Avete mai sentito parlare dei ricordi lampadina? Si tratta di quegli avvenimenti così forti, così emozionanti, scioccanti, devastanti o piacevoli da segnare per sempre l'immaginario di un individuo. Sono sensazioni che rimangono sotto la pelle: odori, parole, suoni, tutto è vivido, anche a distanza di anni da quei momenti. Cose come l’11 settembre: tutti ci ricordiamo dove eravamo e che cosa stavamo facendo. Ecco, per me la stessa cosa vale per l'annuncio della morte di Marco Pantani. Era il 14 febbraio 2004, avevo dodici anni e mi trovavo da mia nonna. Era più o meno l'ora di cena, quando al telegiornale di Rete 4 ho sentito dire qualcoa del tipo: "è giunta una triste notizia, è stato trovato il corpo senza vita di Marco Pantani a Rimini". Mi ricordo che nel servizio veniva usata la parola overdose, ma io non sapevo che cosa volesse dire. L’ho capito poi, chiedendolo a mio fratello. Nessuno voleva credere che fosse davvero quello il motivo, nessuno si dava pace del fatto che Marco fosse morto in quel modo tra droghe e psicofarmaci.
Qualcosa non tornava. Dicevano.
Da quel giorno il caso Pantani è diventato tema di discussione e ogni volta c’è un programma, uno scoop, una novità su come è andata davvero la morte di Pantani. I genitori chiedono giustizia da sedici anni, la stampa prova a capirci qualcosa e intanto Marco Pantani non ha pace.
Ogni anno, ci sono nuove testimonianze, nuove prove scientifiche, nuovi video, immagini, dichiarazioni. Pantani non c’è più e di lui si continua a parlare per le cose sbagliate, come se il Pirata venisse ricordato solo per la sua morte invece che per la sua vita, per le sue imprese, per aver fatto godere migliaia di persone e aver donato sé stesso a dei ragazzini che a ogni pedalata urlavano il suo nome fingendosi fenomeni della salita. Marco Pantani un fenomeno lo è stato sul serio e per quello deve essere ricordato, celebrato, commemorato. E in un momento in cui le statue cadono (o vengono imbrattate) che nessuno si permetta di sfiorare quella del Pirata. Deve diventare un luogo di culto per gli appassionati, deve continuare ad alimentare la sua leggenda sportiva, la sua capacità di entrare nelle case degli appassionati. Che si parli di questo e di nient’altro, perché, forse, non c’è niente di nuovo da scoprire, forse da subito la verità è venuta a galla, forse chi parla adesso ha solo una gran voglia di farsi vedere, di farsi conoscere, di darsi visibilità sulle ceneri altrui, forse dobbiamo accettare che Marco abbia sbagliato o abbia voluto fare quello che voleva fare, forse dobbiamo semplicemente renderci conto che le cose sono andate come tutti sappiamo, metterci l’anima in pace e lasciare il ricordo di Marco Pantani solo ed esclusivamente attaccato al suo modo splendido, morboso, aggressivo, frenetico di correre in bici. Basta parlare di lui, basta fare visualizzazioni, soldi, share, ascolti con il suo nome, basta tirarlo in mezzo e infangarlo.
Stasera Le Iene trasmetteranno un nuovo servizio su di lui, su nuove presunte prove riguardanti il suo caso. Fanno il loro lavoro, quello dei giornalisti d’inchiesta, quelli che se c’è un minimo dubbio si deve scavare, si deve provare, si deve sperare. È vero, lo so. Ma questa storia sembra aver già dato e detto tutto, e forse, questa volta, andare avanti non serve proprio a niente. Perché comunque la si metta, Pantani non c'è più e l'unica cosa che dovremmo davvero fare è lasciarlo in pace e fare visita al suo monumento, quello dedicato a uno dei più grandi di sempre.