Qualcuno potrà dire che è stata solo l’idea di non avere più nulla da perdere, questo però conta poco: nelle corse è sempre il cosa e quasi mai il come. Fabio Di Giannantonio sta arrivando a Valencia come uno di quelli buoni, di quelli che le gare le vincono davvero. Uno che, in altri tempi e con altre tempistiche, sarebbe finito in una squadra ufficiale. Dopo aver recepito l’idea di essere rimasto a piedi, in Giappone, ha corso sempre bene, un quarto posto in Indonesia e un podio in Australia hanno fatto pensare che quella Honda così difficile e affascinante per storia e blasone Marc Marquez l'avrebbe lasciata a lui. Un incubo durato poco quello di restare a piedi, eppure da quest'incubo Diggia non si è ancora svegliato: Alberto Puig pare aver scelto Luca Marini e l’idea della VR46 è quella di prendere Fermín Aldeguer, Tony Arbolino, direttamente Moto2. Fabio è tornato in apnea e ha fatto, ancora una volta, l’unica cosa possibile, giocandosi tutte le carte che gli restano. In Qatar è il migliore sulla Ducati dal primo turno del venerdì, sensazione che concretizza con il secondo tempo a fine giornata. Fuori dalla Q2 ci sono il compagno di squadra Alex Márquez, Marco Bezzecchi, Johann Zarco ed Enea Bastianini.
Quando arriva davanti ai microfoni di Sky lo fa con un sorriso a metà: “Abbiamo fatto un ottimo lavoro per tutta la giornata, sono sempre stato veloce ma anche io faccio molta fatica, è un po’ il tema in questo momento”, le sue parole ad Antonio Boselli. “Con qualunque gomma tu giri lei cala molto, stiamo lavorando per minimizzare questa cosa soprattutto in vista della gara lunga”. Poi parla delle gomme tra cui sarà difficile scegliere e della pista che sembra un’altra, ma su cui è comunque bello girare perché la riasfaltatura e i diversi lavori - che hanno cambiato la conformazione di alcune curve e tutti i vecchi riferimenti - sono stati fatti a regola d’arte.
Il punto però è tutto verso fine intervista, quando Meda gli dice che in un momento come quello che si è trovato a vivere sarebbe difficile per chiunque continuare ad andare avanti: “È importante fare al massimo quello che ti piace, io lo sto facendo anche perché la situazione è un po’ surreale. Voglio crederci fino in fondo finché c’è un minimo di speranza voglio crederci. Con il lavoro stiamo venendo fuori e quindi vediamo, darò il massimo fino all’ultimo”.
È un discorso così facile quando lo senti da fuori che rischia di passare per una banalità. Se ci sei dentro, invece, è un esercizio complicato, frustrante. Fabio è al limite, un piede fuori dalla porta, eppure è ancora lì a dare tutto. In questi giorni a Torino si gioca il grande tennis e lì, dove la mente soffre quanto il corpo, questa roba fai fatica a vederla: c’è chi urla al pubblico, chi rompe a calci una racchetta. Fabio sta raccontando un’altra storia. È un concetto che va oltre lo sport perché agli sportivi è permessa la rabbia, lo scatto d’ira viene accettato e anzi spesso non si aspetta altro. Vedere il mito rimpicciolirsi e cadere, offrendo uno scorcio di umanità, è uno dei momenti caldi dello spettacolo. Difficile dire se questa sarà l’ultima stagione in MotoGP per Fabio, eppure accorgersi di quello che sta facendo in questi mesi è sempre più facile: rimpiazzato da un fuoriclasse come Marc Marquez e costretto a scontrarsi contro sette diavoli bolognesi, Fabio Di Giannantonio ha deciso di fare l’unica cosa giusta, correre. Più in fretta e al meglio delle sue possibilità, mentre la gente urla il suo nome e impara a conoscerlo, lui che arriva da lontano e che in questa MotoGP si è sempre trovato a guardare gli altri. Roba vera, forte, da gladiatori al circo pronti a dare il sangue per l'intrattenimento altrui, come raccontano ai bambini nella sua città. Una volta che c'è il talento, una strada per esprimerlo si trova sempre.