“Dottore, buongiorno”. Massimo Rivola risponde così al telefono. Dall’altra parte c’è Michele Colaninno, AD del Gruppo Piaggio, che lo ha chiamato per sapere come è andata la mattinata in pista a Valencia. È interessato, appassionato, fa domande tecniche. Rivola risponde con garbo e tutti particolari del caso, esattamente come ha appena fatto nell’intervista che trovate in video.
Siamo nell’hospitality Aprilia, davanti abbiamo un’insalata d’anatra con una buona riduzione a fare da condimento. Per qualche motivo nel buffet di questa squadra trovi sempre almeno un piatto orientale. Antonio Boselli, che con Massimo lavora sempre più a stretto contatto, racconta storie buffe sui suoi anni da giornalista e riflette su quanto questo il ruolo di adesso sia, di fatto, come diventare grandi: più lavoro, più responsabilità, più impegni e una soddisfazione diversa.
Massimo ha appena finito di parlare anche del loro rapporto, che assomiglia a quello a cui ci aveva abituati Ducati con Davide Tardozzi e Paolo Ciabatti. L’intervista inizia con il racconto della sua passione per la moto, che usa spesso sia in strada che in pista. Poi, sulle voci che lo vedrebbero verso un ruolo dirigenziale in Dorna o altrove, come in Formula 1: “Mi piace tantissimo quello che faccio, poi la missione di vincere un titolo mondiale va portata a termine”.
Quando gli chiediamo come ha fatto l’Aprilia a crescere così tanto in un anno, lui la prende piuttosto larga: “È successo per una serie di motivi: sicuramente le persone fanno la differenza e l’arrivo di Fabiano (Sterlacchini, ndr) è stato molto importante nell’aumentare l’inerzia con cui stavamo già crescendo, perché comunque Aprilia è stata l’unica a vincere qualche gara. Poco, ma è stata l’unica che si è presentata come potenziale alternativa. Ma non possiamo dimenticare i piloti in questo passo in avanti, anzi: sono i primi attori. E abbiamo trovato in Marco una persona in missione, ed essendo sia l’azienda che lui in missione… un po’ come i Blues Brothers”.
Durante EICMA si è poi parlato molto di una possibile cessione del Gruppo Piaggio a dei compratori esteri. Rivola risponde con un sorriso: “Io credo che Piaggio possa interessare a tutti quanti perché è un’azienda fighissima: va da Vespa, l’oggetto di culto storico, che fa gli ottant’anni adesso, fino alle corse con noi, con Moto Guzzi… Onestamente: ti interesserebbe la Ferrari? I cinesi vorranno comprare anche la Ferrari. Non sono meravigliato, ma non sono i miei argomenti, la mia missione è un’altra”.
A questo proposito gli chiediamo quale sarebbe la sua priorità se avesse un budget illimitato per le corse: “Partiamo dal fatto che il racing è un pozzo senza fondo, più me ne dai e più ne spendo. Se ne avessi di più… sicuramente le persone fanno la differenza. Poi ci sono delle tecnologie che obiettivamente sono molto costose. C’è il tema del testing, che quest’anno grazie a Sava (Lorenzo Savadori, ndr) l’abbiamo segato in maniera importante, usandolo come tester in gara, anche se in confronto ai giapponesi i nostri numeri sono ridicoli ma abbiamo preso un’opportunità da un problema. E poi banalmente la galleria del vento: oggi dobbiamo sviluppare la moto 2026 e quella 2027: più ore fai e più dati accumuli, più persone analizzano i dati… mi viene da parlare di aerodinamica e di testing perché il track time è quello che fa più la differenza: più in pista e più è facile trovare prestazione, perché nelle due ruote il livello di simulazione non è quello delle quattro, dove hai raggiunto un livello tale per cui a casa riesci a fare centinaia di prove. Quindi chi ha più track time ha un vantaggio palese”.
Il tema del possibile addio alle ali laterali montate da Aprilia (di cui abbiamo un paio di giorni fa) non era ancora stato scoperchiato, eppure Rivola parla con grande convinzione dello sviluppo aerodinamico: “Dal giorno del cucchiaio, quando ho chiarito le regole, ho sempre pensato che lì ci sarebbe stata tantissima prestazione e credo che oggi noi siamo un riferimento. Sarà un tema centrale anche nel 2027, quando la “scatola” della moto sarà un po’ più piccola”. Chiediamo come sceglie i piloti, come vive lavorando con dei ventenni. Lui risponde così: “Come scriverebbe Marco sulla sua moto è un bel bidet di umiltà. Quando metti tutto nella bilancia devi essere contento, non abbiamo la pistola puntata per fare questo mestiere”.
