Carlo Mazzone è morto all'età di 86 anni. Allenatore e personaggio istrionico, ha attraversato oltre 60 anni di calcio italiano, tanto che è ancora il recordman di panchine in Serie A con ben 792 partite da tecnico. Inserito nella Hall of Fame, allenatore di ben 12 diverse square italiane tra il 1969 e il 2006 tra cui Roma, Fiorentina, Napoli e Cagliari. Di lui si ricorda ancora, a distanza di più di 20 anni, la corsa sotto la curva dell'Atalanta quando guidava il Brescia al termine di un combattutissimo 3-3. Ma ho molti ricordi di Carlo Mazzone. Non so quale sia il primo, ma so per certo quale sia il più forte. È il 27 novembre del 1994 e a Roma c’è il derby. Derby che fu trasmesso in Tv (solo per il Lazio) la domenica pomeriggio e che per me rappresentò la prima partita di calcio che vidi da solo con i miei amichetti. Eravamo a casa di Flavio - più o meno a 350 metri da quella che era allora la mia casa - ma mi sembrava di essere andato all'Olimpico da solo, quel giorno. Quello fu il derby di Balbo, Cappioli e Fonseca. Il derby di Mazzone sotto la curva e di Giannini che fa "tre" con le dita. Fu il derby di Gianni Cerqueti che "La Roma con Balbo, dopo neanche due minuti di gioco" e fu il derby in cui volevamo sentirci grandi e ci ritrovammo a esultare con delle trombette inutilizzate, vittime dei calci di rigore di USA 94.
Questo è il mio primo ricordo di Mazzone: lui che esulta e corre verso i tifosi. E a proposito di lui che corre verso degli spalti vi devo subito una confessione. Sono di parte. Nel mio armadio ho ben due (non una, ma due) magliette con l’immagine di Mazzone che corre sotto il settore dell’Atalanta. Era Brescia – Atalanta, era il 30 settembre del 2001 e quel girono era in tribuna un novo acquisto del Brescia, un centrocampista di talento, ormai anzianotto e arrivato per mettere a disposizione di una provinciale la sua esperienza: Josep Guardiola che dirà: "Quello è il mio allenatore? Ma qui le partite sono tutte così?".
E così, mentre in questo momento sono certo che avanti ai vostri occhi stanno scorrendo le immagini di Mazzone che corre e non dice proprio parole d’amore ai bergamaschi, vi voglio raccontare anche le cose che non mi sono piaciute del documentario Come un padre, uscito in streaming su Amazon Prime di Alesio di Cosimo. Non mi piace la ricostruzione in stile fiction con Beppe Fiorello dei primi anni di vita di Mazzone. Onestamente dopo aver visto il mister interpretato da Martufello nel film Il divin codino la domanda che nasce spontanea è: ma era proprio necessario? Si potevano trovare sicuramente altre vie, ma alla fine parliamo di pochi – sopportabili – minuti. Poi non mi è piaciuto il pressapochismo con cui è stata tratta gran parte della sua carriera. Intendiamoci: ovvio che bisogna parlare di Roma, Brescia, Bologna e Cagliari e che si tratta di un documentario e non di una serie e quindi il tempo è poco. Ma se parliamo di chi detiene il record di 792 panchine in Serie A, forse qualche parola in più andava spesa pure per le altre squadre.
Infine la questione più delicata: se guardi questo documentario e non sei aggiornato un dubbio che il buon Carletto non sia più tra noi (per come ne parlano, per come lo raccontano) ti viene. Io stesso che credo di essere un buon conoscitore della vita di Mazzone, almeno dagli anni Novanta in poi, un salto su Wikipedia per fugare il dubbio l’ho fatto. Messo subito sul piatto quello che non mi è piaciuto veniamo alle note liete, perché ce ne sono molte. C’è Totti che pur non riuscendo a mettere da parte il suo ego ("con Mazzone forse sarei ancora in campo") racconta di un rapporto che va oltre lo spogliatoio (gli ha regalato la replica ufficiale della Coppa del mondo vinta nel 2006) e che a molti potrebbe ricordare quello tra Rocky Balboa e il suo allenatore Mickey. Mazzone ha avuto l’onore e l’onere di lanciare Totti e nel farlo lo ha consigliato, tutelato e trattato come un padre tratterebbe un figlio talentuoso. Col bastone e con la carota. Storica la scena in cui irrompe in sala stampa e lo toglie letteralmente dalle mani dei giornalisti intimandogli un severo ma giusto: "A regazzi’ vatte a fa’ la doccia".
C’è Materazzi che fa un’analogia interessante con Mourinho e dice che come lo Special one, Mazzone era in grado di creare un tutt’uno tra la squadra e il resto del team. Dal capitano ai magazzinieri, dai portieri ai cuochi. E questo faceva sì che tutti fossero disposti a tutto, anche a buttarsi in mezzo al fuoco per lui, per le sue idee e per la squadra. Tutti quando pensiamo a Mazzone pensiamo alle salvezze e alle imprese sfiorate, ma la verità è che Mazzone è stato tanto di più per il mondo del calcio. È stato l’uomo dei grandi debutti, dalla scoperta di Totti al cambio di ruolo (fondamentale) di Pirlo e dei grandi rilanci, da Giuseppe Signori a Bologna fino a Roberto Baggio col Brescia. Un Baggio che - si vede anche attraverso il filtro di telecamera e televisore - avrebbe fatto ancora di tutto per Mazzone se solo questo glielo avesse chiesto. E questa cosa – ve lo dico – vi farà commuovere.
Fondamentale per il documentario anche la presenza di Guardiola che parla poco, ma dice una cosa essenziale: "Io con Mazzone ho imparato…" e se pure il più grande allenatore del tempo moderno dice di aver imparato qualcosa da Mazzone viene forse il dubbio che il destino sia in debito con lui di un paio di trofei. Come minimo. Ma così è andata e così – la storia – ce la facciamo piacere. C’è una frase che racconta Luigi Di Biagio ricordando i saluti del Mister alla fine dell’esperienza romana: "Non avemo vinto niente, però ammazza quante risate se semo fatti". Ecco Mister, un po’a nome di tutta la generazione dei quarantenni di oggi che sono cresciuti anche col tuo calcio negli anni Novanta, nel giorno della tua scomparsa voglio dirti: grazie per tutte le risate che c’hai fatto fa’. Forse gli atalantini non saranno d’accordo, ma ci hai insegnato che il bello del calcio è pure questo.