Irene Aneas non ha ancora trent’anni ma lavora con il motorsport da più di dieci. Ha cominciato nel 2012, vendendo le magliette della MotoGP alle gare. L’hanno presa perché sapeva le lingue, ha studiato quello, e più sai parlare con i clienti più è facile vendere loro qualcosa. Oggi cura tutta la comunicazione del Team Leopard in Moto3, con Dennis Foggia e Tatsuki Suzuki. Era già lì quando, nel 2019, Lorenzo Dalla Porta ha vinto il suo primo titolo mondiale a Phillip Island, il terzo della squadra dopo quelli di Danny Kent (2015) e di Joan Mir (2017). Sui social, qualche settimana fa, ha raccontato di come è passata dal merchandising della MotoGP a tradurre le interviste dei piloti, una bella storia. Così l’abbiamo contattata e ce la siamo fatta raccontare meglio. Lei non lo dice mai, ma lo spiega chiaramente: ci devi credere. Irene la sua grande possibilità l’ha avuta a Sepang, nel 2015, dopo quella gara che rimarrà per sempre una pagina pesante del motociclismo. Ci diamo appuntamento dopo i test di Jerez, chiama lei e dice che è un po’ in ritardo perché è appena uscita da una lunga riunione. Lasciamo da parte tutta la retorica delle donne nel motorsport - un po’ come avrebbe fatto Lenny Bruce nel suo monologo più famoso in un’America degli anni settanta - e cominciamo a parlare. “Sono nata a Terrassa nel 1992, è una città vicino a Barcellona - dice in italiano - Ho cominciato a lavorare nel merchandising nel 2012, forse un pochino prima. Mi è sempre piaciuto il motorsport, soprattutto la Formula 1, e quando è arrivata una piccola possibilità ci ho provato”.
Perché il motorsport?
“Guardo le gare di Formula 1 da quando ho dieci anni, forse dodici. Prima non mi piacevano per niente, mi stufavano proprio. Un giorno il mio babbo mi ha detto ‘guarda, qui c’è un pilota spagnolo. Si chiama Fernando Alonso’. Non so perché, ma in quel periodo ho cominciato a seguire le gare”.
Tu racconti bene la fatica, il lavoro e la determinazione che ti sono servite per arrivare in MotoGP. Come è andata?
“Io lavoravo nei banchetti del merchandising dei piloti e nel frattempo pensavo a come averi potuto fare per riuscire ad entrare nel paddock con un lavoro. L’ho fatto dal 2012 al 2014, poi ho smesso perché, comunque, era un lavoro che facevo anche per pagarmi il master. A casa mia non c’erano tanti soldi, lavorando alle gare mi pagavo gli studi. Mentre preparavo la tesi di laurea il mio professore mi ha detto che Ernest Riveras (Che, in estrema sintesi, è il Guido Meda di Spagna, ndr.) stava lasciano la tv pubblica spagnola dopo trent’anni per occuparsi di Movistár, della parte sportiva insomma. Il mio professore mi ha detto ‘devi parlare con lui, farti coinvolgere’. L’ho contattato con Twitter, e poi piano piano le cose si sono evolute. Ma il primo approccio non è andato bene. Ho lavorato in tv fino al 2018, poi dal 2019 ho cominciato a lavorare per il Team Leopard”.
Come mai la prima volta non è andata bene?
"Non ero preparata. Avrei dovuto fare subito l'interprete in simultanea per il canale ufficiale, ma non l'avevo mai fatto e non mi piaceva. Avevano visto che avevo le basi, ma non ero al livello che serviva in quel momento. Con lo stage, invece, ho iniziato a prendere fiducia. Non avrei mai immaginato di fare la traduttrice in vita mia, e invece... quando sono tornata ho scoperto che avrei potuto farlo molto bene, ma non solo: mi piaceva. Alla fine ho anche lavorato per Will Smith e faccio la traduttrice per Marco Mengoni, ho scoperto quanto fosse famoso solo quando l'ho detto alle mie amiche italiane".
Will Smith?
"(ride, ndr.) C’e un programma spagnolo che si chiama “El Hormiguero” in cui spesso portano degli ospiti da Hollywood. Nel 2018 mi avevano chiamato per offrirmi un lavoro a tempo indeterminato con loro, sempre per fare traduzioni in simultanea. Ma ho rifiutato per rimanere in TV nella MotoGP. Poi, nel 2019, mi hanno chiamato per fare la traduttrice con loro per la puntata numero 2.000 con Will Smith! Il direttore di questo programma seguiva le moto, mi aveva ascoltato e gli piaceva il mio modo di lavorare. Con Mengoni è stato uguale, il suo manager seguiva le moto in tv, aveva bisogno di una traduttrice e mi ha chiamato”.
