C’è un’immagine, prodotta nella lunga cerimonia dei Caschi d’oro di Motosprint, che resta più impressa delle altre. Succede quando a ritirare il premio tocca a Giacomo Agostini, che si porta a casa uno dei (tanti) riconoscimenti ad una carriera impareggiabile. È l’uomo più vincente della storia delle corse, con 15 titoli mondiali e 18 italiani che lui si preme di ricordare. Come Mino, nessuno. La cosa da sempre lo inorgoglisce al punto giusto: mai al punto da apparire spocchioso, mai con falsa modestia. Sul palco Agostini parla di quel titolo con una moto italiana, a 50 anni da Pecco Bagnaia: “Al tempo ero orgoglioso e felice di portare in giro per il mondo sia il nome italiano del pilota che la tecnologia italiana. Ora sono felice che quest’anno abbia vinto Pecco con la Ducati e che abbia (come faceva Agostini, ndr.) messo il numero uno: lui è il numero uno ed è giusto così”.
È quando parla dei suoi trofei però che accende la curiosità, la voglia di pensare a quella storia così grande: “Volevo fare un museo a Bergamo”, spiega Ago. “Poi alla fine ho deciso di farmi una sala trofei a casa, perché effettivamente se avessi fatto il museo quelle cose non sarebbero state più mie. Quindi ho tenuto tutto a casa e quando sono triste, quando ho il mal di testa, vado e apro la mia sala trofei, guardo il casco - per cui mi hanno offerto una cifra e ho avuto il coraggio di non venderlo - e poi guardo le mie coppe, ne ho trecentottanta. Guardo le mie moto, le mie tute, i miei caschi e le mie medaglie, mi passo il tempo a vedere questo”.
Ecco, a queste parole non serve chissà quale sensibilità per fermarsi un attimo a pensare: come saranno quei momenti per Giacomo Agostini? Lui che entra in casa, si leva la giacca, sospira, si arrovella. Ad un certo punto, con calma, entra nella stanza dei trofei tutta scintillante. È la scena madre di un film, l’arrivo. Lo immaginiamo fermo, a godersi il colpo d’occhio e poi, lentamente, a passare in rassegna quegli oggetti, a ricordare questo o quel momento cercando i suoi preferiti. Il mal di testa un po’ alla volta passa, lui sorride. Lo immaginiamo felice, sì, ma anche amareggiato dalla consapevolezza che di quei giorni non tornerà niente. È unico Giacomo Agostini, e per questo sarà sempre più solo degli altri. In quella sala però, sopportare la solitudine dev'essere un po’ più facile.