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Dietro la MotoGP con Alessandro Vermini, Pillola: “Valentino diventava Dio, diventava Goldrake. All’inizio non capii Marquez. I piloti? Vincono e si allontanano”

  • di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

4 dicembre 2025

Dietro la MotoGP con Alessandro Vermini, Pillola: “Valentino diventava Dio, diventava Goldrake. All’inizio non capii Marquez. I piloti? Vincono e si allontanano”
Una sera a cena con Alessandro Vermini, Pillola, operatore per Sky Sport MotoGP dal 2015. Lui racconta del mestiere del cameraman (“Un’attrezzatura media sta sui 25 mila euro”) dei momenti con Valentino Rossi, del primo giorno di lavoro (con Marc Marquez) e tutti i motivi per cui, in fondo, lasciare il paddock diventa difficilissimo per tutti. Anche se a fine stagione viaggi tra il sollievo e la tristezza

di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

“Questo nome l’ho ereditato dal mio papà. A Genova lo chiamano Pillola perché da ragazzino lavorava in farmacia, oggi è passato a me. Ne vado abbastanza fiero”. Alessandro Vermini, Pillola appunto, segue la MotoGP da fine 2014 per Sky. Gira per il paddock con lo sguardo torvo, una camera da 13 chili in spalla che spicca per l’impugnatura in legno aftermarket e un gran numero di antenne, in breve il Millennium Falcon delle telecamere. Pillola è uno degli ultimi fumatori nel paddock, parla un bell’italiano senza inflessioni che di tanto in tanto condisce con qualche parolina in genovese. Forse è l’ultimo vero cameraman a vedere quello che fa come un mestiere e non come un modo per mettere assieme uno stipendio, di certo è quello che spende di più per l’attrezzatura. Siamo in un locale di Valencia a mangiare, uomini soli come i Pooh. La stagione è finita, chi è rimasto per i test come noi sta solo aspettando il suo aereo domandandosi se rivedrà il paddock il prossimo anno e cosa sarà di tutte queste moto, di questi viaggi, di queste serate e di questi soldi che entrano ed escono come i pendolari dal treno. È una buona occasione per conoscerlo meglio, Pillola, il principale responsabile di quello che vediamo in televisione tutte le settimane.

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Mirino in una mano, pomello in radica nell'altra.

Da quanti anni fai il cameraman in MotoGP per Sky?

“Dal 2015, questa è l’undicesima stagione”.

Sei arrivato nel momento più alto della MotoGP.

“Sono arrivato quando Valentino Rossi ha rischiato di vincere il suo ultimo mondiale. E riguardando il famigerato documentario di Dorna devo dire che andava fortissimo. Ho sentito pro e contro su quel documentario, però a me ha fatto venire una nostalgia incredibile: lui andava veramente forte e il paddock era molto diverso. Quando arrivavano lui, Jorge… erano figure che forse avevano più carisma, più solennità. Adesso forse è tutto un po’ più leggero, non so se sia un bene o un male. Ma c’era grande rigidità, in Yamaha per esempio non potevi mettere un piede nel box, così come in Honda. Beh, in Honda neanche adesso”.

Per te come è stato?

“Un atterraggio tutt’altro che morbido. Perché Valentino vinceva, poi piano piano è cambiato tutto. Ma lui col passare del tempo è diventato un po’ più amichevole”.

Com'era lavorarci assieme?

“Di lui ricordo soprattutto i momenti prima della partenza, quando si inginocchiava davanti alla moto e iniziava a ondeggiare con la testa verso la carena… tu eri lì, ti inginocchiavi, cercavi di avere un’inquadratura in mezzo a una selva di gambe ed era un momento mistico. Tipo il sangue di San Gennaro che si scioglie, lui si trasformava. Diventava il pilota in grado di fare cose fantastiche in pista, roba mitologica. Diventava Dio, diventava Goldrake, Non so come spiegartelo”.

Rende l’idea. Marc Marquez invece com’era?

“Guarda, a ben vedere la prima cosa che ho fatto per la MotoGP è stata un’intervista a lui, a Marc Marquez. Era la fine del campionato 2014 e mi avevano mandato a Cervera, dove siamo rimasti due giorni. Era a cena di fronte a me, lo ricordo bene. Ricordo anche che mi lasciò abbastanza tiepido, non lo riconobbi come un fuoriclasse. Poi negli anni l’ho visto cambiare moltissimo: non sempre ti accorgi subito di chi hai davanti”.

Marc Marquez ristorante Cervera
Una (brutta) foto di Marc Marquez a Cervera seduto vicino al suo ex manager, Emilio Alzamora. Lo scatto, chiaramente, è di Pillola.

E i piloti in generale? Che idea ti sei fatto di loro?

“I piloti si allontanano. Più vincono e più si allontanano. Ed è un peccato, ad esempio quest’anno non sai quante volte avrei voluto abbracciare Pecco e dirgli ‘coraggio, vedrai che passa’. E invece non è fattibile. I piloti li vedi che sono piccoli piccoli, ci scherzi e a volte non sai neanche cosa dirgli perché tra di voi c’è grande distanza. Poi crescono, salgono di categoria e diventano sempre più distanti, finché a te rimane un po’ di rammarico. D’altro canto credo che essere realmente amici di un pilota sia impossibile, probabilmente perché crescendo hanno sempre più bisogno di stare vicino a persone che conoscono e di cui si fidano ciecamente. È una cosa che in realtà capisco”.

Come sei finito a fare questo per vivere?

