La Ferrari che non prende una decisione e non fa, al contrario di tutti gli altri top team, una scelta nella gerarchia piloti. La Ferrari che sbaglia spesso, che è imprecisa nelle strategie e confusa nei team radio. La Ferrari che si giustifica e che, al suo pupillo nell'ennesimo giorno della delusione, punta un dito contro: "Calma", ha detto Binotto a Leclerc a Silverstone.
Calma? Come fa, Charles Leclerc, a stare calmo? Come fa dopo un inizio di stagione da leader assoluto ad accettare il fallimento di un errore dopo l'altro tra problemi di affidabilità e scelte del muretto? Ma soprattutto come si fa a chiedere, a questo ragazzo tutto sangue e passione, di avere anche la calma per poter gestire le interviste, sorridere, stare sempre e comunque dalla parte di una squadra che ama ma che, scelta dopo scelta, lo sta lentamente perdendo.
Sta prendendo le sembianze di un amore che, poco alla volta, ti delude, la passione di Charles per il cavallino. Un sogno che l'ha portato fino in Formula 1, che gli ha permesso di vincere nel 2019 a Spa, poi realizzare il sogno di Monza. Che gli ha dato una macchina per sovrastare un compagno di squadra quattro volte campione del mondo, che gli ha fatto conoscere il peso amaro di sconfitte e debolezze per poi promettergli, nel 2022, una macchina degna di giocarsi un mondiale.
E c'è, quella macchina. C'è ma l'unico che sembra crederci e lui. Che infila pole position, che lotta come un leone anche quando non c'è speranza, che non si fa abbattere dalle evidenze (come il fatto che nelle ultime cinque gare la Mercedes abbia collezionato 109 punti mentre la Ferrari solo 108) o dalle dichiarazioni del suo stesso team principal che prima si dice pronto per la lotta mondiale e poi si ricrede, tornando sui propri passi e ammettendo "l'obiettivo è tornare competitivi".
Ci crede ancora, Charles Leclerc. Probabilmente ci crederà sempre. Ma il mondo del motorsport dopo la delusione di Silverstone si schiera dalla sua parte e gli dà un consiglio a cuore aperto: "E' il momento di alzare la voce, Charles". A dirglielo sono in tanti: dal giornalista Giorgio Terruzzi all'ex ferrarista René Arnoux passando per Jarno Trulli e Jacques Villeneuve. L'amore che Leclerc ha, e ha sempre avuto, per la Ferrari è un freno a una rabbia che, un altro al posto suo, avrebbe avuto. L'irruento Max Verstappen (e se non lui sicuramente il padre Jos) non avrebbe mai pronunciato parole come "non sono nessuno per chiedere una spiegazione alla Ferrari" o "non voglio oscurare il successo di Carlos" dopo la rabbia di SIlverstone. Parole bellissime, che rendono onore a un ragazzo che anche davanti alla delusione riesce a trovare la forza di amare una squadra che lo ha cresciuto e gli ha dato tutto quello che ha, ma parole che lo sottomettono al solito vecchio mantra del "quando sei un pilota Ferrari la squadra conta più del pilota".
Un atteggiamento che ha sì fatto grande, enorme, la Ferrari negli anni ma che ha anche scardinato sogni e promesse ti tanti, tantissimi, piloti prima di Charles. Chi è sopravvissuto a Maranello o lo ha fatto per il proprio carattere (cercare alla voce: Fernando Alonso) o è stato premiato da successi indimenticabili arrivati anche grazie alla capacità di non farsi uccidere dalle critiche (cercare qui invece alla voce: Michael Schumacher). Un altro, al posto del Kaiser, in anni difficili come quello del 1999 avrebbe perso smalto, grinta, voglia di provarci ancora. Devastato dalle critiche a cui invece, uno come Sebastian Vettel, non ha mai saputo far fronte.
Non basterà quindi il successo a Charles Leclerc, non gli basterà il talento. Non gli basterà saper sorpassare di esterno alla Copse Lewis Hamilton, o ricevere le sue lodi. Niente gli basterà mai se non imparerà presto a puntare i piedi e farsi sentire. O almeno, non gli basterà finché sarà pilota Ferrari. Forse però sarà sufficiente altrove.