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Il mistero sulla foto virale della
gomma di Rossi. Abbiamo chiesto
all'ingegner Bernardelle

  • di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

31 luglio 2020

Il mistero sulla foto virale della gomma di Rossi. Abbiamo chiesto all'ingegner Bernardelle
"Se davvero interessa capire il comportamento delle gomme bisognerebbe monitorarle come succede in Formula 1. Perché una foto scattata dopo il traguardo dice poco o niente". Questo è quello che ci ha detto Giulio Bernardelle, ingegnere del Motomondiale e uno dei massimi esperti del settore. Che aggiunge: "Valentino negli ultimi anni ha perso quella figura di riferimento che nel team si occupa di tradurre le sensazioni del pilota ai tecnici"

di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

Sui social impazza da giorni l’immagine del particolare degli pneumatici di Valentino Rossi e Maverick Vinales dopo il Gran Premio di Andalusia. Una foto in cui la gomma posteriore del 46 sembra decisamente devastata rispetto a quella del suo compagno di squadra. Manco a dirlo, tanto è bastato a scatenare fiumi di discussioni tra analisi oggettive e condivisibili, complottismi vari e prese di posizione da tifosi di una parte e dell’altra. In effetti i due pneumatici uguali non sono e per fare chiarezza siamo andati a disturbare Giulio Bernardelle, ex ingegnere del motomondiale e acclamatissimo opinionista di Moto.it, chiedendogli, appunto, di analizzare l’immagine incriminata e approfittandone per fare due chiacchiere su Yamaha, Valentino, pneumatici e ingegneri giapponesi.

“Che la gomma di Valentino sia ridotta male rispetto a quella di Vinales in questa foto è un dato di fatto – ci ha detto – Ma questo non significa assolutamente niente se non ciò che è noto da tempo: Rossi consuma molto di più la gomma. Inoltre, essendo un’immagine che ritrae i piloti dopo l’arrivo, non è da escludere che Valentino sia passato sullo sporco o comunque fuori traiettoria una volta superata la bandiera a scacchi. Nella zona centrale sembra che abbia addirittura raccolto altra gomma, rispetto a quella di Vinales che è uniforme. Fatta questa premessa, è evidente che confrontando i due pneumatici posteriori ci sono delle differenze importati: una gomma che lavora bene presenta un colore uniforme, una che ha macchie più scure in senso circonferenziale non ha funzionato al meglio. Però è una considerazione generale, nello specifico non è da una foto che si possono tirare conclusioni. Per avere questo tipo di riscontri bisognerebbe fare come in Formula 1".

Cioè?

"Installare delle videocamere che consentano di valutare le condizioni degli pneumatici. Ultimamente la gomma è centrale in MotoGP e monitorarne la performance in favore degli spettatori potrebbe essere interessante anche da un punto di vista di completezza dello spettacolo e non solo strettamente tecnico".

Tornando a Valentino, perché questa difficoltà a trovare il feeling con le Michelin rispetto ad altri piloti Yamaha che invece sembrano andare meglio?

"Perché ha uno stile di guida differente e anche una stazza differente. Il primo incide sulle geometrie, la stazza più su sospensioni e assetto. Non significa che Valentino debba cambiare stile, ma che non è così sconvolgente questa diversità di feeling con la moto rispetto agli altri, perché di fondo ci sono delle differenze importanti proprio tra lui e gli altri piloti. È in questa chiave, quindi, che andrebbe letta anche l’affermazione secondo cui Valentino ha stravolto l’assetto della moto prima del Gran Premio di Andalusia".

Nello specifico cosa significa?

"Significa che Valentino ha probabilmente voluto rispolverare dei setting di base che invece in Yamaha avevano deciso di accantonare sulla base di numeri e dati raccolti. Inteso come impostazioni di base che riguardano in particolare la geometria della moto e che richiedono in lavoro che non si fa al volo".

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Ma se i setting messi in soffitta consentono al pilota di essere più performante, perché non si vogliono recuperare?

"Io non so se non si vogliono recuperare o cosa. Ma sicuramente costituiscono un lavoro in più e in direzione differente a quella comune all’interno del team. Problemi reali di altra natura non credo ce ne siano, è solo questione di organizzazione perché poi nei fine settimana il grande problema è il tempo. Nel senso che si arriva in circuito con moto più o meno già preparate, con una impostazione di base, sulle quali, poi, si possono fare solo piccoli, anche se significativi, interventi. Cambiare geometrie, invece, rischia di essere una scommessa che se si rivela vincente bene, se invece non è vincente è poi impossibile tornare indietro perché ci vorrebbe, appunto, troppo tempo visto il lavoro richiesto. Probabilmente nelle ultime stagioni a Valentino era stato, se non imposto, caldamente suggerito di accantonare i vecchi setting e di lavorare sulla base dei riscontri degli ingegneri Yamaha, con il pilota che aveva forse perso qualcuno in grado di tradurre le sue sensazioni al reparto corse della casa di Iwata. Di fondo dev’esserci stata la convinzione che le impostazioni di base di Vinales, come anche di Quartararo, fossero a prova di bomba anche per Valentino. Ma a quanto pare non è stato così".

Rossi lamenta questo tipo di problema ormai da anni, perché solo alla vigilia del secondo round di Jerez è riuscito a farsi in parte ascoltare? E’ davvero un problema di rigidità degli ingegneri giapponesi come si è sentito dire nell’ambiente?

"Sono un ingegnere e lungi da me parlare male degli ingegneri. Ma è chiaro che chi ha una competenza tecnica specifica tende a ragionare sulla base di schemi che sono frutto di risultati di calcolo e di studio. In Giappone questa caratteristica è ancora più marcata e si affianca ad una sorta di gelosia dei metodi di lavoro che è molto forte per loro. Ho lavorato sei anni in Honda e, ad esempio, lì per quella che è la storia e la tradizione dell’azienda, c’è ancora maggiore rigidità rispetto a Yamaha a condividere determinati metodi di lavoro con ingegneri europei o con tecnici europei che lavorano con il pilota. In questo senso, tornando a Valentino, emerge un aspetto molto particolare e cioè che Valentino Rossi negli ultimi anni potrebbe essersi accorto di aver perso la capacità di essere ascoltato. Non credo da un punto di vista del peso politico, ma proprio della comunicazione e del confronto: avere qualcuno in grado di tradurre in un linguaggio tecnico e specifico le sensazioni e i feedback che lui aveva dalla sua moto ai tecnici Yamaha e a quelli di Michelin. Oggi il capotecnico è in assoluto l’uomo più vicino al pilota, per alcuni è anche stretto collaboratore personale e a volte persino amico e confidente, e la capacità di fare da anello tra chi sale in moto e chi invece la prepara, la moto, diventa assolutamente determinante rispetto al passato".

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