“Considera che ho sempre avuto chiara l’idea di stare dietro a una telecamera. Quella di raccontare storie mi sta venendo più adesso. Mio papà fa il fotografo e io ho iniziato a dargli una mano, anche se non mi sentivo troppo a mio agio: non mi piaceva, dovevo parlare troppo con le persone… io sono timido, faccio fatica. Mi sentivo molto insicuro con le foto, una volta le foto dovevi svilupparle e se avevi lavorato male lo scoprivi il giorno dopo. Invece con la telecamera mi sono sempre sentito a mio agio, perché vedi subito quello che fai. Ho iniziato ai matrimoni e oggi sono qui, anche perché poi negli anni Novanta se facevi i matrimoni venivi considerato uno sfigato, quelli bravi andavano in TV. E col carattere di merda che mi ritrovo mi sono detto: e che, io sono da meno? All’attacco, belin. Come se non ci fosse un domani”.

E la MotoGP?

“Era il 2014 e all’epoca lavoravo già per Sky, per cui avevo seguito degli eventi importanti: sette o otto volte a Montecarlo per il Tennis, poi le Olimpiadi come unico freelance, una volta Wimbledon, un Roland Garros, i giochi del mediterraneo… un giorno arriva una mail in cui mi chiedono il preventivo per seguire la MotoGP. All’epoca c’erano meno gare e forse non avevo davvero la percezione di quale fosse l’impegno, però evidentemente il preventivo è andato bene”.


Si guadagna bene a fare il tuo lavoro?

“Secondo me sono un privilegiato. Credo che i ragazzi spagnoli guadagnino meno, anche se magari è tutto un po’ più rapportato coi costi della vita. Allo stesso modo uno che fa il mio lavoro in Inghilterra guadagna molto più di me, perché lì c’è più la cultura della televisione. Da noi i bei tempi sono piuttosto lontani”.

Quanto bisognerebbe spendere per avere un’attrezzatura di medio livello?

“Sei intorno ai venticinque mila euro. Ma è molto meno rispetto a quello che costava quando ho iniziato nel 1986, perché una volta avevi bisogno di molte più cose: la telecamera, il videoregistratore da attaccarci, i radio microfoni, il cavalletto, i videoregistratori per montare, i computer per il montaggio che costavano l’ira di Dio. Ora è tutto meno costoso, c’è tanta scelta e puoi decidere come gestirti”.

Pillola col Millennium Falcon
Pillola in griglia di partenza col suo Millennium Falcon in spalla. Questo, probabilmente, è un vecchio modello che gli è stato rubato a EICMA.

A stringere, il paddock sembra come quel proverbio sul sud Italia: piangi quando arrivi e piangi quando te ne vai. È così?

“Direi di sì. E non riesci ad andartene perché questo è un villaggio. È un paese. Conosci tutti, tutti ti conoscono ed è più facile volersi bene che volersi male. Perché vedi, il primo sentimento è quello di volersi bene, poi magari succede qualcosa e litighi, eppure alla fine c’è dell’affetto. E c’è un senso di appartenenza molto forte: siamo tutti nella stessa famiglia, abbiamo tutti gli stessi problemi… il viaggio che ti ha distrutto, i problemi a casa, i contratti… oggi sono i miei problemi, domani sono i tuoi. Diventa così. E tra di noi ci riconosciamo, oltre al fatto che la puoi un po’ vivere meglio con l’esperienza, per esempio sapendo che dal freddo di Phillip Island ti conviene andartene il prima possibile, magari al caldo a Kuala. Di fatto ci sono posti in cui stai meglio e altri più difficili. Prendi Le Mans: è la guerra. Sai che prenderai freddo, che saranno cinque giorni lunghissimi… ”.
 

La cosa più difficile di questa MotoGP?

“Entrare nelle grazie di Gigi Soldano (ride, ndr). Ha mantenuto una distanza siderale, guardandomi storto e borbottandomi dietro, per cinque anni sugli undici che ho passato lì. Poi piano piano sono riuscito a conquistarlo, ma è stata una roba difficilissima. Secondo me mi ha pesato subito quando mi ha visto entrare in sala stampa. Conquistare la sua fiducia - e la sua amicizia, spero - è stato veramente complicato, per quanto io abbia provato a sedurlo in tutti i modi”.

Cosa ti porti a casa di questo lavoro?

“Mah, penso che 11 anni in MotoGP mi abbiano insegnato a stare più calmo e tranquillo: se c’è qualche problema o qualche contrattempo non mi parte la brocca. Non agitiamoci, vediamo cosa succedere e come si può risolvere”.


Come gestisci la tua pressione? Immagino che il problema della diretta sia quello: devi fare tutto bene e devi farlo al primo tentativo.

“Devo dire che mi viene tutto abbastanza naturale. La griglia della MotoGP, che è forse il momento più importante del weekend per un cameraman, io l’ho sempre percepita come una festa, sei lì che pensi ‘Adesso vi faccio vedere cosa so fare’. Libidine, libidine. Bello. Ti senti figo”.

Hai l’elicottero sopra la testa, il casino del pubblico, i piloti che chiudono le visiere, la gente che ti ronza attorno.

“Esatto. E lì mi sento leggero come una farfalla. In quei momenti riesci a dare il massimo col minimo sforzo. Sai esattamente dove sei, chi è davanti, chi è dietro, dove sono i piloti. In quel momento sai tutto”.

Cos’è che rende la MotoGP il motivo per cui ne stiamo parlando stasera?

“Gli uomini. I piloti. La MotoGP sono i piloti. Le moto sono dei pezzi di ferro. Tutti si aspettano che vinca un pilota con una moto che sulla carta è inferiore. Pedro Acosta che racconta di aver corso senza controllo di trazione… diventa un eroe. La MotoGP sono i piloti, le loro storie, la loro vita. Questi rischiano la vita. La MotoGP sono loro, noi siamo soltanto dei raccontatori”.

Alessandro Vermini Pillola
Con Ludovica Guerra durante la Superbike a Misano.

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