Una vita che potrebbe tranquillamente essere un film, quella di Giancarlo Alessandrelli ex portiere della Juventus passato alla storia del club bianconero per aver esordito in serie A - al posto di Zoff all’ultima partita di campionato (78-79) – subendo tre gol dall'Avellino in meno di venti minuti. Quella che poteva essere una disfatta sportiva per Alessandrelli è stata una risorsa. Dalle cose più imprevedibili – ci racconta – nascono sempre delle opportunità. Quella partita infausta lo ha reso indimenticabile e lui ha usato la memoria popolare per costruirsi delle opportunità. Dal calcio al mondo dai locali di lusso (lo sanno in pochi, ma il Billionnaire è una su creatura) passando per l’amicizia con Percassi, quella (finita male) con Briatore, un quasi rapimento in Sardegna, fino alle avventure imprenditoriali di oggi. Alessandrelli ha raccontato tutto (insieme alla giornalista Francesca Muzzi) in Una storia bella. La mia vita in due tempi (Ultra sport) e Mow lo ha incontrato per fargli qualche domanda.
Più si legge il tuo libro e più la tua vita sembra un film. Piena di svolte, di seconde opportunità e di colpi di scena. Partiamo però dall’evento sportivo che ti caratterizza. Ci parli di quel Juve – Avellino del 1979?
Era la mia ultima partita con la Juve, che avrei lasciato di lì a poche settimane per passare all’Atalanta. Mi trovavo in panchina, come sempre. Ma era giusto così. Mi ero tolto le mie soddisfazioni in Coppa dei Campioni e in Coppa Italia e poi Zoff era il migliore. A un tratto qualcuno in panchina (era il diciannovesimo del secondo tempo) dice a Trapattoni: Mister lui se ne va e non ha mai giocato in serie A con la Juventus.
E a quel punto?
Trapattoni ci pensa un attimo e richiama Zoff in panchina. Finalmente è il mio turno ed esordisco in Serie A.
E poi…
E poi succede quello che succede. Vincevamo 3-0 e in quindici minuti subisco tre gol e divento il povero disgraziato di quella partita assurda.
Parli di fortuna nella sfortuna quando rievochi quei momenti. Perché?
Perché nemmeno se avessi fatto i miracoli in porta si sarebbero ricordati di me come è poi successo da quel momento in avanti. Maurizio Costanzo mi dedicò mezza puntata del suo Show, fui ospite di Raffaella Carrà, ancora oggi se mi fermano i carabinieri per un controllo io sono quello che ha preso tre gol dall’Avellino.
Faccio un passo indietro. Grazie al calcio ti sei formato e hai costruito le basi della tua vita per poi cercare fortuna in altri ambiti. Quanto devi al gioco del pallone?
Molto! Ma erano altri tempi e vivevamo in un altro mondo che prevedeva anche dei differenti valori. Oggi non è per forza peggio, ma non è la stessa cosa. Io devo tanto al calcio, ma soprattutto devo tanto alla Juventus.
Quanto ha pesato l’educazione juventina nella tua vita?
La Juve è stata una scuola di vita; fu come andare in un college svizzero coi migliori insegnanti. Quando avevo 15 anni hanno creduto in me come atleta, ma non avevo le doti umane che servivano a un uomo Juventus. Mi insegnarono a parlare, a comportarmi, l’etica, la vita. Scendendo in campo rappresentavamo la famiglia Agnelli.
Una vera e propria scuola di formazione, quindi?
Andare alla Juve in quegli anni significava formarsi dentro e fuori dal campo. Anche una volta finito di giocare resti un giocatore della Juve e questo ti aiuta nei rapporti professionali.
Hai citato Agnelli. Che rapporto avevi con lui?
Nei miei locali ho ospitato gli uomini più potenti e influenti del mondo, ma con nessuno ho provato l’emozione che provavo quando incontravo Agnelli. Era un innovatore. Anche dopo anni di Juventus ogni volta che dovevo parlarci mi tremava la voce…
Con Zoff e Tardelli hai creato un brand (si chiamava ZAT dalle iniziali dei tre ndr) di abbigliamento e aperto un negozio. Forse il primo esempio di calciatore imprenditore come lo intendiamo oggi…
Dei tre ero io quello con lo spirito imprenditoriale. Comprai il locale perché mi sembrava un buon affare e poi coinvolsi anche Marco e Dino. Oggi va di moda il calciatore che si apre il ristorante o che crea il suo brand, ma all’epoca chi giocava a calcio pensava soltanto al calcio.
L’avventura ZAT ti fa entrare in contatto con Antonio Percassi…
Mi vendeva alcuni capi per il negozio. Me li portava a Torino in macchina e li sceglievamo insieme. Siamo diventati grandi amici…
Non posso allora non chiederti un parere sull’Atalanta.
Oggi l’Atalanta è una squadra magnifica, fanno un gioco straordinario ma non avevo dubbi. Conosco bene Gasperini, giocammo insieme nella primavera della Juventus.
Nel libro parli molto della tua amicizia con Briatore.
All’inizio ero io quello famoso e lo facevo felice andando a Cuneo, così poteva fare bella figura coi suoi amici juventini. Era un ragazzo umile e intraprendente. Mi colpì come persona e nacque una bella amicizia, durata tanti anni.
Però al momento di fare affari insieme lui non si fidò della tua intuizione. Non credeva nel Billionaire.
Io avevo puntato su un locale nuovo, ma lui voleva entrare in un affare già avviato. Non si fidava, ma dopo un anno decise di unirsi a me in questa avventura incredibile.
Nonostante gli affari andassero a gonfie finisce la collaborazione e anche l’amicizia. Dal libro traspare la tua delusione. Ci racconti?
Diciamo che l’epilogo poteva essere migliore. Sono rimasto deluso e triste. Dopo 30 anni di amicizia decide di parlare di me in un’intervista con Fedez (si riferisce al podcast Wolf ndr) e mi cita come suo manager. Ma io ero il suo amico o il suo socio… non il suo manager. E allora finisce male…
Resta qualche rammarico?
Gli ho dato la mia amicizia quando ero famoso e lui no. Ed io ero davvero un suo amico. Vorrei capire oggi chi è suo amico. Si circonda di persone un po’ così, le usa, vuole dominare. Penso che se è diventato quello che è diventato probabilmente ha perso quella carica di umanità che prima lo distingueva.
In chiusura del libro ringrazi tantissimi nomi noti. Sono i vip più vip che hai avuto tra i tuoi ospiti al Billionaire? O cosa?
Sono tutti i clienti del Billionaire e del Next door (l’altro locale in Sardegna di Alessandrelli ndr) che in qualche modo mi hanno regalato qualcosa. Persone con cui ho vissuto dei momenti che mi hanno lasciato ricordi importanti. E li ho voluti ringraziare tutti. Avere seduti allo stesso tavolo nel locale Denzel Washington e Bono Vox… Che periodo fantastico! Certe sere andavano in confusione anche i paparazzi. C’erano troppi vip e non sapevano chi fotografare.
Potresti fare un libro solo sui tuoi locali e gli ospiti…
E non potrei nemmeno raccontare tutto! (ride ndr)
Di cosa ti occupi oggi?
Lavoro per i Globe Soccer Award e sono consulente e ambassador di un azienda leader nella vendita di lingotti d’oro e di argento da investimento. Mi piace perché convinco procuratori e calciatori a investire in cose sicure come l’oro. Ai miei tempi qualche soldo l’ho sprecato provando a fare fortuna con le azioni.
La morale del tuo libro?
Il lavoro paga e la vita riserva sempre sorprese. Anche quando le cose sembrano andare male.