giustificando quella che il Corriere Adriatico, quotidiano locale, ha chiamato giustamente mortorio, andando in giro per il centro, dopocena, sembra di essere in una puntata calma di The Walking Dead, ha parlato di pausa di Ferragosto, indicando analoghi momenti di calma in città quali Genova e Lucca, quella del Lucca Blues Festival. Vero, però ad Ancona non c’è un Ancona Blues Festival che porta prima migliaia di persone in città, quindi è una pausa da una pausa, dicono dall’altra parte. E non se ne esce. C’è anche Taffo, l’azienda funeraria, che prende la palla al balzo e fa un post macabro, indicando la centralissima Piazza del Papa, deserta, come ipotetica base per la nuova movida anconetana, due casse da morto con su due altoparlanti in primo piano. Voi ci mettete la musica, noi ci mettiamo le casse, lo slogan. Insomma, non un bel vedere, sentire, leggere. Perché come spesso capita maggioranza e opposizione si menano, recriminando, accusando, e a rimetterci sono i cittadini, privi di tutto, e anche i turisti, annichiliti dal deserto dei Tartari. Il fatto che chi ha operato con la sinistra non voglia avere a che fare con la destra, volendo, ci sta pure, ma allora sarebbe da chiedersi se chi operava con la sinistra lo faceva per la cittadinanza, per la cultura, o perché a sinistra gli era stata data possibilità di operare. L’abbandonare Recalcati proponendo come una delle prime alternative Marco Mazzoli dello Zoo di 105, indubbiamente, è stata forse mossa azzardata, ma resta che a menarsi non se ne esce, vanno tutti a fondo. La situazione, lo si diceva prima, è sì tipicamente locale, ma anche profondamente insita in una modalità tutta italiana, si veda quello che fa il governo di volta in volta chiamato a guidare la nazione, togli a Tizio il programma in Rai o la direzione del museo e dallo a Caio, ridallo a Tizio e toglilo a Caio, ad libitum, situazione che possiamo scorgere un po’ ovunque, mesi fa vi parlavo di come a Cosenza, per dire, una giunta di sinistra, oh, sempre loro, abbia deciso di affossare il progetto Bocs- Art Museum, pur di fare un dispettuccio alla precedente giunta, nella speranza che l’associazione di Music For Change - Musica contro le Mafie, di cui MOW è media partner, riesca a salvarli, e quel che si sta cominciando a profilare a Milano, in un dopo-Sala che si teme vedrà un ritorno a Palazzo Marino del centro-destra, anche Beppe come la Mancinelli sembra aver optato per una reggenza vagamente assoluta, svendendo parte della città ai privati, nascondendo il tutto sotto una patina green e scontentando praticamente tutta la cittadinanza (o almeno tutta quella che non sia chi dalle sue svendite e mosse non abbia tratto un qualche beneficio, ma tant’è).
E dire che si sostiene da sempre che i veri reggenti delle città, come delle regioni, sono i dirigenti in carriera, non certo quelli eletti di volta in volta, lo spettacolo cui vediamo sempre più spesso andare in scena è qualcosa di agghiacciante, chi finisce in panchina si porta via il pallone, spesso caga*do sul prato dove gli altri andranno a giocare, con buona pace di chi da quelle partite dovrebbe avere sollievo, godimento, a volte anche un qualche vantaggio concreto. Il fatto che, parlo sempre di Ancona, ma quel che si prospetta a Sala sembra essere qualcosa di simile, l’ex assessora al porto che si era candidata contro Silvetti a capo della coalizione di centro-sinistra, Ida Simonella, sia andata a lavorare per l’armatore Rossi, lasciando la politica attiva a soli tre mesi dalle elezioni, e finendo alle dipendenze di uno dei suoi principali interlocutori quando era assessora, qualcosa ci dovrà pur dire. Sala a Dubai è scenario che molti danno per scontato, chi vivrà vedrà. Soluzioni, Taffo o non Taffo, non sembrano esserci, perché sparare sugli avversari, trattati letteralmente e letterariamente come nemici, non può che portare a una carneficina, lo scenario degno di un coprifuoco bellico, in effetti, quello che chi si trovi a passare di qui anche solo dopo il tramonto è bello e servito. Beppe Sala ha chiamato all’assessorato alla cultura di Milano Tommaso Sacchi, di stanza a Firenze, in qualche modo decapitando chi lo aveva preceduto, ben lungi dal candidarmi a seguirne le mosse a Palazzo Camerata, sede anconetana dell’assessorato alla cultura, mi sento però di dare un piccolo consiglio a chi oggi come oggi si trova a gestire un vuoto pneumatico senza precedenti, vuoto pneumatico che comunque arriva al posto di un semivuoto pneumatico, non è che Ancona sia mai stata l’ombelico del mondo, eh. Il consiglio che mi sento di dare è quello di tenere fuori la politica da ambiti come quelli della cultura e dell’intrattenimento, se serve anche affidandosi a esterni (come del resto stanno facendo con PopSophia e UlisseFest, ma magari provando a costruire qualcosa di autonomo e assolutamente originale). Solo così, alla prossima tornata elettorale, non si rischierà di ripartire da zero, come per la tela di Penelope. Del resto, diciamola tutta, Beppe Sala ha avuto il suo trampolino di lancio grazie alla Moratti, divenendo poi coi suoi calzini arcobaleno e altre minchia*e varie il più improbabile (e momentaneo) vessillo della sinistra, Expo a casa l’ha portato e il problema è arrivato proprio quando ha deciso di schierarsi da qualche parte, non avendone evidentemente attitudine. Anni fa il mio collega Giorgio Manganelli è stato chiamato da una rivista a scrivere un testo su Ascoli Piceno, non troppo popolare come città da queste parti, e ne tirò fuori un miniracconto, accompagnato da cartoline di Tullio Pericoli, titolo dell’opera: Ascoli Piceno esiste?. Ironizzava, da par suo, Manganelli, sul non esistere di questo luogo appartato, di provincia. Ecco, glielo avessero chiesto su Ancona, oggi, probabilmente avrebbe avuto molta meno voglia di ironizzare. Ciò detto, e davvero in ultima analisi, se Silvetti volesse espropriare e poi farmi dono della famosa e già citata altrove Torre De Bosis, a Portonovo, io ho una ottima rubrica del telefono, anni di esperienza in campo culturale e di intrattenimento, e idee sufficienti per riempire le quattro stagioni di una metropoli per qualche anno. Certo, costo caro, ma valgo quanto peso, stando al mio girovita direi parecchio.