Iniziamo con una enorme e doverosa premessa: tutti questi ragazzi sono dei fenomeni. Se sei nella categoria di vertice del Motomondiale, ancor di più, se sei nella MotoGP di oggi, quella del 2020, sei proprio uno dei più forti, forti, forti che ci sono in giro. Arrivi lì attraverso un processo di selezione che passa per l'essere uno dei più veloci un campionato tipo il CEV, per diventare uno dei più vincenti della Moto3, per essere, infine, uno dei pochissimi che riesce a fare il salto, fino a raggiungere la top class. Se poi fai parte di quel centinaio (suppongo) di persone che, nella storia, ha vinto più di una gara in carriera, beh, diciamo che già così puoi ritenerti soddisfatto.
Ecco, fatto salvo, quindi, quanta bravura ci sia anche in lui, da queste parti, negli ultimi giorni, è capitato di porsi con sempre maggiore insistenza il seguente interrogativo: ma non è che, in questi anni, Mavrick Vinales sia stato un pochino sopravvalutato?
La domanda, come direbbe il - su queste pagine citatissimo - signor Lubrano, sorge spontanea. Ed è sorta spontanae, in particolare, dopo Jerez/2, anche se un po' aveva iniziato a serpeggiare, già dopo Jerez/1, prima di deflagrare in tutta la sua attualità al termine il GP di Brno conclusosi ieri.
Il punto, fondamentalmente, è questo: da anni, Maverick Vinale è designato a più riprese, in più frangenti, in differenti occasioni, come un potenziale contendente per il titolo, e da altrettanto tempo questo tipo di affermazioni vengono puntualmente smentite nel giro di un paio di corse.
Consideriamo soltanto i suoi anni in MotoGP.
In sei anni nella classe regina, Vinales ha vinto sette gare, di cui una in Suzuki e due nelle prime due gare in Yamaha ufficiale. Volete sapere quante gare ha vinto Valentino Rossi nello stesso periodo? Sette.
Vinales, senza dubbio, è un pilota velocissimo, ma possiamo sostenere che questa sia una caratteristica sufficiente per poter legittimamente ambire a diventare Campione del Mondo? Lo sappiamo tutti: la risposta è no. Serve - ancora e, forse, più di tutto - mantenere la calma e riuscire a garantire un rendimento costante: proprio le due le caratteristiche che più sembrano mancare al povero Maverick.
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Nei periodi peggiori in sella alla Yamaha, le sue difficoltà sembravano dipendere dallo scarso feeling con il suo capotecnico, Ramon Forcada, al punto da spingere Vinales ad allontanarlo. Tolto di mezzo Forcada - che, per inciso, è stato capace di convivere per anni con uno come Jorge Lorenzo (vincendoci pure l'impossibile) - tutto sembrava dovesse risolversi, quel magic touch che aveva lasciato tutti di stucco, dopo la pole alla prima gara in Yamaha, sembrava destinato a tornare. Tuttavia, come spesso accade, la realtà è, purtroppo, ben distante dalle aspettative e la carriera di Vinales è continuata fra alti e bassi, secondo un pattern che ricorre con una certa frequenza nei week-end di gara: venerdì carichissimo, sabato insomma, domenica pive nel sacco - peraltro, senza che la motivazione sia, solitamente, decifrabile.
Insomma, Vinales è e doveva essere il primo rivale di Marquez, in questo 2020, il candidato naturale al titolo, probabilmente in compagnia del Dovi, soprattutto a segutio dell'infortunio del pilota Honda. Ma quello che si è visto fino ad ora non ha fatto altro che confermare una buona dose di debolezza, dal punto di vista psicologico, e iedee non chiarissime, da quello tecnico. Vinales ha sofferto pesantemente Quartararo a Jerez: nel primo GP della stagione non aspettandosi un francese così pimpante e, nel secondo, remando non poco, prima di conquistare un altro secondo posto. A Brno la debacle è stata totale, al punto da portare lo stesso Vinales a sostenere che, in questo momento, non abbia senso pensare al titolo, quando si taglia il traguardo in 14esima posizione.
Onesto, senza dubbio. Ma se al titolo non ci si pensa nell'anno in cui la Yamaha sembra la moto migliore del lotto e con Marquez fuori dai giochi, quando bisogna farlo?