La Lotus nera di Nigel Mansell scottava sotto il cielo di Dallas, in Texas, dove l'8 luglio di 38 anni fa andò in scena uno dei Gran Premi più assurdi della storia della Formula 1. Lui non era ancora "il leone" del motorsport, ma forse gran parte della fama che conquistò negli anni la ottenne proprio quel giorno di luglio, il giorno in cui Mansell - baffi a manubrio, spirito e cuore britannici - insegnò a tutti il vero significato di questo sport.
Il clima era torrido, i muretti di sicurezza erano pile di gomme posizionate nei tratti più pericolosi del circuito, l'asfalto cadeva a pezzi, tanto da costringere gli addetti ai lavori a svolgere degli interventi nel corso della notte tra le qualifiche e la gara. La pista era stata ricavata, con un po' di fantasia e poca sicurezza, da un percorso intorno allo stadio Cotton Bowl, nella periferia della città all’interno del complesso del Fair Park.
I piloti, sotto il peso di caschi e tute, sapevano che quei 67 giri sarebbero durati quanto un giro all'inferno. Troppo caldo, troppi imprevisti possibili. E così fu. I risultati delle qualifiche furano completamente ribaltati e Nigel Mansell, pole-man del sabato, riuscì a riempire le pagine dei giornali pur non completando ciò che aveva iniziato con le qualifiche del giorno precedente.
Vinse Keke Rosberg, seguito dalla Ferrari di René Arnoux e dalla Lotus dell'italiano Elio de Angelis. Si ritirarono in 18 piloti, da Niki Lauda a Michele Alboreto, passando per Alain Prost, Nelson Piquet, Riccardo Patrese e l'allora rookie Ayrton Senna.
Quella gara per Mansell fu un vero inferno, in ogni senso possibile. La sua Lotus, completamente nera, attirava il calore devastante più delle altre monoposto, lo scatto iniziale al via non lo salvò dai problemi, con la rottura parziale del cambio che - giro dopo giro - diventava sempre più difficile da gestire. Si vide infilare dagli avversari, uno dopo l'altro, comunque intenzionato a finire la sua gara.
Alla sua Lotus non sembrarono interessare gli sforzi di Nigel per chiudere il Gran Premio, e si piantò a metri dal traguardo. Già ai tempi spingere la monoposto non era consentito ma Mansell se ne infischiò delle regole e con uno sforzo immane provò a portare la macchina fino al traguardo. Le immagini sono diventate icone, simbolo di un tempo che non c'è più: il britannico che spinge, circondato da volti increduli, e che poi si accascia, sfinito, accanto alla sua monoposto. Perde i sensi, e viene fotografato così, come un Marat assassinato accanto alla sua Lotus.
Una fotografia che squarcia il tempo e che, a 38 anni di distanza, ancora ci insegna le regole non scritte di questo sport, il valore dell'agonismo e il sentimento che muove tutto e tutti.