L’addio della Suzuki alla MotoGP è stato triste e improvviso ma, più di ogni altra cosa, incomprensibile: solo qualche mese prima ad Hamamatsu avevano scelto di riportare nel paddock Livio Suppo per dare una svolta al progetto e la moto era decisamente competitiva - forse la più veloce tra le giapponesi - tanto che Alex Rins si ritrovò a vincere due delle ultime tre gare. Un costruttore che vince il giorno prima di ritirarsi, in MotoGP, non si era mai visto. Per dare una spiegazione a qualcosa che, da subito, è apparso niente meno che un mistero si è parlato di cultura nipponica, del fatto che a prendere decisioni simili non sono mai i diretti interessati e che ad aprile - quando la notizia ha cominciato a serpeggiare nel paddock - si chiude l’anno fiscale giapponese, motivo per cui un cambio dirigenziale avrebbe potuto infulire su diverse decisioni relative al bilancio tra cui quella di continuare o meno nelle corse. Una spiegazione che, per quanto plausibile, ha sempre lasciato qualche zona d'ombra: se è vero che in Giappone alcune decisioni fondamentali si prendono in primavera e che gli ordini dall’alto non si discutono, è anche vero che l’accordo con Dorna prevedeva un impegno in MotoGP da parte di Suzuki fino al 2026 che, se non per etica, avrebbe dovuto essere rispettato per le penali in gioco.
A poco più di un anno dall’annuncio, la stampa estera ha aggiunto dettagli che, se confermati, spiegherebbero buona parte della faccenda. A raccontare l’indiscrezione è Peter Bom, giornalista olandese nonché ex ingegnere, tra gli altri, di Danny Kent e Cal Crutchlow, in una puntata del podcast che registra assieme all’ex pilota Mat Oxley, il quale a sua volta è riconosciuto come uno dei giornalisti più autorevoli nel paddock, Bom racconta in questi termini la vicenda: “Tutti abbiamo capito che, per come è successo e per quando è successo, questo annuncio da parte di Suzuki è stato un momento di caos e panico per l’azienda, non una scelta ragionata mesi prima per la quale era arrivato il momento di dire la verità alle truppe. No, c’è stato qualcosa di molto strano nel modo in cui sono andate le cose”, ha ricordato in prima battuta.
“Suzuki ha fatto anche motori Diesel per Toyota, costruendoli e producendoli. E sembra che qualcosa sia andato storto. Ricordate il Dieselgate di Volkswagen? Ecco, sembra che sia successo qualcosa di simile con i motori Suzuki fatti per Toyota, che è stata chiamata a risponderne e a quanto pare la cosa si è tramutata di un affare piuttosto costoso per la Suzuki. La storia non è mai stata resa nota al pubblico, ma sembra che questo abbia fatto sì che Toyota prendesse il controllo di buona parte della Suzuki. A quel punto da Toyota hanno preteso che Suzuki ponesse fine al suo gioco preferito, la MotoGP. Se fosse andata davvero così avrebbe senso, questo è quello che ho sentito e dev’essere andata più o meno così". Al netto del fatto che Peter Bom potrebbe aver ricevuto informazioni errate, al momento una teoria più credibile di questa non esiste e, dal canto suo, Suzuki non ha mai chiarito del tutto le motivazioni che hanno portato al ritiro in maniera così repentina e definitiva. Se non altro, questo ci restituisce l’dea che difficilmente Honda e Yamaha faranno lo stesso per mancanza di risultati: Suzuki si sarebbe trovata costretta a farlo, loro no. E, a quanto pare, Dorna sta cercando di fornire a questi marchi in difficoltà tutti gli strumenti per uscire dalla crisi tecnica in cui si trovano. Resta, ad ogni modo, grande amarezza per come sono andate le cose, forse ancora di più oggi che un rientro in MotoGP da parte del costruttore nipponico sembra più lontano che mai.