Sono passati due anni esatti dalla squalifica per doping inflitta ad Andrea Iannone, trovato positivo al drostanolone dopo il GP di Sepang del 2019. Una vicenda controversa per modi e tempi con errori da entrambe le parti per quanto, a conti fatti, a pagare sia stato solo il pilota. La WADA, l’agenzia anti-doping, non ha giudicato nel merito il pilota, attenendosi a normative pensate principalmente per atleti olimpionici e quindi lontane dal mondo del motociclismo: quattro anni di squalifica, per un pilota di MotoGP, sono assolutamente spropositati. Specialmente considerando che la quantità di sostanze rinvenute nelle analisi del pilota è stata minima e che difficilmente avrebbe potuto influire positivamente sul suo rendimento in gara. Tuttavia la difesa dell’abruzzese è stata debole, impostata sulla ‘contaminazione alimentare’ causata da una fetta di carne mangiata in Malesia prima del Gran Premio. Del piatto mangiato però non c’era traccia, né tantomeno la prova che in Malesia utilizzassero il drostanolone come steroide per bovini, più costoso e meno efficace di altre sostanze generalmente impiegate negli allevamenti. Ad inasprire la vicenda, ad ogni modo, è la sensazione che la WADA (e di conseguenza il TAS di Losanna) abbia preso le sue decisioni in maniera più politica che tecnica, senza considerare le sfumature del caso né tantomeno mettendo in discussione il proprio metro di giudizio.
In questi due anni Andrea Iannone ha parlato della sua rabbia, di quella che reputa un’ingiustizia e del desiderio di tornare a correre. Cosa che, in più occasioni è riuscito a fare, spesso e volentieri con quel’Aprilia che non l’ha abbandonato nemmeno dopo la sentenza. Niente corse e niente moto da gara però e, per quanto la moto di Noale sia estremamente raffinata, MotoGP e Superbike restano mondi lontani dalle moto di serie.
Ai due anni esatti dalla squalifica, venerdì 17 dicembre, Iannone ha ricordato che la sua è un’attesa, non una rinuncia: “Torneremo - ha scritto - e sarà come la prima volta”. Forse non in MotoGP, dove l’età media si è drasticamente abbassata, ma in Superbike l’abruzzese potrebbe ancora trovare il suo posto in griglia di partenza. Jonathan Rea, che quest’anno ha lottato fino all’ultima gara per il 7° titolo consecutivo (diventato però il primo di Toprak Razgatlioglu) ha 34 anni, Iannone ne ha 32. E Alvaro Bautista, con cui Ducati punta al titolo nel 2022, ne ha da poco compiuti 37. Di tempo insomma ce n’è, di talento anche. E la voglia di tornare, anche dopo due anni, non sembra affatto passata.