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Il bronzo di Simone Biles e le ultime parole famose di Dokovic. O della pressione che no, non è un privilegio

  • di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

3 agosto 2021

Il bronzo di Simone Biles e le ultime parole famose di Dokovic. O della pressione che no, non è un privilegio
Simone Biles vince il bronzo nella trave dopo un'Olimpiade difficilissima, logorata dalle troppe aspettative e bersagliata dalle critiche di chi ritiene la pressione un privilegio. Su tutti Novak Dokovic che, dopo averle fatto la predica, ha sbroccato in campo, chiudendo i giochi di Tokyo senza medaglie ma con una grande lezione da imparare

di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

Lei ha 24 anni, 25 medaglie vinte ai campionati del mondo, 19 d'oro. Quattro ori olimpici, tutti collezionati a Rio dove - a volteggiare e stupire - c'era solo lei. Sei medaglie totali per l'allora 19enne Simone Biles che, il commentatore Tim Dagget, riuscì a raccontare in tutta la sua grandezza in una sola frase "È la festa di Simone e tutti gli altri sono solo ospiti". Da outsider a stella mondiale l'Olimpiade di Simone Biles in questo 2021 non è andata come tutti si sarebbero aspettati da lei: la troppa pressione, l'ansia a confondere tutto, il rischio di sbagliare, farsi male, e la decisione di ritirarsi da quasi tutte le competizioni a cui era iscritta. 

Lui di anni ne ha esattamente dieci in più, 34. E' il numero uno del tennis mondiale, ha ottenuto a Wimbledon il suo 20esimo Slam, raggiungendo così gli avversari di sempre - Federer e Nadal - pronto a superarli presto. Il 2021 gli sorride, in un anno che potrebbe regalargli il titolo più ambito dai tennisti di tutto il mondo: l'inarrivabile Grande Slam. Novak Đoković si giocherà l'Olimpo del tennis nel corso degli US Open, il prossimo settembre, ma a dividerlo dal sogno c'era solo Tokyo e una medaglia d'oro che sembrava essere perfettamente alla sua portata. Vincendo le Olimpiadi sarebbe potuto arrivare ancora più in alto, portando a casa il Golden Slam (tutti gli Slam della stagione e l'oro olimpico) ma le cose, lo sappiamo, sono andate diversamente anche per lui. 

Due sportivi enormi, uniti dall'incredibile capacità di andare sopra a tutto e tutti, sfidare le leggi della fisica, le barriere sociali e le infanzie difficili. Due sportivi che si assomigliano, come assomigliano a tanti altri grandissimi dello sport, uniti tutti da una tempra, fisica e mentale, che non sembra avere limiti. 

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Lei salta, come nessuno ha mai saltato prima, lui riceve, con una forza e una concentrazione fuori dal normale. 

Poi il crack: Simone Biles parla di brutti pensieri, di depressione, di un'ansia che non la lascia. Le consigliano di farmersi per non rischiare un infortunio che, fatto in un periodo di sofferenza psicologica, potrebbe non recuperare più. Si ferma, lancia un messaggio che fa il giro del mondo: "Ascoltatevi, la salute mentale è importante". 

Il mondo si divide tra chi la acclama e chi la critica. Perché i grandi sportivi continuano a volteggiare sopra i problemi, perché Michael Jordan ha fatto questo, perché Michael Phelps ha fatto quello, perché lei sembra una mocciosa che vuole attirare l'attenzione e tutti pensano di avere il diritto di dire a una campionessa olimpica (ricordiamolo: 6 medaglie di cui 4 ori a 19 anni) come si gestisce lo stress. 

Tra questi c'è Novak Đoković, serbo di ghiaccio che non lascia entrare niente, che gode dei fischi del pubblico, che delle rimonte ha fatto un credo, una specialità. Lui alle Olimpiadi vuole lanciare un messaggio all'americana: "La pressione è un privilegio che i grandi sportivi non si possono permettere - tuona il robot del tennis - e io la so gestire". 

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Ma il mondo qualche volta gira al contrario anche quando ti chiami Novak Đoković: perde in semifinale contro Zverev, che in passato ha battuto senza problemi, e poi viene sconfitto nella sfida per il bronzo contro un non brillantissimo Pablo Carreño Busta. Perde il controllo, urla come un indemoniato, spacca le racchette, le lancia, si comporta in modo antisportivo e se ne va, distrutto, ritirandosi anche nella partita di doppio misto e perdendo a tavolino un bronzo che la Serbia si sentiva già in tasca. 

E' la faccia più rabbiosa dell'agonismo, niente di più. Niente che vada giudicato perché anche questa qui, anche quella di Đoković, è una delle forme della pressione a cui sono soggetti i più grandi atleti del mondo. Come quella di Federica Pellegrini, che per un periodo della sua vita ha sofferto di attacchi di panico scendendo in acqua, come quella che il tennista di ghiaccio, Bjorn Borg, sfogava con una maniacalità ai limiti del disturbo ossessivo compulsivo, come quella di Sebastian Vettel, che negli anni in Ferrari si è trasformato da campione che non sbagliava mai a pilota stanco, falloso, dagli errori inspiegabili. 

Ma è anche una lezione, per Novak e per chi, come lui, cade nel facile tranello del "a me non è successo e non mi succederà mai". La pressione è umana, è una spinta, un motore trainante, ma può trasformarsi nel peggior nemico. Agli esordi, all'apice o alla fine di una carriera. Può avere la faccia della depressione o quella dell'ira violenta. 

Non è un'Olimpiade difficile a decretare la grandezza di un'atleta già straordinaria, così come non è sufficiente lo scheletro distrutto di una racchetta, rotta in un momento di rabbia, per fare la morale a un campione titanico e gigantesco. 

Ma Simone Biles torna a casa da Tokyo con una medaglia mentre Đoković solo con una lezione da imparare. Perché a fare la predica agli altri si rischia sempre di cadere dal pulpito. 

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