I media inglesi sostengono che Andrea abbia chiuso con la MotoGP molto prima della squalifica. Perché ha sbagliato a rifiutare l’ingaggio offerto da Ducati andando in Suzuki prima e in Aprilia poi, quando la moto di Noale non era ancora competitiva e lui si trovava nel vortice mediatico di Belén Rodriguez. Può darsi, non lo scopriremo mai.
Al posto di una smentita è arrivata la WADA e, con lei, quattro anni di squalifica. Per Iannone restano le corse in televisione o dal muretto dei box. Ma se le porte della MotoGP sembrano chiuse - al netto delle belle parole di Paolo Campinoti - quelle delle derivate di serie di certo no.
Andrea è ancora un pilota e vederlo in Superbike sarebbe eccezionale, questo è un fatto. Per lui, senz’altro tra i più talentuosi della sua generazione, ma anche per il campionato. Un personaggio divisivo, che fa parlare. Magari con una moto italiana, dall’Aprilia che vinceva con Max Biaggi alla Ducati serve un pilota su cui scommettere. Due case a cui, oltretutto, Iannone si è già legato in passato.
Sarebbe una bella storia di sport, perché di aforismi sulla libertà che ci viene tolta ce ne sono fin troppi e sono tutti giusti. Quattro anni senza correre, se fai il pilota da quando sei bambino, sono tutta una vita. E Andrea ha vinto tanto ma avrebbe potuto fare meglio, lo sa anche lui. In quattro anni si possono dimenticare gli automatismi, le piccole malizie, le strategie tecniche. Dimenticarsi il talento però è impossibile.
Allora eccola, la serie Netflix di cui abbiamo bisogno. Chiamatela come vi pare. Se Iannone firmasse un pre contratto per l’anno di rientro potrebbe passare il resto della squalifica a raccontare la sua preparazione. I momenti duri, gli allenamenti di un pilota, la speranza che si assottiglia. Una storia scritta e raccontata centinaia di volte dai blockbuster hollywoodiani che diventa reale. Nel mondo immediato delle dirette Instagram e dei vlog su YouTube funzionerebbe di sicuro.
Sarebbe come vedere Rocky che si allena sulle scalinate di Philadelphia, che tira cazzotti ai quarti di bue. Con il suo personalissimo Apollo Creed rappresentato da un campionato che non conosce, dall’età che avanza e dagli avversari veloci. Sarebbe così, ma molto più vero. Tutti contro, solo il talento a favore. La fame, la voglia di riscatto. In sottofondo, la vita esagerata che ha sempre fatto. Motore.