Sulle colline di Jerez si sono accampate più di centomila persone nella notte tra sabato e domenica. Non hanno dormito mai, alle cinque del mattino avevano già la torcia dei telefoni accesa per restituire immagini indimenticabili al drone panoramico inviato dalla regia della MotoGP. Dopodiché è sorto il sole sull'Andalusia, e quell'ondata di gente oscura - apparentemente reduce da un rave party - si è rivelata rossa e coperta da cappellini col 93 inciso sulla visiera. Erano quasi tutti lì per lui, Marc Marquez, Jerez 2025 paragonabile ai Mugello d'oro di Valentino Rossi. Sembrava festa annunciata dopo la Sprint del sabato, eppure Marc ci andava cauto: "Domani proverò a vincere sì, ma non sarà facile, questa è la MotoGP".
Sì, la MotoGP resta quello sport in cui destini che sembravano già scolpiti nella pietra vengono rimescolati in un centesimo di secondo. Basta una partenza così così, una lotta subito maschia con Pecco Bagnaia al termine del primo giro - un gomito a gomito col compagno di squadra che ti sbatte la porta in faccia sotto la tua gente - per iniettarti nelle vene una buona dose di prudenza, per infilarti nel casco un ragionamento maturo: "Ok, oggi non viene tutto facile, devo restare sereno, avere pazienza e costruire ogni cosa con calma". Proprio in quel momento di introspezione, di riassestamento, Marc Marquez ha mandato in frantumi il buonumore di Jerez. Terzo giro, curva otto, proprio quella piega mancina che lui riesce a percorrere ad una velocità che tutti i suoi colleghi non si spiegano: la fa come al solito, appoggiandosi al talento smisurato, ma è l'anteriore della Ducati a posarsi sull'asfalto trascinando con sé un pilota tutto rosso che - mentre il catino del circuito intitolato ad Angel Nieto sbarra gli occhi - resta agganciato alla manopola del gas fino a quando la rotolata si arresta nel ghiaione. Il Desmo rimane acceso, Marc riparte dall'ultima posizione con una moto sfondata sul lato sinistro, chiuderà dodicesimo dopo aver registrato al diciottesimo passaggio un 1'37"544, tre decimi più veloce del fratello Alex, in quel momento in testa alla corsa.
"Sono contentissimo per la vittoria di mio fratello, è l'unica cosa che mi regala un sorriso in questa giornata. Ripartire e provare a guadagnare qualche punto era il minimo che potessi fare per i ragazzi del team" - dichiara un Marquez accigliato al cospetto dei giornalisti. Gli viene chiesto se, durante la rimonta, non gli siano ritornate in mente le immagini di cinque anni fa - Jerez 2020 - quando la foga agonistica successiva ad un errore lo portò a rompersi l'omero e complicarsi la carriera ai limiti dell'irrimediabile: "Sì, sì, mi è tornato in mente" - ammette Marc candido. "Stavo rimontando e mi sono detto 'ok, non esagererò'. Vedevo che poco più avanti a Rins c'era un altro gruppo che forse avrei potuto raggiungere, ma ripensando al 2020 ho scelto di starmene buono e di non cadere di nuovo". Mentre pronuncia queste parole, i suoi occhi vengono attraversati da uno strato di sollievo. Sarebbe sbagliato affermare che siamo davanti al classico Marquez, quello che ha in se stesso l'unico vero rivale: oggi assistiamo ad un pilota diverso, che gradisce dominare anche senza la battaglia all'ultimo respiro, che evita di gettarsi a capofitto in una rimonta di non vitale importanza, che sbaglia in maniera differente rispetto agli zeri del passato.

L'errore di oggi è di diversa natura, Marc lo sa ma quasi non se ne capacita: "Per tutto il fine settimana ho girato da solo, da solo da solo, senza tenere conto del comportamento della moto negli scarichi di altri piloti. L'aerodinamica di questi mezzi cambia rapidamente, soprattutto nelle curve veloci come la otto. Errore grave, anche perché quest'anno sto cercando di stare calmo, è la stagione in cui sto cadendo meno, però ho già fatto due errori la domenica, sbagli che non posso più commettere se voglio lottare per il Mondiale. Devo capire il perché di questa caduta, già l'anno passato Pecco è caduto tante volte così". Se Marquez da un lato si arrovella sul dettaglio tecnico che gli ha fatto perdere l'anteriore (quel momento di percorrenza curva senza né freno né gas in mano, probabilmente un nervo scoperto della Desmosedici), dall'altro si pente per un particolare che solitamente non lascia mai al caso: nei turni di libere, da che mondo è mondo, vediamo il 93 mettersi in scia ai più veloci, per studiarli e per rendersi conto dell'atteggiamento della moto senza aria pulita davanti. Questa volta - indicativa del suo stato di dominio - non l'ha fatto e, cosa per lui ancor più grave, se n'è dimenticato nel momento in cui avrebbe dovuto alzare le antenne. Quel terzo giro fatale in cui paradossalmente Marquez pensava più a mantenere la calma e riassestare il suo piano tattico che a guidare. "Le mie due cadute non sono più dovute ad uno che le tenta tutte, che va sempre all-in. Oggi sono scivolato perché stavo guidando troppo easy" - ci dice, prima di chiosare: "Nonostante il disastro, siamo un punto dietro al leader". Il leader è Alex, ora in estasi, anche grazie all'errore del fratello. Lui, Marc Marquez, ha vinto otto gare su dieci. È caduto nei suoi porti sicuri, ad Austin e a Jerez. La cosa oggi lo infastidice, gli ronza in testa, non potrebbe essere altrimenti. Da domani, tutto sommato, amplierà la prospettiva e penserà: "Easy, sarà per la prossima".