Ogni muro a Montecarlo parla una lingua fatta di ricordi. Carezze di monoposto e incidenti, baci appena sfiorati ed errori sussurrati tra le curve più famose del mondo. Dalla rascasse alle piscine, dal Casinò al tunnel, Monaco mette passato e presente dentro a confini sbiaditi, fatti di attimi che restano lì, sotto al cemento di una città che non assomiglia a niente e a nessuno. Sono i muri della casa di Charles Leclerc che qui, a Montecarlo, è nato e cresciuto, coltivando con la tenerezza di un bambino un amore per la velocità che non può non germogliare tra queste strade. Lui che il tracciato di Formula 1 lo percorreva ogni giorno seduto sul pullman che lo portava a scuola, imparandone ogni centimetro senza la pretesa di chi vuole qualcosa. Lui che questo mondo lo guardava dall’altro di una finestra, nei giorni di gara, osservando la sua città trasformarsi per un solo weekend all’anno, per accogliere la Formula 1, diventare magica e intoccabile, estrema.
Lui che sognava di vincere lì, vestito di rosso, a casa sua, più che in ogni altro luogo. Un sogno a cui Charles è stato vicinissimo per due volte, con due pole position alla guida della sua Ferrari, finite in una delusione di cui il monegasco porta i segni addosso. Cicatrici di storie mai concluse, ferite che nel tempo hanno preso la forma della maledizione, di una sfortuna cucita sulla tuta rossa impossibile da strappare. La prima arrivata nel 2021 dopo una pole perfetta chiusa con un incidente senza apparenti gravi conseguenze. Grandi festeggiamenti in attesa della gara e poi la delusione amara della domenica: un problema alla vettura non visto, non controllato, costringe Charles al ritiro prima del via. Si siede su un muretto, la testa bassa, gli occhi chiari pieni di una delusione viva, terrene. Fa male da guardare, quella fotografia di Leclerc. Seduto lì, su uno dei tanti muretti della sua città, a scrivere una fetta di storia a cui avrebbe rinunciato volentieri. Poi la voglia di redenzione in un 2022 che portava il seme della lotta mondiale per la sua Ferrari, un'altra pole a Monaco, un'altra qualifica da festeggiare aspettando la domenica. Poi, ancora, la maledizione: la pioggia, la strategia sbagliata dal muretto, la rabbia viva di un pilota che lì dove tutti dicono che in gara "non succede mai nulla", trova sempre qualcosa che gli toglie tutto.
Non sorprende allora vederlo con uno sguardo diverso quest'anno, al ritorno in pole nella sua Montecarlo. Misurato, senza troppa voglia di festeggiare: "Le altre volte me la sono goduta di più" dice, focalizzandosi sulla domenica. Gli occhi lo riportano lì, a quel muretto nel 2021, a quelle strade di casa che lo hanno deluso più di tutte le altre. Sono gli occhi di un Leclerc più maturo, che comunica con il suo nuovo ingegnere di pista in un modo a cui non siamo abituati, che parla poco e dice tutto, che non si nasconde. "Quando mi metto il casco passa tutto" dice pensando alla gara e vedendolo scendere in griglia, mentre la sua città invoca il suo nome, è facile credergli: non c'è traccia di quelle cicatrici, sotto alla tuta che indossa. Scende in pista per vincere, per gestire, per portare a casa una gara infinita che però ha il suo nome finalmente scritto sopra.
Vince, Charles Leclerc. Vince il suo primo Gran Premio di casa, il Gran Premio di Montecarlo, e lo fa con gli occhi pieni di chi per arrivare dov'è ha dovuto attraversare tutto. Sorride emozionato sul gradino più alto del podio, mentre ascolta gli Inni di due paesi che lo hanno accompagnato nel suo viaggio, quello monegasco e quello italiano. Sorride delle sue cicatrici, di un conto chiuso, di un muretto del Principato che oggi racconta un pezzo di storia in più. Quella di Charles Leclerc, il pilota della città. Vincitore del Gran Premio di Montecarlo.