Il calcio disperso nella sua Terra di Mezzo. Stiamo vedendo qualcosa di unico e (speriamo) irripetibile in questo segmento di stagione che si concluderà a fine mese con la fase finale della Champions League. Certamente un altro sport, ma col timore che si tratti di una forma in fase di mutazione e dunque non molto differente da quella del ritorno alla normalità. Benvenuti nel football della fase post-lockdown, il frammento di annata che bisognava portare a termine perché così comandano la ragione sportiva e quella economica. E tutti quanti ci siamo prestati, perché anche noi tifosi o appassionati siamo parte della grande macchina dello spettacolo calcistico. Mai come in questi giorni abbiamo avuto la misura di quanto lo siamo. Perché quelle partite nell'acquario, giocate in atmosfere da un post-guerra agli umani, ci hanno fatto capire molte cose. Soprattutto ci hanno reso coscienti che questo calcio così invertebrato, giocato a ritmi da dopolavoro e inflazionato nella tempistica di calendario, non vorremmo più vederlo. Invece temiamo di dovercelo sorbire da capo quando una parvenza di stagione regolare tornerà. Sempre che una stagione regolare sia alla portata, in questo tempo che ha visto saltare tutti i riferimenti.
Per il momento non possiamo fare altro che soppesare questa cosa amorfa cui assistiamo fra giugno e agosto. Senza che della sua pochezza si possa dare colpa ai protagonisti, ché anzi loro per primi sono vittime e cavie di un meccanismo adottato in corsa. È stato un po' come imporre a un centometrista lo start all'altezza dei 60 metri, pretendendo pure che avesse la spinta necessaria allo sprint. Per capire, basta guardare la tempistica. In Italia i campionati di A e B sono stati fermati nella prima decade di marzo e sono ripartiti nella seconda metà giugno. Dunque hanno osservato una pausa appena più lunga di quella che intercorre fra la conclusione di una stagione (fine maggio) e l'inizio della successiva (metà agosto). Con due sostanziali differenze, tuttavia. La prima: a giugno scorso non è andata in scena una nuova stagione, bensì la coda della precedente. La seconda e più importante: a una nuova stagione agonistica ci si arriva con una preparazione graduale, da iniziarsi con amichevoli disputate contro rappresentative delle comunità montane, mentre in questo caso si è dovuto ricominciare “a tutta”, con partite vere da giocare ogni tre giorni. Cosa mai ci si poteva aspettare, se non il pallone che rotola per ragion di Stato, inseguito da calciatori boccheggianti? Nulla più che un calcio inguardabile, pasticciato, deprimente quanto basta per provocare una diserzione in massa da parte di tifosi e telespettatori. Col rischio di aver stratificato una stanchezza verso il calcio che potrebbe ripresentarsi quando a settembre (di già!) ripartirà davvero una nuova stagione.
Fra l'altro essa ripartirà con la conferma delle cinque sostituzioni a partita. Che hanno un senso per questa coda di stagione, a causa dell'approssimativa condizione fisica degli atleti e delle elevate temperature a affrontare. Ma che da settembre in poi diventeranno soltanto il segno di una volontà d'ulteriore stravolgimento. Quando invece avremmo tutti quanti bisogno di riprendere vecchie certezze. Ma davvero il calcio vuole ancora la sua gente?