Questo podio è solo suo. Non è della squadra, non è della monoposto. È suo, solo suo
Sabato, dopo un disastro rosso sangue in qualifica, Leclerc aveva detto di non credere ai miracoli. La macchina era pessima, il motore non c’era e sarebbe stato inutile sperare in qualcosa di concreto.
Ma non ti serve l’aiuto dei miracoli quando corri in Formula 1. Serve talento, costanza e - se guidi una pessima monoposto - una buona dose di fortuna. Ma la fortuna premia gli audaci, chi nelle cose ci mette cuore ma poi ci mette anche la testa. E Leclerc, a ventidue anni, la testa ha dimostrato di averla. Non ha voluto strafare, ha guidato pulito e sicuro nonostante una macchina da mezza classifica, e quando il caos si è scatenato (davanti e dietro alla sua SF1000) lui ha tenuto duro.
Poi ci ha messo un po’ di quella cosa che lo ha portato dov’è, prima guida Ferrari a poco più di vent’anni: il talento. Due sorpassi da manuale, senza rischiare più del necessario ma fondamentali per guadagnarsi un secondo posto sul podio che è solo suo. Non è della squadra, non è degli ingegneri a Maranello, non è della monoposto. È suo, solo suo.
Lui che ha messo una pezza a una marea di problemi e che, ancora una volta, ha fatto sfigurare il suo compagno di squadra quattro volte campione del mondo. Un altro errore di foga - sempre lo stesso - per Sebastian Vettel, lamentoso nel dopo gara e incapace di tirare fuori il meglio da una monoposto complicata, come invece ha fatto il monegasco.
Fortunatissimo nel resistere in un Gran Premio a eliminazione, Leclerc è salito sul primo podio dell’anno con la consapevolezza di un pilota di vecchia data. Giù dal podio ci è rimasto Re Lewis che, per una volta, non è stato baciato dalla fortuna, e che ha sentito più di altri la foga della ripartenza, commettendo gli errori che non siamo abituati a vedergli fare.
Ha sbagliato, l’Hamilton che non sbaglia mai ha sbagliato: prima in qualifica e poi in gara. Bottas ne ha approfittato portando a casa 25 punti, ma come sempre nessuno parla di lui perché il finnico non ha quella cosa che Leclerc invece ha.
Non è solo talento o solo carisma, non è la giovane età o la sua voglia di vincere. È il futuro. Leclerc ha la faccia del futuro di uno sport che aveva disperatamente bisogno di lui. Con Verstappen, Albon, Norris, Ocon, Russell e Gasly sta ricostruendo il profilo di un campionato che aveva urgenza di facce nuove. Grinta, determinazione e qualcosa da dire.
Perchè se Hamilton, nella consapevolezza della sua maturità, in questi mesi ha messo in piedi una rivoluzione sportiva e sociale per combattere il razzismo, anche Leclerc ha avuto qualcosa da dire.
"Quello che conta sono i fatti. Non m'inginocchierò, ma questo non significa affatto che sia meno impegnato di altri nella lotta alle discriminazioni”. Un tweet, poche spiegazioni e la consapevolezza che abbiamo presto imparato a vedere in lui. Alcuni piloti prima dell’inizio della gara si sono inginocchiati, come simbolo di un antirazzismo che il campione del mondo Mercedes ha fortemente voluto e sostenuto. Ma Leclerc no. Farà qualcosa di concreto, ha detto, ma non si è messo in ginocchio. A vent’anni sarebbe più facile dire di sì, fare quello che fanno gli altri, farsi andare bene una lotta per ideali giusti ed evitare le polemiche che sicuramente si sarebbero scatenate.
Ma Leclerc ha la voce dei vent’anni, quella che ti fa dire no al posto di sì, quella di chi non ha paura di andare controcorrente. Con lui Verstappen - e altri - rimasti in piedi alle spalle di chi invece ha scelto diversamente. È la voce di uno sport che finalmente si fa sentire nelle sue sfaccettature, senza ricorrere al buonismo di andare tutti in un’unica direzione per non creare polemiche e indignazione.
Sbaglierà tanto, ed è giusto così, farà errori di pancia ed errori di testa. Si arrabbierà con la sua monoposto e con se stesso, come fanno tutti, e la sua giovane età sarà un’arma a doppio taglio contro la maturità dei grandi.
Ma la Ferrari - nei disastri di una gestione che non sembra avere grandi speranze - ha fatto una scelta che per una volta guarda al futuro e al cambiamento. A Maranello infatti è buona abitudine portare in pista dei campioni del mondo, magari affiancati da un buon secondo pilota con la sindrome del maggiordomo, ma lasciando andare Sebastian Vettel la Ferrari ha finalmente messo in chiaro la totale devozione nei confronti di Leclerc.
Gli affidano le speranze di un futuro forse più roseo di questo presente e l’eredità di una macchina che nel 2021 sarà sua al 100%. Lui che è già il volto della Ferrari, un ruolo che si è conquistato lottando con i denti, ma lui che nella prossima stagione non avrà più nessuno davanti a sé. A Maranello non hanno preso Ricciardo, l’enorme talento sprecato della Formula 1 degli ultimi anni, a Maranello hanno preso Carlos Sainz. Giovane, costante, forse anche penalizzato dalle scelte delle scuderie che per anni se lo sono scambiato. Sarà una Ferrari fresca, senza titoli del mondo in tasca ma anche (finalmente) ben delineata. Leclerc davanti, come Schumacher ai tempi d’oro, Sainz dietro, come un buon Barrichello. Inutile stupirsi, è la legge del mororsport. Magari Sainz ci sorprenderà e si prenderà la prima guida della Rossa, così come Leclerc ha fatto su Vettel andando contro tutti nell'inizio di un 2019 che per lui era solo in salita.
Ma mentre aspettiamo che questo cambio di sedili delinei il volto di una nuova stagione loro, i piloti di una generazione che non pensavamo di poter vedere in pista così presto già hanno cominciato la scalata verso il trono. Davanti a tutti c’è questo ventiduenne con la faccia d’angelo, la serietà di una vecchia gloria e una voce che sa di futuro. Si chiama Charles Leclerc ed è quello di cui questa Formula 1 aveva disperatamentre bisogno.