Proviamo quindi a fargli scegliere chi, tra Marco Bezzecchi e Jorge Martín, gli abbia insegnato di più quest’anno: “A parte la frase fatta che non si finisce mai di imparare… mi hanno dato qualcosa entrambi. La storia di Marco se vuoi doveva nascere anche tanti anni fa, è stato il primo a cui chiesi di venire da noi, gli avevo lasciato la manopola destra della moto. Ci intendiamo abbastanza in fretta, per quanto abbia un carattere focoso. Su cui comunque ha lavorato tanto, il che mi fa un grandissimo piacere perché ha aiutato tanto a far crescere la moto. Se fossi stato al posto di Jorge, in un letto d’ospedale e con un’offerta importante, forse avrei fatto lo stesso. Mi sarei detto ‘chi me lo fa fare, cambiamo’. Fa parte della normalità delle cose e so che è stato anche criticato per questo, però non so quanto chi l’ha criticato si sia messo nei suoi panni. Io ho fatto il mio mestiere: abbiamo scelto te e ti teniamo. Anzi, ti facciamo anche vedere che la moto e la squadra ci sono”.
E ancora, le regole d’oro di un manager e quella di un pilota: “Non essere qualcun altro, questa è la mia regola principale. Poi se con un pilota ci scontriamo dalla mattina alla sera la prima domanda che mi faccio è cosa sto sbagliando. La seconda, se non trovo proprio tanto, cercare di capire se il pilota è giusto per me e per la squadra. Alla stesso modo, una delle regole del pilota che secondo me funziona è chiederti sempre tu dove stai sbagliando e non dove stanno sbagliando la moto o la squadra: questo Marco lo ha di natura ed è la prima regola per diventare campione”.
Siamo quasi in chiusura. Qui Massimo parla di Pecco Bagnaia, del suo anno difficilissimo: “Sicuramente mi è dispiaciuto. Però devo dire che quando uno fa stagioni perfette o quasi come le sue - perché Jorge ha vinto il mondiale ma lui ha vinto diverse gare e la velocità l’ha mostrata, non si può mettere in discussione - si torna al grande vantaggio di un’azienda come la nostra rispetto a una più piccola come la Honda. La persona fa la differenza, il rapporto umano fa la differenza, le sensazioni e il feeling fanno la differenza anche sul mezzo meccanico. E poi gli sguardi, gli sguardi fanno tantissimo nel box perché il pilota è un animale… non sensibile, di più. E se vede occhi che ci credono ci crede un po’ di più anche lui. Ma non posso giudicare, posso solo dire che Pecco è un puri campione del mondo. Avranno avuto i loro problemi e mi spiace per lui”.
A questo punto non potevamo che chiedergli di Marc Marquez, di come si batte uno così. Rivola torna a dire di essere dispiaciuto, se per due motivi: “Mi spiace ancora per lui, siamo stati noi con Marco a metterlo fuori uso. Anche perché poco prima, quest’estate, io avevo dichiarato che avremmo battuto Marc: volevo farlo in pista e volevo batterlo, non abbatterlo. E sono convinto che in Indonesia Marco ne aveva di più, oltre al fatto che mi sarebbe piaciuto vederli in Australia dove Marco volava e l’Aprilia anche, vedi la vittoria di Raul. Ma so che anche Marc lì fa la differenza e mi sarebbe piaciuto vedere questa sfida. Sono convinto che l’anno prossimo se le moto saranno un po’ al livello che c’è ora potremo giocarcela: Marco ha lottato con lui tantissimo, penso a Misano che è stata una delle gare più belle… ecco, faccio un esempio: quella volta hanno fatto un altro sport, terzo c’era Alex che è arrivato a qualcosa come sette secondi. Al parco chiuso eravamo tutti contenti per il garone, lui arriva e mi abbraccia, lo abbraccio anche io e a quel punto mi guarda e con gli occhi bassi mi dice ‘scusa’. Ma scusa di che? Però hai già capito che quando un pilota fa così è destinato a vincere. Sono quelle cose che ti arrivano di pancia… ci siamo”.