Atteso, chiacchierato, ad un certo punto addirittura sospettato. L’ennesimo ritorno di Marc Marquez, stavolta per il GP di Francia 2023 a Le Mans, ha prodotto l’ormai consueto e inarrivabile spettacolo sportivo: tante cadute, qualche dichiarazione forte (“l’unico contatto da sanzionare dall’inizio dell’anno è stato il mio a Portimão”) e altre piccole polemiche, al punto che comunque la si voglia vedere si tratta di una grossa ricchezza per il motociclismo. Marc venerdì gioca con la scia e sabato rischia la pole, lottando come il fuoriclasse che è sempre stato per salire sul podio alla prima occasione utile. La prova però è dura per il fisico e forse anche per le gomme, così lo spagnolo finisce per accontentarsi di quel quinto posto che per gli altri piloti Honda (il migliore è Takaaki Nakagami, 10°) resta un miraggio.
Però c’è la domenica e Marc Marquez, come ogni fuoriclasse, è un uomo della domenica, perché è lì che tira fuori le idee, l’estro e il coraggio che lo hanno portato a vincere così tanto in ogni condizione. Vederlo scivolare a un giro e mezzo dalla bandiera di Le Mans fa male, perché l’impressione è che sia finito un ciclo che sarà anche quello di un pilota controverso ma è anche - e sarà sempre - quello di uno dei più grandi sportivi di tutti i tempi. È il segno del tempo che passa, di quando la pandemia non sapevamo nemmeno cosa fosse e di un mondo che inevitabilmente si è fatto più complicato anche nelle corse, dove una continua trasformazione porta all’incertezza. È, per Marc Marquez, come tornare da un lungo viaggio e trovare quella ragazza con cui avevi condiviso i tuoi vent’anni sposata a un altro, uno che non sa trattarla come te. Marc nella ghiaia di curva sette incarna tanto la forza di un combattete ("preferisco così che finire 10°") che la solitudine della sconfitta. Era un imperatore, ora deve difendere il poco che gli resta. Le sportellate con cui si è fatto largo per tutta la carriera adesso le riceve, non le produce. La pressione la subisce, non la impone. Mentre Marco Bezzecchi si produce in un block pass mandandolo largo - esattamente come Marc ha fatto centinaia di volte - l'otto volte campione del mondo deve aver pensato che sì, tempo due giri e gliel’avrebbe ridata con gli interessi, alla Marquez appunto, per imprimergli in testa che queste cose con lui non se le può permettere. E invece niente, quella moto adesivata di giallo in un garage di Tavullia ha preso il largo per galoppare in solitudine. E poi Jorge Martín, che racconta di aver tentato “sei o sette sorpassi”, sempre tenuto dietro correndo col cuore. Marc di lui avrà pensato “ora sbaglia, ora cade, ho il podio in mano”. A sbagliare, in questo intenso duello durato sei giri, è stato il fuoriclasse, Marc Marquez. Lui la racconta senza fare grossi misteri, spiegando di aver dato tutto ad ogni giro per stare sul podio. Ha anche quasi ammesso di aver subito un po' la pressione.
È bello che Marc sia tornato. Oggi come prima ha la capacità di elevare lo spettacolo e portarlo un po’ più in alto, esattamente come fa con tutto quello che gli capita per le mani, che si tratti di seguire un pilota o di far funzionare una moto che per altri è niente meno che un incubo. Tornerà a vincere, o almeno non scommetteremmo un centesimo sul contrario, ma questa MotoGP è diversa, più matura e complessa. I ragazzi sono cresciuti e non bastano più i trucchi di magia per impressionarli e girare loro intorno come fossero birilli. In questa MotoGP non c'è più spazio per l'incertezza o la pezza cucita col talento, così chi non può permettersi un mezzo tecnico da prima fila fatica di più: l'epoca delle magie è stata sostituita da un mondo tecnologico fatto di abbassatori, alette e tanta elettronica. E i piloti, senza esclusione, devono adattarsi, anche se si chiamano Marc Marquez.