Daniel Ricciardo ha perso l'attimo. C'è stato un momento, nella sua carriera in Formula 1, in cui l'australiano di Perth era IL pilota su cui puntare. Un giovane rampante dal carattere unico, simpaticissimo, in grado di far innamorare i tifosi con un talento unico, mosse da maestro (ricordiamo la famosa, e ormai scomparsa, "staccata alla Ricciardo") arrivato in Red Bull con la pretesa di battere il quattro volte campione del mondo Sebastian Vettel, passato poi in Ferrari dopo una sola - difficilissima - stagione accanto all'australiano.
A cavallo tra 2013, 2014 e 2015 Daniel era semplicemente il cavallo di razza più ambito della nuova generazione di piloti, mentre il telefono del suo manager non smetteva di suonare. Poi è arrivato Max Verstappen, e le cose sono cambiate. In un mondo veloce come la Formula 1 Ricciardo si è ritrovato incastrato tra i meccanismi devastanti di una scuderia, un'azienda e una mentalità, che vanno ancora più veloci della Formula 1 stessa: in casa Red Bull non importa se hai vinto quattro mondiali, come nel caso di Sebastian Vettel, perché se arriva un pilota più forte di te nessuno si farà problemi a metterti in un angolo.
Quello che Ricciardo ha fatto provare al tedesco però, nel giro di soli due anni, ha dovuto viverlo anche sulla sua pelle. Il passaggio del giovanissimo Max in Red Bull nel 2016, con la vittoria sorprendente a Barcellona dopo il ritiro di Hamilton e Rorsberg, ha stravolto gli equilibri nella scuderia austriaca, portando Daniel a decidere, a fine 2018, di abbandonare il top team e tentare una nuova via in Renault, al grido di "non voglio essere un secondo pilota". Da lì in poi però le cose per il più simpatico del paddock non sono girate bene. Due anni difficili nel team francese, schiacciato a metà classifica e lontano dalle posizioni più interessanti della griglia, fino al passaggio nel 2021 in McLaren, squadra che doveva dargli nuova vita e incredibili possibilità di crescita.
Il licenziamento anticipato dell'australiano, grande soap opera di questo mercato piloti 2022, conferma però quello che da tempo sapevamo: l'arrivo di Ricciardo in McLaren, più che una nuova vita, ha segnato la definitiva fine della sua carriera in Formula 1. Tolto il successo indimenticabile di Monza, lo scorso anno, l'australiano ha sempre sofferto il compagno di squadra Lando Norris, pupillo inglese del team che non è praticamente mai stato messo in difficoltà dall'esperienza, e il talento, di Daniel.
Una serie di risultati clamorosamente negativi e la possibilità di ingaggiare, per il 2023, l’ambitissimo nuovo talento del circus, Oscar Piastri, non hanno lasciato molti dubbi alla McLaren su che cosa fare con il contratto di Ricciardo che lo vedeva impegnato con la squadra papaya fino alla fine del 2023: le due parti hanno raggiunto un accordo economico per togliere il sedile all’australiano e darlo, già nella prossima stagione, a Piastri. Un duro colpo per Ricciardo che si ritrova così clamorosamente senza sedile per la prossima stagione o, se dovesse riuscire a trovare uno spazio, sarebbe comunque relegato in un team minore al livello di Haas o Williams, non esattamente il futuro che fino a qualche anno fa ci si aspettava da lui.
Però è business, è sport, è competizione. E anche se è triste (perché in fondo tutti vogliono bene a Ricciardo) stiamo parlando di Formula 1 e in Formula 1 vale tutto. Però, c’è un però. Perché la McLaren negli ultimi anni ha voluto dare di sé l’immagine di un team particolarmente coeso e affettuoso, una squadra che tiene ai suoi piloti - come visto nel video di addio a Carlos Sainz - che coccola i suoi fans come in una vera community, che non corre e basta ma corre con il cuore. Ecco, il caso Ricciardo ha scoperchiato il vaso di Pandora e mostrato una faccia di questo sport, e di questo business, che non è esattamente quella che i simpaticissimi social media manager vogliono mostrare online.
Sono settimane, se non mesi, che si inseguono dichiarazioni pessime su Daniel, colpi alla schiena ad un pilota che certo in questo momento difficile della sua carriera non avrebbe bisogno di ulteriori pugnalate. Frasi, dichiarazioni e attacchi che rischiano di distruggere completamente la sua carriera futura e la sua reputazione come pilota anche fuori dalla Formula 1. Dal team principal della squadra che dice “finalmente il prossimo anno avremo due piloti capaci” al CEO Zak Brown che prima del licenziamento tuona pubblicamente “non sta facendo quello che ci aspettavamo da lui”.
E poi arriviamo a Lando Norris. Il simpaticissimo, dolcissimo, Lando Norris. Che dopo essersi detto tiepidamente dispiaciuto per il licenziamento di Ricciardo ha iniziato a rilasciare interviste su interviste contro il suo compagno di squadra: “Sono da solo a lottare contro due Alpine”, “McLaren ha fatto bene, c’era un altro pilota molto più forte di lui”, “Non ha mai dimostrato quello che sapeva fare da quando è qui” e così via. Lo pensa, lo dice: evviva la sincerità, per carità. In un mondo di addetti stampa e PR che chiudono la bocca dei piloti con il nastro adesivo isolante per non farli parlare un po’ di sincerità è sempre più che apprezzabile ma l’atteggiamento di Norris denota un clima di tensione, e di malcontento, che dai due più simpatici del paddock non ci saremmo mai aspettati, soprattutto se inseriti in un clima “rilassato” come quello che McLaren ha sempre voluto mostrare al pubblico.
“Non esiste amicizia tra piloti, soprattutto tra compagni di squadra” si dice sempre quando si parla di Formula 1. Ed è vero, perché per quanto ci possa essere rispetto tra le parti il tuo compagno di squadra è, su tutti, il tuo primo rivale. Ma qui non esiste neanche rispetto, o pietà, per un pilota che in oltre un decennio di Formula 1 si è speso e ha regalato grandi emozioni a questo sport e che già da solo, senza l’aiuto di una dichiarazione velenosa dopo l’altra, rischia di lasciare il circus a causa delle sue difficoltà in pista.
A che cosa serve continuare?