Il Dottor Claudio Costa, per tutti Dottorcosta, è il medico del motomondiale. Ha dato vita alla Clinica Mobile e ha salvato tanti piloti, ad altri ha permesso di correre quando sembrava impossibile, altri ancora li ha soltanto potuti salutare un’ultima volta. Dopo che Dean Berta Vinales ha perso la vita durante una gara della SuperSport 300 ad appena 15 anni, il Dottorcosta ha raccontato il suo punto di vista sulla tragedia: "Come cosa primaria e principale sono vicino a tutti i cari di questo ragazzo, soprattutto i genitori - ha dichiarato in un'intervista alla Gazzetta dello Sport - ho purtroppo vissuto spesso questi momenti con dei piloti che amavo e che erano miei amici. Oggi la tragedia sconvolge perché fissa il limite delle corse di moto nella moto stessa. Tutti noi negli anni abbiamo lavorato, con l'aiuto dei piloti, di Loris Capirossi, Franco Uncini, la Clinica Mobile per promuovere la sicurezza, ma una certezza assoluta purtroppo non si avrà mai".
Il problema insormontabile nel mondo delle corse, spiega, è nelle moto stesse: “Adesso le piste sono sicure, se non fosse che l'ultimo ostacolo ineliminabile per la sicurezza nelle corse di moto è proprio la moto: è quello l'oggetto che purtroppo crea ancora queste situazioni di tristezza. Un incidente con la moto che ti colpisce è devastante pure a bassa velocità. Quello che la moto può arrecare a un corpo è sproporzionato: il corpo umano diventa impotente a ogni tipo di protezione".
Correre, secondo il padre della Clinica Mobile, è il modo migliore per onorare la memoria di un pilota scomparso: "Stabilito che quel ragazzo faceva quel che amava fare e che stava sorridendo un attimo prima dell'incidente, credo che proseguendo a gareggiare lo si onori di più che fermandosi. È continuando che si tenta di superare la tragedia".
Infine il Dottorcosta entra nel dettaglio delle procedure che, solitamente, vengono messe in pratica dall’equipe medica in casi come questo: "Nel soccorso immediato si cercano sempre delle possibilità di combattere anche l'irreparabile, ma quando la moto colpisce dei punti vitali come la testa e il collo le speranze si riducono a nulla - ha spiegato - In pista il primo intervento è di intubare il paziente per ripristinare il respiro e poi procedere al massaggio cardiaco, se serve. Si giocano tutte le carte per trattenere una vita che va in cielo, ma in casi così gravi è dura. Come medico sono stato il primo a portare in pista il rianimatore per portare soccorso lì dove la vita del pilota poteva essere ancora salvata. Come persona, poi, ho pianto e mi sono commosso ogni volta che ho perso qualcuno dei piloti che erano cari amici: pensando di onorare il loro sogno e il loro sorriso non mi sono però mai schierato fra chi pretendeva di smettere di correre. Purtroppo credo che dovremo continuare a piangere e correre". ha concluso.