Mattia Binotto tiranno? O Mattia Binotto vittima sacrificale? Qual è la verità sulla gestione della squadra del leader di Maranello che oggi, martedì 29 novembre, lascia la Ferrari dopo 28 anni di lavoro per la squadra italiana?
Come sempre forse il giusto sta nel mezzo ma gli strascichi di un addio sofferto e molto chiacchierato sono impossibili da prevedere. Per quanto si sia detto tanto, forse troppo, della presunta "verità" sull'addio del team principal, tante cose sono ancora da chiarire su quello che, nel corso degli ultimi mesi, è andato storto tra Binotto e la dirigenza Ferrari. Una notizia che arriva, programmata e attesa, il giorno successivo alle dimissioni di tutto il CdA della Juventus, con l'addio di Maurizio Arrivabene, ex team principal della Ferrari, e del presidente Andrea Agnelli. Un colpo che farà discutere a lungo e che spezza le poche sicurezze di una Ferrari già in bilico per il 2023, rotta nel cuore di un progetto nato da Binotto e che nella prossima stagione dovrà trovare la forza e le competenze di una squadra ben organizzata, per andare avanti senza il suo leader.
Ma le problematiche tra Ferrari e Binotto erano troppo profonde per pensare di poter proseguire un altro anno con un box che, secondo i rumors del paddock, era ormai più spezzato che mai. Da una parte Charles Leclerc, la famiglia Elkann insoddisfatta dei risultati, l'ad Vigna preoccupato dall'atteggiamento del 2022 e la totalità dei tifosi ormai disincantati, mentre dall'altra parte un team principal che punta sulla squadra, sulla centralità della sua posizione, sul desiderio profondo di non concentrare risultati e aspettative su un singolo pilota.
Una posizione che emerge dai racconti di ex collaboratori e dipendenti della scuderia di Maranello che, qua e là, nel tempo hanno raccontato il clima "tutt'altro che collaborativo" che si è respirato a Maranello in questi ultimi anni. Nell'articolo "L'orgia del potere" pubblicato su Formulapassion.it, a firma dell'ex ferrarista Alberto Antonini, si legge: "Gennaio 2019, un sabato pomeriggio. Mattia non ha ancora preso pieno possesso dell’ufficio all’angolo dei due corridoi, quello riservato al Team Principal, dal quale Maurizio Arrivabene ha fatto sgomberare le sue sculture psichedeliche in materiale plastico. Per un po’ rimarrà nel bunker vetrato al quale, negli anni, tanti ingegneri hanno bussato dopo un improvviso ridimensionamento del loro ruolo, con la stessa frase sulle labbra: “Ma ti ho fatto qualcosa?”, per sentirsi rispondere che no, anzi, ma le circostanze imponevano di voltare pagina".
Un clima confermato da molti ex membri del team che, preferendo restare anonimi a causa di contratti di non divulgazione o interessi personali, raccontano comunque le difficili stagioni che hanno preceduto la fine dell'era Binotto: "Non si fidava di nessuno - dicono quasi seguendo un copione già scritto - e proprio per questo è finito con il far coincidere sulla sua figura posizioni molto diverse. Direzione tecnica, comunicazione, gestione piloti, rapporti con la stampa, sviluppo". Troppe cose, troppo diverse, per un uomo solo. "Accentratore ma senza eredi" tuona così chi lo ha visto spostare caselle in questi anni.
Una personalità preoccupata dal tradimento, dicono, che proprio per questo motivo ha premiato i vicini e allontanato i sospetti. Un problema che si è riversato sulla squadra ma che oggi spaventa chi resta: la Ferrari non dovrà trovare solo un sostituto ma dovrà puntare su qualcuno in grado di prendere le redini di un progetto forgiato su una personalità forte come quella dell'ormai ex leader, e dovrà trovare più di un uomo per riuscire a fare tutto. Servirà un team principal, ma servirà anche un direttore tecnico, e con ogni probabilità servirà anche uno slancio al cambiamento in molte delle aree della scuderia.
"Senza Binotto, anche Leclerc, come Sainz, come tutti, pagherà il peso del disorientamento - scrive Antonini nel suo lungo editoriale - Prima, tanti ferraristi lamentavano – in privato – la mancata percezione di una leadership. Adesso la leadership non ce l’hanno proprio. Puntare su Fred Vasseur – al termine di una serie incredibile di rifiuti – è una scelta in apparenza strana. Un uomo vicino a Tavares e al gruppo Stellantis, che rafforza l’impressione di una Ferrari controllata da una dirigenza più francese che italiana. Ma anche un uomo dalle abitudini lavorative ben diverse da quelle di un Todt o di un Binotto, disposto anche a dormire in azienda, mentre Vasseur in Svizzera divideva il suo impegno F1 con le tante attività esterne, dalle categorie minori alla Formula E".
Che i dubbi rimangano è chiaro ma come, ad ascoltare le voci di chi da Maranello se n'è andato, anche il cambiamento lo era ormai diventato: "Per un uomo della sua intelligenza, gli sono attribuite cadute di stile incredibili - racconta Antonini, ripescando momenti diventati decisivi nel rapporto all'interno della squadra Ferrari - come aver rimproverato colleghi di rango inferiore perché salutavano Toto Wolff o applaudivano Hamilton sotto il podio".
Un'immagine laterale dell'ormai ex team principal Binotto, forse segnata dal rammarico di chi anche a causa sua è stato costretto a lasciare il Cavallino, ma sicuramente un quadro complesso, e sfaccettato, di quello che era, è e forse ancora sarà il clima di un'azienda dei sogni, di un mito italiano, che oggi è chiamata a rimettere insieme i pezzi.