A Doha c’era già da allenatore, Andrea Stramaccioni, tecnico dell’Al-Gharafa dal luglio del 2021, non fosse che lo scorso 1 novembre il club qatariota ha deciso di esonerarlo e sostituirlo con il portoghese Pedro Martins. La formula è sempre la stessa: un comunicato nel quale lo si ringrazia “per tutti gli sforzi che ha fatto per la società nel periodo in cui ha ricoperto questo incarico”, gli si augura “tutto il successo”, si posta sui social una bella foto con un banalissimo “thank you” però grazie eh, ma ora ciao ciao. Non è la prima volta che gli capita, tra esoneri e rescissioni consensuali, ma Stramaccioni in Qatar ci sarà eccome perché a ingaggiarlo è stata la Rai, che lo ha inserito nella formazione di giornalisti e opinionisti che seguirà il Mondiale in loco.
Del resto, Stramaccioni è sufficientemente televisivo per funzionare: conosce il mondo, ha allenato in paesi e continenti diversi (Italia, Grecia, Repubblica Ceca, Iran, Qatar), parla un italiano corretto, possiede quella cadenza romanesca che è un plus per la tv di Stato, è dotato di una certa dose di ironia - qui, ad esempio, i tempi comici sull’episodio di Nesta e l’imitazione di Cassano sono memorabili; poi magari si può discutere delle tempistiche, considerando che allora era allenatore dell’Inter - e ha una bella presenza, tutte doti che in televisione funzionano. Inevitabilmente sa anche di calcio, perché è il suo mestiere, anche se in realtà la sua carriera di tecnico ad alti livelli, partita col botto, si è arenata sulle opulente sabbie mobili della periferia dell’impero. Ricche, ricchissime, ma senza prospettive.
Il che, per uno che a 36 anni allenava l’Inter post triplete di Julio Cesar e Zanetti, Cambiasso e Sneijder, Maicon e Milito e oggi ne ha dieci di più, non è esattamente un’evoluzione. Stramaccioni è stato una delle non poche infatuazioni di Massimo Moratti, innamoratosi di lui - eccellente e vincente tecnico di settore giovanile tra Romulea, Roma e Inter - durante la Next Gen Series 2011-12, al punto da chiamarlo sulla panchina della prima squadra dopo avere rescisso con Ranieri il quale, a sua volta, aveva sostituito l’esonerato Gasperini. La stampa lavorò sulla mitopoiesi (Moratti, impressionato avendo seguito la Next Gen, con un foglio bianco e una penna che gli dice: “Mi disegni la sua Inter”, e aneddotica varia ed eventuale), quindi lo seppellì con l’etichetta fatale: Special Two, apparente evoluzione dello Special One. Special Two, che diamine: oltre a trattarsi di un nonsenso linguistico per l’abissale ignoranza dell’inglese, solleticava i tifosi ma mancava di contesto e prospettiva. E infatti Stramaccioni, lanciato senza nemmeno essere in possesso del patentino e confermato dopo quel finale di stagione, si è fermato al 3 novembre 2012, prima vittoria di una squadra avversaria alla Juventus Stadium: 3-1 nerazzurro e via di epinici, odi, peana. L’Inter finì nona e con Cassano, quello che prima imitava e che proprio lui volle in nerazzurro, finì malissimo, con uno screzio che il barese al solito buttò in caciara (“Con lui fu giusto alzare le mani”) e Stramaccioni a riportare il tutto sul piano di una irriducibile lite da spogliatoio (“Fece un comizio contro di me davanti alla squadra, lo affrontai verbalmente, lui negò tutto”).
Il resto è mancia: le panchine di Udinese e Panathinaikos, mezza annata a Praga, l’avventura di Teheran (il contratto, i controlli, una conferenza stampa malesaniana, la rescissione per inadempienze, i tifosi che ne chiedono il ritorno quasi fosse un eroe), qualche comparsata in tv, il Qatar. Poi c’è la quotidianità, più godibile rispetto ai risultati di campo: la moglie influencer, i quattro figli, lo spirito del viaggiatore, la Rai appunto e la consapevolezza di avere sistemato la famiglia, dal punto di vista economico, per decenni, facendo quello che più gli piace, a prescindere dai risultati e da ciò che dicono gli altri, più o meno invidiosi. Stramaccioni non è mai stato Mourinho. Ma non è un pirla.