Charles e Arthur ridono allo stesso modo. Arricciano il naso nel tentativo di trattenere un suono forte, cristallino. Sono due ragazzi, cresciuti tra le strade di Monaco, con una sola passione e un solo obiettivo: diventare piloti professionisti. Un'eredità che mantiene viva la memoria del padre Hervé, morto nel 2017, pilota arrivato a correre in Formula 3 e soprattutto mentore, in pista e fuori, dei due fratelli Leclerc.
Ragazzi che la scuderia Ferrari ha accolto, tra speranze e aspettative, portando prima Charles nella Driver Academy di Maranello, e successivamente accogliendo anche il più giovane Arthur, che nel 2022 correrà ancora con Prema nel campionato di Formula 3.
Un percorso che, non serve ricordarlo, ha accompagno il più grande dei fratelli fino in Formula 1, nel 2018 con Alfa Romeo, e in seguito in Ferrari nel 2019, dove all'esordio in rosso ha ottenuto i successi di Spa e Monza.
Ma fuori dalle monoposto, senza casco e tute, i Leclerc sono due ragazzi educati e simpatici, un po' timidi. Due fratelli che si raccontano per la prima volta insieme ai microfoni del Magazine ufficiale della Ferrari, in un'intervista di Davide Marchi: "Arthur sa che per qualsiasi esigenza di tipo personale io ci sono - racconta il maggiore Charles - ma quando si tratta di gare, preferisco che trovi la sua strada da solo e che faccia progressi autonomamente, cosa che ritengo molto importante in questo sport".
Un rapporto che lega professionalità, amicizia e rispetto, quello dei due fratelli, con aiuti che non diventano consigli paternalistici, da nessuna delle due parti: "A volte, durante un weekend di gara, quando Arthur sta seguendo la mia corsa di F1 in TV - continua Charles - nota cose che probabilmente io non ho notato da dentro l’abitacolo, e me lo fa sapere, per cercare di aiutarmi. E questo è sempre bello. Quindi il sostegno è reciproco".
A giovare un ruolo fondamentale nella loro amicizia, e nella loro crescita fin da bambini, è stata la grande competitività che li ha sempre contraddistinti: "Il nostro è il classico rapporto tra fratelli che hanno poca differenza d’età. Siamo sempre stati competitivi, soprattutto quando eravamo più giovani. Avendo tre anni meno di me - ha spiegato il pilota Ferrari - mio fratello da piccolo voleva sempre fare le stesse cose che facevo io. Quando avevo otto o nove anni era abbastanza facile batterlo, ma da adulti quel vantaggio di tre anni di età è scomparso e oggi è davvero difficile avere la meglio su di lui, soprattutto a tennis o a padel. Quindi la competizione tra noi è ancora molto forte".
Impossibile infine per i due fratelli non ricordare il padre e il suo contributo: "Mio padre mi ha fatto conoscere il motorsport, quindi non so se sarei diventato quello che sono se non fosse stato per lui. Anche se penso che forse sarei finito comunque a fare il pilota. È nel mio DNA ed è la cosa che amo fare di più. Ma non credo che sarei arrivato in Formula Uno senza di lui. Il suo esempio è stato fondamentale per la mia crescita, come pilota e come persona".