Alonso e Valentino dovrebbero ritirarsi, Rosberg e Stoner invece dovevano continuare. Nessuno sopravvive al giudizio di chi batte sulla tastiera
Tutte le volte che, in questi giorni, ho letto “Ah ma il ritorno di Alonso toglie un sedile a un giovane” mi è venuta l’orticaria. Come se la Formula 1 funzionasse come le scuole superiori che buttano fuori un’annata a calci nel sedere per lasciare i banchi a quella che arriva. Come se i giovani talentuosi (e con i soldi per correre) non trovassero spazio in uno sport in cui tutto viene affidato a loro. Nella tombolata dei piloti 2021 la casella libera di Renault si è semplicemente riempita con il numero 14, quello di Nando, e nessun giovane è stato sacrificato per questo giorno benedetto. Nessun ragazzo prodigioso è stato decapitato per il gusto - un po’ romantico - di vedere di nuovo il vecchio Alonso in pista.
È la storia dei grandi che ritornano, forse più per dimostrare qualcosa a loro stessi che per provarlo agli altri. Alonso vincerà? Molto, molto probabilmente no. La Renault non è una monoposto da lotta mondiale, non si gioca il podio nemmeno con un talento come Ricciardo e, considerando che le monoposto del prossimo anno saranno simili a quelle di questa stagione, la risposta più plausibile è: no, Alonso non vincerà.
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Ma Fernando non sta tornando in F1 per vincere il terzo titolo mondiale e forse, quando lo capirete, placherete almeno un po’ di tutta questa rabbia.
La stessa angoscia da leoni da tastiera che vi fa insultare Valentino Rossi perché “non vince niente da 10 anni e deve ritirarsi”. Però magari non vi è andata giù neanche quando - al contrario - uno come Stoner si è ritirato giovanissimo: troppo presto vero? Troppo debole per continuare? Magari era pure solo fortunato. Vabbè, che sfigato…
Stesso discorso per il belloccio del paddock, Nico Rosberg, che con un ritiro dopo la vittoria mondiale ha aperto le acque degli haters con qualcosa che non credevo possibile all’animo umano: perché se ti ritiri da vecchio bacucco sei uno sfigato ma se ti ritiri da giovane, dopo aver vinto quello che volevi e con una bella vita davanti, allora sei ancora più sfigato. Sicuramente ti ritiri per paura, per non farti battere da Hamilton, per non fare figuracce. Il popolo ha deciso che sei bollito, debole, da buttare.
Così è (se vi pare)
Con Alonso oggi è lo stesso: va in Renault ma sicuramente non vincerà nulla e questo fa di lui un perdente. Uno che nella vita ci ha provato ma ci è riuscito poco, con fatica. E allora viva i giovani e abbasso i vecchi “che sono lì solo per visibilità e soldi”. Tanti saluti e grazie.
"Eh ma ha vinto a Le Mans con la macchina migliore". Certo perché in Formula 1 si vince con la monoposto che va più lenta, vero?
Che poi vorrei chiedervi dove siete stati mentre Alonso conquistava, impresa dopo impresa, il suo spazio nell’Albo d’oro del motorsport. E quello spazio se lo è preso con i denti, andandolo a cercare altrove quando la Formula 1 non gli dava più niente. Fenomenale alla sua prima 500 Miglia di Indianapolis nel 2017 da rookie, prima che la sua solita sfortuna lo colpisse constringendolo al ritiro mentre si giocava la vittoria. Quell’anno ancora correva in F1 e saltò il Gran Premio di Monaco per attraversare l’oceano e tentare l’impresa. Sulla sua McLaren quel weekend corse il vecchio compagno di squadra Button, lui dall’altra parte del mondo a provare qualcos’altro, a dimostrare che c’è di più oltre le mura dorate dei paddock della Formula 1.
E poi sono arrivate le due vittorie a Le Mans, quelle che hanno aperto la strada alla Tripla Corona. “Eh ma ha vinto perché aveva la macchina migliore, con la Toyota vincevo pure io Le Mans”. Certo perché in Formula 1 di solito vince chi ha la monoposto più inguidabile e lenta. Funziona così no? Avete sicuramente, di nuovo, ragione voi e le vostre tastiere.
Da quando si è ritirato Fernando Alonso ha fatto tutto, è stato chiunque, ha continuato a battere gli altri ma ha soprattutto battuto se stesso. Vedere un pilota di Formula 1 sotto il sole della Dakar, a combattere contro il tempo, è stata l’emozione che questo 2020 ci ha regalato prima di chiudere le porte del motorsport causa pandemia.
Lui alla sua prima Dakar, a lottare come chi deve sempre dimostrare di poter andare oltre le aspettative e gli obbiettivi, come un rookie con il mondo intero da conquistare. La sua prima Dakar - quella che non ti scordi mai - è l’immagine di un ex pilota di F1 con le fascette in bocca a sistemare i guai di una tappa sfortunata (ovviamente) e ripartire, sempre, verso qualcosa di nuovo. “Eh ma non ha vinto” e in questo mondo se non vinci non sei nessuno. Magari lo scrivete sotto a un articolo su Facebook con una coppa di plastica sulla scrivania che, nel 98, vi ha consacrati campioni di tennis del vostro paesino.
La storia di Alonso è la storia di un pilota ossessionato dalla vittoria: sempre incazzato, sempre scontento, sempre alla ricerca di qualcosa su cui sfogare anni di vittorie sudate ma mai proclamate e stagioni su stagioni che sarebbero potute andare diversamente.
Ma l’addio, e il ritorno, sono il simbolo di un cambiamento che in Alonso ha la forma dell’accettazione del compromesso. Dopo aver girato il mondo intero, correndo su qualsiasi cosa avesse quattro ruote per il gusto di infrangere record e, forse, anche solo per tornare a divertirsi davvero: Alonso se ne sta semplicemente tornando a casa sua.
Torna in quella F1 che per anni ha insultato - nei team radio migliori delle ultime stagioni - e che per anni ha rincorso cercando il suo posto. È stato quando non l’ha più cercato, quando non l’ha più voluto, che abbiamo capito cosa l’assenza di questo pilota significasse per lo sport. Torna (magari con la Tripla Corona) perché non è pronto a lasciare quel primo amore e forse noi non eravamo pronti a quel mezzo addio di due stagioni fa. Ci serviva qualcosa di più, ci serviva la favola di questo ritorno alle origini che, andrà come andrà, ci ridarà Fernando Alonso. Insopportabile, incazzato, spocchioso, vecchio e bollito Fernando Alonso.