Torniamo alle moto. Quanto è stato strano entrare nel paddock?
“Il primo anno è stato, diciamo, la scoperta di un mondo molto, molto diverso rispetto a quello a cui ero abituata. Per quanto mi piaccia il paddock, è il posto che può darti più gioie e al contempo può farti soffrire. Devi imparare a fare solo il tuo lavoro e le tue cose, non pensare a cosa possono dire gli altri e non mollare mai, soprattutto - secondo me - devi sapere benissimo di chi puoi fidarti davvero. È un mondo bellissimo perché ti senti in una famiglia, ti affezioni a tantissime persone e passi più tempo con loro che a casa, però allo stesso tempo devi essere furbo e intelligente, imparare a proteggerti”.
Cosa ti insegnano umanamente i piloti?
“La cosa che mi stupisce ancora è vedere ragazzi così giovani con una determinazione così grande e una capacità spaventosa riuscire a gestire la pressione, che è sempre enorme. Hanno una grandissima determinazione, lavorano per un sogno, lo fanno ogni giorno ora dopo ora. Se fai il pilota la tua vita non è normale, ma sei un a persona. Sei un essere umano”.
E tu a loro? Cosa provi a trasmettere ai tuoi piloti?
“Io ho lavorato tantissimo sulla gestione mentale. Per un pilota è importantissimo avere attorno un ambiente positivo, questo fa veramente la differenza in ogni lavoro. Alcuni ti raccontano molto della loro vita, altri meno. Ma loro sanno che io, per qualsiasi cosa, ci sono sempre. In questo sport le persone sono molto importanti”.
Un momento che ti è rimasto un po’ più addosso?
“Il 2019, è stato un anno eccezionale perché Lorenzo Dalla Porta e Marcos Ramirez erano una bella coppia come compagni di squadra. Si lavorava bene, era un bell’ambiente. E poi sai, vincere il mondiale è una cosa veramente particolare. Lorenzo oltre a tutto quello che ha fatto in pista è una persona che lavora tanto, ce la mette tutta: ha una tenacia incredibile. Il 2019 è stato l’anno più significativo, ma anche con Jaume Masia o con Dennis Foggia ci sono stati dei momenti… A volte io faccio pure la bodyguard, quando andiamo in paesi in cui i tifosi sono un po’ matti sono io che devo protegge loro. Comunque ci litigo anche coi piloti…”
Si? Per esempio?
“Mi ricordo nel 2020, sia con Masia che con Foggia: impazzivo per spiegare loro che non potevano andare alle interviste con la tuta sportiva. Gli dicevo di andare con dei pantaloni lunghi o dei jeans, roba del genere. Sai, ci tengo”.
E prima di Leopard?
“Facevo le traduzioni simultanee, preparavo i reportage, facevo la giornalista. Facendo la traduzione simultanea ero abituata a sentire molto bene i piloti nella mia testa. Potevo sentire il loro modo di parlare, di respirare, di pronunciare le parole. Tantissima gente non mi conosce ma io ho la loro voce in testa”.
Chi è Valentino Rossi?
“Valentino a me è sembrato sempre uno molto carismatico, uno che sa sempre cosa dire, sempre sul pezzo. E poi, quando diceva una frase un po’ più… Devo ammettere che mi piacevano tanto le situazioni in cui c’era un po’ di bagarre: era più divertente, no? Lui sapeva come dirlo, gli bastava dire poco per dire tutto. E si vedeva che aveva lavorato tanto su quello, è molto intelligente. C’erano delle cose - ma voglio vedere come lo scrivi - che poteva dire solo Valentino. O che, magari, dette da un altro pilota avrebbero avuto tutt’altro peso. Però Valentino questa cosa se l’era guadagnata”.
Anche Marc Marquez è molto bravo a comunicare: si pone come uno che sta facendo una festa, che sta vivendo il sogno. Anche quando ha i suoi momenti duri.
“Marc Marquez secondo me è cresciuto in un mondo in cui gli hanno spiegato come reagire a determinate situazioni. C’è da dire che i piloti sono un esempio per tanti ragazzini… la gente che si lamenta del fatto che i piloti non dicono più nulla, ma ci sono modi e modi per dire le cose. Marquez ha imparato molto bene che dietro di lui ci sono moltissime persone che lavorano: sponsor, soldi e tutto il resto. Lui sa di rappresentare tutta questa cosa ed è molto bravo a gestire la situazione”.
