È una Formula Uno che vive di piccole cose quella che abbiamo salutato ad Abu Dhabi. Dettagli in pista, dettagli fuori. Dettagli che fanno rumore e dettagli che si intrecciano silenziosi. Che, se i track limits di sabato, al limite del percepibile, hanno lasciato a bocca asciutta Charles Leclerc su tutti, sono i saluti e le dediche che fin dal giovedì hanno animato il paddock ad averci regalato una sensazione di velata malinconia. A lasciarci con l’essenza di uno sport che dell’azione sull’asfalto se ne fa ben poco quando all’ultimo appuntamento stagionale ci sono in gioco vicende che, oltre quell’asfalto, segnano la fine di un’era.
Quella di Yas Marina è una Formula Uno che vive di piccole cose, sí. Di fotografie su caschi che si indossano una volta sola, l’ultima. Fotografie che fermano il tempo a quei momenti lì, quando la storia la stai facendo senza nemmeno rendertene conto. Così Zhou Guanyu ricorda Shangai, quando accovacciato a terra con le mani sul viso percepiva l’abbraccio del suo pubblico, un tributo alla sua giovane carriera e al legame con la sua terra. Che nessuno, in fondo, gli toglierà mai il titolo di primo pilota cinese della classe regina. E poi così George Russell ripensa al primo incontro con Lewis Hamilton, nel 2008, alla ricerca del prezioso autografo di colui che in seguito sarebbe diventato suo compagno di squadra, in un sogno chiamato Mercedes.
Scritte, nomi e numeri nell'ultima notte di questa Formula 1
È una Formula Uno che su quegli stessi caschi vive anche di scritte. Il What’s Next di Valtteri Bottas, come a sottolineare che per ogni fine c’è un inizio, che quello che viene dopo è un mondo tutto da scoprire. Il Muchas Gracias Carlos di Charles Leclerc, che quattro anni insieme sono speciali, soprattutto se vesti i colori di Maranello. Il Danke di Lewis Hamilton, che forse ad avere il compito più arduo di tutti è proprio lui. Correre per l’ultima volta per quella che per undici anni è stata la tua famiglia, un’ultima bandiera a scacchi nel nome di chi ti ha reso grande. Che in fin dei conti si tratta solo di spostarsi un po’ più in là, vestito di un rosso che suo non lo è mai stato ma che presto lo sarà.
E poi vive di numeri, che sulla maglia ignifuga di Carlos Sainz non c’è più il cognome, non il numero 55. Sono quattro annate, come il tempo trascorso dal madrileno a Maranello, podi e vittorie. Quindici terzi posti, cinque secondi, quattro successi. Che riassumere con delle cifre l’esperienza nella scuderia dei sogni non è cosa facile quando le emozioni provate vanno ben oltre sotto il segno di quel rosso che è storia e mito. Emozioni che in Ferrari pesano il doppio, segnate da una tradizione che ti porti sulle spalle e che cerchi di onorare. Che riassumere quattro anni non è cosa facile soprattutto se stai per andare via. Però alla fine accetti il tuo destino dinanzi all’immensità di un sette volte campione del mondo che chiama alla porta di un desiderio a lungo nascosto, una leggenda che si unisce alla leggenda.
Una Formula Uno che vive di nomi e cognomi, di chi resta e di chi se ne va, di chi cambia e di chi si affaccia a quella realtà a lungo anelata, a tanto così da poterla chiamare casa. Arthur Leclerc sale sulla rossa durante le prime prove libere e al suo fianco c’è suo fratello Charles, coronamento di un sogno dinanzi allo sguardo orgoglioso di mamma Pascale. Che essere i primi fratelli a condividere il ruolo di compagni di squadra è un ricordo che difficilmente sbiadirà, per i sacrifici fatti in passato e per un futuro che per il più piccolo dei Leclerc è sempre più vicino e che rosso rimane.
