È domenica, ore 14, a Le Mans c’è il sole e la MotoGP parte per la gara tradizionale. Il tracciato francese offre svariati punti di sorpasso e altrettante opportunità per controbattere subito: una conformazione perfetta per dar sfogo a grandi battaglie, aumentare il tasso di aggressività e incrementare i livelli di adrenalina nel sangue. Suona La Marsigliese, si scaldano i motori e si spengono i semafori. È il momento; il plotone della MotoGP scatta e tutti, da subito, appaiono belli carichi. Oggi si assegnano punti pieni, è la quinta gara della stagione e ormai cominciamo ad entrare nel vivo, non solo dei discorsi per il titolo mondiale ma anche delle voci di mercato, che si fanno sempre più insistenti. La posta in palio è alta e, in poche parole, tutti i piloti – dal primo all’ultimo – si giocano tanto. Nel gruppo di testa sono solamente in due, Maverick Vinales e Marc Marquez, a scegliere la mescola hard all’anteriore, tutti gli altri optano per una doppia gomma soffice, davanti e dietro.
Marquez scatta dalla prima fila e si prende subito la leadership, determinato a cancellare un mese e mezzo di fisioterapia dal divano con quello che in gergo viene chiamato “un garone”. Vinales, dalla sesta casella, rilascia la frizione come mai gli si era visto fare negli ultimi tempi e, finalmente, mantiene la posizione di partenza; presupposto basilare nella MotoGP odierna per poter sperare in una domenica da protagonista, per poter scaricare sull’asfalto il massimo del proprio potenziale, spesso alto e spesso inespresso quando si parla del numero 12. Si nota ad occhio nudo che Maverick e Marc, con quella gomma anteriore che garantisce più sostegno e stabilità se portata nella giusta finestra di temperatura, riescono a frenare più tardi di avversari. Entrano in curva con una velocità diversa, ad ogni staccata mangiano metri preziosi agli altri piloti, che per proteggersi tentano di scappar via in accelerazione. Maverick è indemoniato, sembra davvero Top Gun: l’asfalto di Le Mans non produce attrito sulla sua Aprilia e lui vola. Prima ingoia Marco Bezzecchi e poi, con una manovra da lacrime agli occhi all’esterno della prima chicane, sopravanza Luca Marini. Nel giro di poche curve lo spagnolo è già negli scarichi di Pecco Bagnaia. Il numero uno al quinto giro è braccato, nella morsa tra Vinales e Marquez.
La “Esse Bleu” al Bugatti di Le Mans è una destra-sinistra con banking positivo, come direbbero quelli bravi. In quel punto la contropendenza della pista è benevola, perché spinge i piloti verso la corda della curva e offre alle gomme una maggiore superficie d’appoggio. Vinales attacca Bagnaia all’ingresso della prima piega, finendo leggermente largo. Pecco tenta l’incrocio e si riaffianca all’esterno di Maverick per impostare la successiva “sinistra”. Nessuno dei due è propriamente davanti, “sono paralleli” – tuona Guido Meda dalla cabina di commento. Entrambi cercano di effettuare il cambio di direzione appaiati, ma Vinales – che punta gli occhi all’interno della curva e può al massimo intuire la presenza di Pecco al suo fianco – ha un raggio d’azione inferiore per spostare se stesso, il suo peso e quello dell’Aprilia da una parte all’altra. Lo spagnolo, così, con un movimento quasi impercettibile sul manubrio tenta di riappropriarsi della traiettoria ideale. Sulla racing line, però, c’è Pecco Bagnaia, il quale può solo intuire che Vinales, dopo il sorpasso, sarebbe tornato sul suo cammino. Ma è troppo tardi. In questa MotoGP accade tutto così velocemente che il tempo per intuire, pensare, e calcolare, scarseggia. In pista prevalgono istinti, sensazioni, odori, rumori. Vinales e Bagnaia si scontrano, finiscono dritti nella via di fuga. Pecco viene sbalzato dalla sua Desmosedici e la sua caviglia affonda in malo modo nel ghiaione (niente di rotto, è solo una distorsione). L’atterraggio di Vinales, invece, termina addirittura contro gli air fence, quelle protezioni che assorbono gli urti, sulle quali si rompono anche l’Aprilia e tutte le aspirazioni di Pecco e Maverick per la domenica di Le Mans. Il numero 12 si rialza di scatto e corre verso il campione del mondo in carica. L’adrenalina è a mille, i freni inibitori azzerati. “Ma cosa fai?” - il significato di un ultimo gesto vagamente cordiale tra Bagnaia e Vinales. I due arrivano faccia a faccia e cominciano spintonarsi. Sono solo i preliminari. Perché, sotto l’occhio pettegolo della regia internazionale, volano anche una manciata di schiaffoni, che sui caschi in carbonio suonano come carezze. Servono ben due marshalls, però, per separare Pecco e Maverick.
“Sono salito sullo scooter di un commissario per tornare ai box, ma ho visto che Vinales rimaneva a piedi, così ho chiesto al marshall di aspettarlo”. Rientrano nel paddock assieme, Pecco e Maverick, seduti uno dietro l’altro sullo stesso motociclo. Lo spagnolo scende e allunga il braccio verso il pimontese, che ricambia regalando vigore e scuotimento a quella che a tutti gli effetti è una stretta di mano. Pace fatta. “So’ ragazzi”. No, sono bravi ragazzi Pecco e Maverick, notoriamente tra i più polite della MotoGP. L’adrenalina si sgonfia, lo spavento svanisce, ed ecco che due animali da gara tornano in sé, riconoscendosi. Rispettandosi, forse, ancor più di prima. “Siamo tra i piloti più fair della MotoGP e questo ha aiutato nel colloquio con la Direzione Gara. Penso che Pecco avrebbe potuto concedermi un pochino più di spazio, ma è comunque un incidente di gara. Però, c***o, dobbiamo darci una calmata tutti quanti in gara, perché se continuiamo così non arriviamo sani a novembre, a Valencia” – commenta Maverick a caldo. “Abbiamo sbagliato entrambi, anche io. Due traiettorie giuste che si incontrano nel punto sbagliato. Dovevo ascoltare l’istinto e mettermi davanti, senza stare nella mischia a cercare di gestire. Se mi fossi messo in testa niente di tutto ciò sarebbe accaduto“ - le impressioni di un Bagnaia dispiaciuto e dolorante. “Direi un 48 per cento colpa di Maverick e un 52 per cento colpa di Pecco, che era dietro ed era l’unico dei due che poteva evitare il contatto. Ma resta un incidente di gara, racing incident. Queste sono le corse” – le parole di Massimo Rivola, Amministratore Delegato di Aprilia Racing. Sì, queste sono le corse. Piloti disposti a sacrificare anima, corpo e qualsiasi residua energia mentale. Uomini che sull’asfalto lasciano tutto, il meglio e il peggio di sé. Ragazzi feroci a visiera abbassati, leali e onesti a fine giornata. Guardiamo le gare per ricevere, di riflesso, parte della loro adrenalina. Per emozionarci, arrabbiarci, soffrire ed esultare con loro in un vortice pazzesco che dura quaranta minuti. Ci stancheremmo di farlo se, dopo la bandiera a scacchi, mancassero rispetto e riconoscenza. Altrimenti tutto sarebbe fine a se stesso, come sfogarsi senza poi essere appagati. Altrimenti, alle 14 di domenica, schiacceremmo un pisolino. Invece, tra quattro settimane, ci si rivede al Mugello. Lì, per definizione, non si dorme.