Come hai vissuto tu il Sepang Clash, il finale di stagione del 2015 tra loro due?
“Una cosa del genere non era mai successa. Siccome in TV è sempre tutto organizzato, quando succede un evento straordinario tutti devono lavorare insieme per gestire la situazione. Lì era tutto improvvisato, bisognava reagire veramente in fretta. Quel giorno però il traduttore ufficiale, che lavorava per un’agenzia esterna, ha deciso di andarsene. Il suo orario di lavoro era finito, non aveva intenzione di fare altro e se n’è andato a casa. Mi ha detto che ‘ci sono momenti nella tua carriera in cui, anche se hai fatto quel lavoro per 25 anni, ti fanno innervosire, io me ne vado’. Così mi sono trovata a farlo io, era la mia opportunità. Non dovevo farlo bene, di più”.
Quindi hai cominciato a lavorare davvero come traduttrice nell’intervista dopo lo scontro a Sepang?
“In un certo senso sì, ed è stato molto stressante. Non sapevamo cosa avrebbe detto Valentino, era arrabbiato e sapevo che quello che avrei tradotto sarebbe stato ascoltato e ripreso da tante persone in diretta. Ero tranquilla e andavo avanti, perché sapevo che ce la dovevo mettere tutta e lavoro molto bene sotto pressione. Ma, per farti un esempio, io sapevo che Valentino diceva ‘La coscia, la coscia’ e io traducevo con ‘la gamba’, avevo paura di travisare le parole di Valentino. Non avevo mai fatto un intervento così lungo, al massimo avevo fatto tre minuti in diretta, ma questo è durato 53 minuti. Sapevo che quelle parole avrebbero fatto il giro di tutti i giornali e così è stato. Però poi mi hanno detto che ce l’avevo fatta, che dall’anno successivo sarei stata la traduttrice ufficiale”.
È vero che bisogna essere raccomandati per entrare in MotoGP?
“Io non sono mai stata raccomandata. Vengo da una famiglia molto tranquilla, umile. Non avevo contatti se non quelli che ho creato io, mi ha aiutato molto il non aver paura di fallire. Ci ho provato sempre così, direttamente. Non bisogna mollare, quando ho contattato Ernest Riveras mi ha fatto fare una traduzione simultanea e non è andata bene.Poi però ci ho provato una seconda volta tramite uno stage, ho fatto un secondo tentativo: ci sono persone che mollano dopo un primo no, ma secondo me se sai fare bene il tuo lavoro, sei tenace e non ti spari sui piedi puoi farcela. Dipende molto dalla tua attitudine. Non devi mollare, ma se hai qualcosa che può fare la differenzia devi sfruttarla. Ci sono tantissimi giornalisti al mondo, ma io per esempio avevo una laurea di traduzione e un master in giornalismo e sapevo che era una carta da giocare”.
C’è tanto, in un weekend di gara, che non viene raccontato. Cos’è per te?
“Dietro tutte le persone che lavorano nel paddock c’è una famiglia, una vita privata. L’impegno mentale e fisico che fai per andare alle gare - ti svegli presto, viaggi tanto - è difficile da immaginare. Il sabato di Jerez per esempio sono arrivata in albergo a mezzanotte e alle cinque meno un quarto mi sono alzata per andare in pista. Poi magari devi ripartire in fretta, ti ritrovi a mandare un comunicato stampa dall’aeroporto perché hai un volo. E succede che non stai mai a casa, noi abbiamo voglia di farlo perché ci piace questo lavoro, ma lo show non è tutto. Magari devi lavorare quando sei malato, quando ti succede qualcosa. La competizione non ti aspetta, non si ferma per te. Quello che non si vede è il livello di stress e concentrazione mentale per tutti quelli che lavorano lì dentro”.
Leopard andrà in MotoGP a prendere il posto di Suzuki?
“A quanto ne so io ancora no. Ci sono sempre state delle voci, ma davvero non lo so”.
Per la tua carriera però potrebbe essere un altro punto di svolta.
“Per qualsiasi persona in questo ambiente arrivare in MotoGP è un sogno, ma al momento io mi trovo davvero molto bene con la squadra in Moto3. Quando lotti, quando vinci e anche quando le cose vanno male le emozioni sono sempre molto forti”.
Quest’anno lo vincete il mondiale con Dennis Foggia?
“Spero di sì. Lui è fortissimo, ce la può fare. Deve avere tutto a posto”.