Vive di novità. Di un Max Verstappen che diventerà papà e che fa strano perché è in casi come questo che scende il sipario su un’immagine costruita a tavolino, fatta di visiere abbassate e acceleratore al via. Scende su un ragazzo di ventisette anni che oltre ai motori ha una vita propria. Una vita che evolve e che deve fare i conti con gli impegni di un calendario sempre più fitto. Con pretese che dai piani alti sembrano sempre più paradossali, che forse, alla fine, sarà proprio questa la ragione dietro all’addio definitivo del pilota di Hasselt. Quando sarà.
Quella di Yas Marina è una Formula Uno che vive di momenti. Di una cena piloti. Che fa sempre strano vederli tutti assieme in circostanze normali, ma fa anche intendere come mantenere un rapporto umano sia di vitale importanza in uno sport che dopotutto ti porta ad avere più nemici che amici. Di preparatori fisici che si ritrovano per salutare la stagione che volge al termine, che ad unirli c’è la professione ma a separarli c’è la maglia che indossano. Della piccola Laura che aiuta papà Kevin Magnussen a preparasi. A preparasi per la sua ultima qualifica di Formula Uno, un guanto dopo l’altro, come un rito. “Ricordati di guidare bene” gli dice poi, che seduta a gambe incrociate e con le cuffie indosso Laura lo sarà sempre, magari un po’ più grande, dovunque sarà. Di abbracci che durano tanto, tra un figlio e una madre, che Lando Norris, nella notte araba, corona un sogno chiamato Campionato Costruttori e lo fa tra l’affetto dei suoi cari. E poi le mani di Charles Leclerc sbattute sul volante, reazione di un ragazzo che dal 2019 è reincarnazione dell’Essere Ferrari, che era a tanto così dal titolo iridato con la squadra con cui ha condiviso tutte le sue prime volte tra i grandi. O Lewis Hamilton che accarezza la sua ultima monoposto in nero, quella che tanto lo ha fatto patire ma che tanto gli ha insegnato. Degli occhi rossi di un Carlos Sainz che ha rimandato il pensiero fino all’ultimo. Che le lacrime poi arrivano nell’abbraccio della sua gente, di chi in Ferrari lo ha accompagnato giorno dopo giorno.
Addii e arrivederci dall'isola di Yas
È una Formula Uno che vive di volti, sorridenti e corrucciati, che una linea sottile divide chi ce l’ha fatta e chi era a un passo da quella cosa lì, chiamata trionfo. Linea sottile che non ha ragione di esistere negli abbracci tra le donne e gli uomini vestiti di rosso e papaya. Loro che sotto i fuochi d’artificio che illuminano il cielo ci insegnano che cosa significhi il rispetto reciproco. Vive di parole dette, del We dreamed alone, but together we believed di un Hamilton che, quarto al traguardo, ora ha davvero messo un punto alla sua storia con il team di Brackley.
Del You made my dream come true di un Franco Colapinto che non sa se il futuro lo riporterà presto in Formula Uno ma che a questa Formula Uno lui sa di appartenere. Del Forza Ferrari, sempre di Carlos Sainz e, infine, del I wouldn’t be the driver I am today without him as my teammate di Charles Leclerc, che così bene riassume quella specie di fratellanza instauratasi tra due piloti che di Maranello hanno fatto tesoro.
È quindi il tramonto di Abu Dhabi che cala sull’ultimo ballo di una danza che quest’anno è durata come mai prima d’ora. Cala sulla ventiquattresima e ultima volta del 2024, anno di prime volte e di cadute, rinascite e sorprese. Un tramonto che fa da sfondo all’ultima (e sfortunata) di Valtteri Bottas, Zhou Guanyu e Kevin Magnussen e ai mezzi addii di Nico Hulkenberg, Esteban Ocon, seppur assente, e Carlos Sainz. Che per quest’ultimo in particolare sarà difficile accarezzare il fondo della griglia ma lo farà consapevole di essere stato pilota Ferrari. Perché in fin dei conti si sa, una volta che sei pilota Ferrari, lo rimani per sempre.
Che sull’isola di Yas abbiamo visto il cuore dello sport. Lì dove il cielo si tinge di arancio ed addii e arrivederci sono sempre difficili, lì dove quest’anno lo sono stati un po’ di più.