Per vincere un Mondiale servono una prima e una seconda guida. È questo ciò che aveva insegnato la Ferrari di Michael Schumacher dei primi anni 2000: questione di ruoli e di gerarchie ben chiare, invalicabili. Basta chiedere a Barrichello, che nel 2002 fu costretto a cedere la vittoria del GP di Austria al tedesco sotto la bandiera a scacchi. Tante furono le polemiche, seguite dall’ormai storico gesto di Schumi verso Rubens sul podio, consapevole di non aver vinto per davvero. Eppure, la lezione era stata una di quelle forti, avvalorata - quantomeno al tempo - dai cinque Mondiali consecutivi conquistati tra il 2000 e il 2004. Per vincere, si fa così.
Vietato lasciare punti per strada, nemmeno quando la tua macchina va il doppio degli altri ed è capace di chiudere i conti poco dopo metà stagione, con sette gare ancora da disputare. Era il metodo Todt, quantomai pragmatico. E a otto anni di distanza, nonostante il francese avesse lasciato le redini di Maranello da tempo, è ancora Ferrari la protagonista di un episodio simile. È il 2010, si corre a Hockenheim, in Germania: Massa e Alonso sono primo e secondo, ma tra i due è lo spagnolo a giocarsi il titolo, poi perso all’ultima gara a favore di Sebastian Vettel. Quando Fernando raggiunge Felipe, segnala di essere molto più veloce; pochi giri dopo, arriva uno dei team radio che più farà discutere nella storia della F1: “Fernando is faster than you”. Massa rallenta, Alonso passa.
Negli anni, poi, di esempi ce ne sono stati altri, ma mai così netti, almeno finché Verstappen non diventasse la colonna portante della Red Bull. Max rappresenta la squadra, tutto è costruito intorno a lui e, d’altronde, gli scarsissimi risultati di chi negli anni gli è stato al fianco lo dimostrano - persino il Bottas della Mercedes era riuscito a contendere qualche successo a Hamilton. Sembra un approccio collaudato, l’unico per vincere. Eppure, nel 2025, la McLaren e Lando Norris hanno dimostrato che non è affatto così.
Hanno vinto a modo loro, puntando su due galli nello stesso pollaio, con Norris e Piastri in lotta fino alla fine. E a impresa completata, ad Abu Dhabi, il team principal Andrea Stella lo ha sottolineato con grande orgoglio: “Insieme a Zak (Brown, ndr), abbiamo cercato di costruire un team con i nostri principi, i nostri valori, mettendoli al centro del progetto sia in termini di approccio alle relazioni che di coesione interna. È da qui deve derivare poi la performance, perché l’obiettivo è quello di andare in pista, andare forte e vincere le gare. Ma lo vogliamo fare nel rispetto dello sport, dei nostri avversari e di noi stessi”.
Gli va dato atto, specie perché a quelle stesse idee non ci hanno rinunciato nemmeno quando l’ombra di Max e della Red Bull iniziava a farsi sempre più ingombrante. Hanno continuato per la loro strada e, alla fine, è arrivata anche la vittoria: “Credo sia importante che questo nostro metodo ci abbia portato ad ottenere un successo, perché per certi versi ratifica che si possono approcciare lo sport ed il lavoro con valori positivi, rinunciare alla tentazione di diventare disfattisti o di guardare sempre all'erba del vicino. Tutti atteggiamenti che sono un po' da perdenti per certi versi, ma che talvolta la nostra natura ci porta naturalmente ad adottare”.
È un titolo che parla chiaro, che rappresenta un messaggio all’Italia e agli italiani. In questa Formula 1, dove la differenza non la fanno più i decimi - e si spera che possa essere così anche con l’introduzione del nuovo ciclo tecnico - ma i millesimi, avere un primo e un secondo pilota non è più l’unico modo per vincere. Perché a volte, per battere l’avversario, serve giocare a due punte. Una non basta più e il 2025 ce l’ha dimostrato.