A Berthierville, in Québec, c’è una strada speciale. Nei pressi dell’allevamento di polli di questo paesino immerso nel nulla, il percorso diventa tortuoso. Si arriva a un’ampia curva in salita, che si chiude proprio prima che la strada torni in piano. Lì un ragazzino, moltissimi anni fa, trovò pane per i suoi denti. Non c’era molto da fare per divertirsi, così prese una vecchia Mustang e diede spettacolo, facendo la curva su due ruote. Quel giorno Gilles Villeneuve, tra gli applausi degli amici di sempre, superò il primo limite della sua vita.
Non sarebbe stata l’ultima volta. Gilles Villeneuve avrebbe spostato l’asticella sempre più in alto, facendo diventare questa spasmodica ricerca dell’adrenalina una vera e propria filosofia di vita. Cominciò con le motoslitte d’inverno su quella curva di Berthierville, e continuò nel corso di una carriera che lo avrebbe portato alla Ferrari. Fino a quel tragico giorno a Zolder, nel 1982, quando, novello Icaro involato, trovò tragicamente il suo limite, schiantandosi.
“Gilles è volato via”, titolò Autosprint all’indomani di una tragedia che segnò una generazione intera di appassionati. Cresciuti con il mito di un pilota indomito, come quella leva di giovani che fu protagonista della rivoluzione culturale post Sessantotto. Era coraggioso come loro, Gilles, non aveva paura di ingaggiate duelli assurdi, ai confini del possibile. Come quello con René Arnoux nel 1979 a Digione, entrato di diritto nella leggenda ancora prima che Gilles stesso diventasse leggenda, simbolo di promesse non mantenute, di fiamme esaurite troppo presto.
Lo chiamavano aviatore, Gilles. Era decollato diverse volte per un urto in pista. Forse era già nel suo destino che la sua natura sublimasse in un modo così crudele, crudo. Fu l’ultimo eccesso di una vita vissuta pericolosamente, sia al volante della sua monoposto, che su elicotteri e motoscafi. Fece a gara con Jody Scheckter in autostrada da Montecarlo a Maranello, e, fermato dalla Polizia, fece spallucce. “Sono un pilota della Ferrari – disse con fierezza -. Sono pagato per correre veloce, cosa volete che faccia?”.
Con il suo talento insolente, indomito, Gilles Villeneuve riscrisse l’etichetta dei duelli in pista. Li affrontava in modo sprezzante, senza paura alcuna. Aveva il fuoco dentro, e non gli importava bruciare in fretta. E fu capace di conquistare pure Enzo Ferrari. Anche il Drake, che odiava chi sfasciava le sue macchine, rimase affascinato da quel pilota che, nel 1977, si ritrovò davanti nel suo ufficio, in jeans e camicia. Per nulla intimorito.
Gilles Villeneuve fu la scommessa di Enzo Ferrari. Dopo l’amara separazione da Niki Lauda, decise di prendere un pilota sconosciuto, fargli macinare decine di migliaia di chilometri a Fiorano, e farlo diventare una macchina da guerra. Gilles vinse poco - solo sei GP - ma tanto bastò per entrare nel cuore non solo dei giovani, ma anche di tanti appassionati di vecchia data. Pur col cuore indurito dalle tragedie che nella F1 di allora erano all’ordine del giorno, non poterono fare a meno di amarlo visceralmente. Entrava sotto pelle come una scossa elettrica, infiammando gli animi con la sua sfrontatezza.
Così fu anche per Enzo Ferrari, che, dopo la morte di Gilles, si lasciò andare a un’esternazione incredibile per un uomo come lui. “Gli volevo bene”, ammise. Gli voleva bene anche se sapeva che il suo rapporto con la Ferrari sarebbe comunque finito. Gilles glielo aveva detto dopo Imola ’82, che con Pironi non avrebbe più potuto correre. Gilles era pronto a una nuova avventura, con un nuovo team motorizzato Ferrari. Ma il destino volle diversamente.
Aveva la stessa età di quella Formula 1 che ha affrontato con un coraggio da leone, senza riuscire a capire che si stava avvicinando troppo al sole per non bruciare le sue ali. Suo figlio Jacques, appena undicenne quando suo padre morì, ha portato a termine il compito interrotto da Gilles, diventando campione del mondo. Più cinico di suo padre, Jacques è così diverso, ma così simile a lui. È senza paura come Gilles, senza peli sulla lingua. Ma Gilles, ad ascoltare chi c’era, chi lo ha visto dal vivo, era un’altra cosa. Resta il simbolo di un’epoca esaltante, pericolosa, irripetibile. Esattamente come lui.