Quando Max Verstappen si lamenta di qualcosa l'immagine è sempre la stessa. Arriccia gli angoli della bocca in una sborfia un po' esagerata, alza le spalle e le braccia e inizia con un "Well" allungato. Parla tanto, gli amici e i colleghi nel paddock lo prendono in giro e gli dicono di tagliare corto. In conferenza stampa post Melbourne lo ha fatto, davanti alle telecamere, anche Alonso: "Oh, Fernando deve andare - ha detto Max interrompendo una lunga risposta con considerazioni e critiche post GP d'Australia - allora finiremo di parlarne a Baku". Non molla il colpo, anche quando sembra essere l'unico a cui interesse. E continua dritto, con la testa alta.
L'atteggiamento sicuro Verstappen non ha mai dovuto chiederlo in prestito a nessuno: da quando, arrivato in Formula 1 a soli 17 anni, ha sempre detto tutto quello che voleva, a chiunque. Fregandosi di ruoli, personaggi, gerarchie. Una volta, stanco delle domande dei giornalisti che ogni fine settimana lo interrogavano sulle motivazioni dei continui incidenti in pista, li guardò con aria di sfida: "Se mi fate ancora questa domanda vi prendo a testate". Era già un personaggio, lo è sempre stato.
Le scarpette d'oro ai piedi però hanno regalato a Max, in questi anni, qualcosa che prima non aveva. La sicurezza del numero uno. Fino a pochi anni Verstappen era lo sfidante, il giovane promettente, l'outsider a cui tutto era permesso. Ora no. Da quando nel 2021 è stato costretto a maturare per massimizzare ogni risultato, per resistere al peso psicologico di contendersi il titolo con un sette volte campione del mondo, e affrontare le conseguenze di un primo mondiale vinto tra le accuse di Abu Dhabi 2021, Max è cambiato.
Oggi, come non mai, l'olandese può permettere il lusso della risposta. Mentre la griglia è popolata da piloti a cui viene chiesto di non parlare di diritti umani e politica, la loro coesione all'interno del paddock è più flebile che mai. I meeting tra piloti servono sempre meno, le proteste non si vedono da anni e i soldi, i soldi regnano su tutto. Si pensa a cambi di format, a riduzione di prove libere, a più gare, più qualifiche, più sprint race, più spettacolo ad ogni costo. E tutti dicono sì, signore. Sì a Stefano Domenicali che vuole ridurre le prove libere all'interno del weekend di gara, sì ai cambi di format come quello che vedremo a Imola - con le qualifiche con mescole bloccate - sì alle proposte di una società che ha comprato la Formula 1 in un momento complesso e l'ha rilanciata, donandole una nuova vita.
Così mentre tutti dicono sì, Max Verstappen dice no. A tutto. No alla riduzione di libere: "Una follia in Formula 2, perché dovremmo fare lo stesso? Abbiamo bisogno di provare". No al format che vedremo a Imola: "Inutile e pericoloso, non ha senso". No ai cambi, alle troppe sprint, a un mondo che cambia troppo in fretta: "La Formula 1 non deve perdere il suo DNA, non c'è solo lo spettacolo". E facendolo arriva a una considerazione che per molti è una minaccia ma che per Max è solo l'ennesima verità: "Se la F1 dovesse cambiare troppo potrei decidere di andarmene tra non troppo tempo".
Perché al ragazzo con il numero 1 piacciono le corse, poco altro. È cresciuto con quelle, rinunciando a tanto, spinto da un padre violento e durissimo che l'ha voluto sempre campione. E lui che campione è diventato mentre corre per il terzo titolo di fila nella classe regina si guarda intorno: ha ancora senso, questo mondo? Per lui che vorrebbe il WEC, la 24 Ore di Le Mans, sfide nuove, diverse.
Mentre pensa il 25enne olandese si toglie qualche sassolino dalle scarpette dorate e critica tutti, FIA e Liberty Media comprese. Si complimenta con i suoi colleghi, dall'eroismo dell'eterno Fernando Alonso al talento puro del suo primo rivale Charles Leclerc, si pone domande e si interroga sulle risposte che gli vengono date. Vuole discutere delle scelte viste in pista a Melbourne, dove ha dichiarato che spesso la Federazione finisce per mettersi nei guai da sola senza motivo, e prendersi il tempo per parlarne. Ha l'atteggiamento di una vecchia guardia di questo sport, quello che i tifosi si aspettano da Hamilton, da Alonso, quello che si vedeva in Vettel. È l'unico, tra i giovani della sua generazione, a parlare così.
Perché vuole, così come ha sempre voluto. Aggressivo e sicuro dentro e fuori dalla pista: schiena dritta e occhi piccoli, fissi, sguardo concreto. E perché può, oggi più che mai. Campione in carica, gioiello della sua generazione. Il ragazzo che può parlare.