Non appena si è diffusa la notizia dell’attacco della Russia all’area ucraina del Donbass, la F1 si è mossa. A dispetto di un passato che l’aveva sempre voluta un pianeta a sé stante, viziato e immerso nel lusso, il Circus non ha temuto di esporsi, condannando in maniera netta e chiara quanto sta avvenendo nell’est dell’Europa.
La più solerte è stata la scuderia Haas, americana ma dotata di un title sponsor russo Uralkali, legato al padre di Nikita Mazepin, attualmente in forza assieme a Mick Schumacher. In accordo con i vertici, i meccanici hanno rimosso dalle due vetture e dai camion gli adesivi del partner, lasciando soltanto il bianco in bella vista.
Un’azione, questa, forte e non da trascurare visto che praticamente il team esiste grazie ai soldi portati dal signor Dmitry, padre del pilota moscovita, nonché presidente della compagnia chimica.
In queste ore di test invernali sul circuito del Montmelo, quindi, la bandiera dell'immenso Paese governato da Vladmir Putin è sparita dai box del Circus.
Per la squadra fondata da Gene Haas nel 2016 non è comunque la prima volta che si presentano problemi del genere. Già lo scorso anno a seguito del provvedimento preso dalla Wada, l'Agenzia Mondiale Antidoping, contro l'utilizzo diffuso tra gli sportivi di Russia di sostanze illegali, era stato imposto il divieto di esposizione del vessillo nazionale, così come dell'emissione dell'inno ufficiale nelle manifestazioni.
In quel frangente però il patron e il team principal Gunther Steiner riuscirono a togliersi dall'impiccio appoggiati dalla FIA, affermando che Corte Arbitrale dello Sport non aveva vietato l'utilizzo dei colori bianco rosso e blu. Ecco perché la macchina potè mantenere la colorazione originale.
Restando in tema scontro bellico, la F1 ha comunicato ufficialmente la cancellazione del GP previsto a Sochi il prossimo 25 settembre.