Sedersi al tavolo di un bar per parlare con un pilota della MotoGP è sempre un privilegio. Se poi non è solo un bar ma il Deus di Milano e quel pilota è Danilo Petrucci, che oltre ad aver vinto nel motomondiale ha vinto anche alla Dakar, le cose sono diverse. Dell’evento organizzato da Paolo Ianieri, Gli Esploratori dei Deserti, vi parliamo qui. Questo è quello che è successo subito dopo, quando abbiamo passato una mezz’ora con Danilo per questa intervista. Lui vive un momento d’oro perché adesso è libero: ci aveva visto bene Emanuele Pieroni, che dopo le difficoltà nella seconda giornata tra le dune dell'Arabia Saudita aveva scritto Non giocate il SuperEnalotto perché lo vincerà Danilo Petrucci. Mai come uno se lo sarebbe potuto immaginare, ma è successo.
“È bello MOW, lo leggo volentieri - esordisce Danilo - Anche perché lo stile è un po’ quello che va seguito, la cronaca ormai la vedi in televisione. Invece quello che dà gusto è raccontare un po’ più le emozioni, quello che le persone non vedono. L’appassionato vuole vedere queste cose”.
Hai appena detto che in MotoGP l’ultima cosa che fa un pilota è andare in moto e quando ti hanno chiesto cosa si fa in MotoGP hai risposto ‘le riunioni’. Cosa vuol dire?
“In MotoGP il tempo che vai in moto è niente rispetto a quello che spendi per fare il pilota. E intendo in generale, ma anche nel weekend di gara. Mi sono reso conto che passavo più tempo a guardare i dati che a guidare. Per analizzare un giro da un minuto e trenta magari stai dietro al computer per un’ora. Magari c’è una curva in cui prendi due decimi perché non so, Miller la fa in un altro modo. In un’altra sei più veloce tu, poi quella dopo la fa bene Dovizioso…”
"Vale è un grandissimo appassionato di moto. Quando vai a casa sua lui sta guardando il CEV. Capito?"
Finisce che diventi matto?
“Eh, alla fine è un po’ come giocare ai videogiochi. Te sei li seduto con loro, ti spiegano come fare e poi devi riuscire a farlo sopra alla moto. Prima del covid c’erano anche un sacco di incontri con gli sponsor, riunioni, discorsi tecnici… In MotoGP sei responsabile del miglior prodotto di una casa. Stai guidando un pezzo unico, la miglior tecnologia che un marchio può costruire. Magari hai davanti il meglio che la Ducati possa umanamente concepire e lo guidi tu. Hai in mano il lavoro di un centinaio di persone, però a conti fatti ti resta davvero poco tempo per guidare. Mi divertivo di più a casa allenandomi con la moto da cross perché giri, fai… Guidi anche più d’istinto. In MotoGP se segui l’istinto puoi andare forte un giro ma non sai perché, c’è sempre un metodo. La bravura del pilota è mettere il proprio talento al servizio della moto, capire come usarla. Magari vuoi entrare in una curva a dieci chilometri più forte, se però poi esci venti chilometri più piano è frustrante. C’è tanto metodo e poco istinto, ma quando scappi via da un leone non è che usi il metodo. Nel giro di qualifica deve venirti tutto naturale e a volte è un casino”.
L’altro giorno Lorenzo Baldassarri, passato in Supersport, scriveva che finalmente ha ritrovato il gusto per la guida. Magari la forza di un Marquez, per esempio, è che a lui piace proprio tutto il processo.
“Anche a me piaceva molto, mi piace ancora. Il problema è quando non trovi soluzioni. Hai un’equazione che continua a cambiare e non ne vieni fuori. Se ti trovi a ripetere questa cosa ogni due weekend è veramente complicato”.
È tutto in quel piccolo momento in cui ti torna indietro tutto? Penso ad arrivare al Mugello con la Ducati davanti al resto del mondo.
“Certo, ed è una cosa che faccio veramente fatica a realizzare, figurati a spiegarla. È un’emozione. Io del Mugello mi ricordo esattamente la gara, il momento in cui ho tagliato il traguardo e quando ho realizzato di aver vinto. Mi ricordo il giro d’onore, ma dal momento in cui sono arrivato al parco chiuso ho un vuoto enorme. Soprattutto i momenti sul podio, ed è una cosa veramente spiacevole. Mi ricordo quando ci sono salito, le migliaia di persone lì sotto, ho pensato ‘cazzo, è successo, è vero’. Mi sono girato a destra e sinistra e c’erano Dovizioso e Marquez, sotto ci stava tutta quella gente, migliaia di persone. Ma non mi ricordo di quando mi hanno dato la coppa, la cerimonia. Ho un ricordo di quando sono sceso giù dal podio, che ho fatto un passo e mi sono detto e adesso per risalire qui? Chissà che mi dovrò inventare, chissà se mi ricapita’”.
"Non siamo mai stati ricchi e per fare lo sport delle moto i miei si sono tolti tutto"
Mi ricordo bene quando sei entrato alla San Donato passandoli entrambi.
“Era da tredici giri che ero davanti a tirare come un matto. Loro sul rettilineo si nascondevano, non volevano passare. Io puntavo alla volata, invece al penultimo giro mi passano a fuoco, uno a destra e uno a sinistra. Ho pensato che anche un terzo posto mi sarebbe andato bene, però sapevo che c’erano un paio di punti in cui passare. Mentre penso questa roba freniamo e vedo loro due che vanno larghi, è stato proprio facile. In quell’ultimo giro ho pensato che sarebbe bastato rifare le stesse cose perché non avrebbero potuto passarmi. E così è andata”.
L’altro giorno Marc Marquez diceva che se avesse paura di correre lascerebbe il posto a un altro.
“La paura secondo me ce l’hai, poi c’è il coraggio”.
Che te la fa affrontare.
“Secondo me è tutto lì. Anche perché se non avessi paura saresti un folle. In MotoGP non vai a 300 Km/h tra le case come al Tourist Trophy, io quel coraggio lì non lo avrei. Quando sei in MotoGP hai anche l’istinto di conservazione che ti dice ‘perché devo cascare?’ Quando sei lì non vuoi finire in terra. E combatti con te stesso, ma tante volte hai paura: quando perdi la moto c’è un secondo che ti sembra un’ora, non sai dove vai a finire. Lì hai paura, non dà gusto. Anche Marquez secondo me ci combatte con questa cosa, la differenza che faceva lui quando ci correvo contro è che lui agli ultimi giri non aveva paura di cadere. Aveva talmente tanto controllo della moto che poteva tirarla su”.
Quando sei tornato dalla Dakar cosa ti hanno detto a casa?
“Prima di partire erano un po’ spaventati. Mia mamma soprattutto, non lo diceva ma lo lasciava intendere tra le parole. Mio papà invece è quello che mi ha fatto iniziare a correre, lui è più racing”.
Faceva finta di niente?
“Si, si! Invece mi hanno raccontato che mia mamma ha dormito meno di me durante la Dakar. Se io partivo alle 4:40 lei si svegliava alle 2:40 per vedere la mia freccetta. Le ho detto che non serviva”.
È come quando sei ragazzino e vai a ballare, che torni tardi la sera e la trovi lì che ti aspetta.
“Eh, quello! - ride - Invece il giorno di capodanno, prima di partire per la gara, mio papà mi manda un messaggino. Io ero in tenda e l'ho letto subito, diceva così: ‘Negli anni Ottanta uscì questa moto di Yamaha France, Sonauto (Yamaha XT 660 Sonauto, 1987, ndr.) Ho fatto i salti mortali per prenderla, mi piaceva da matti. Adesso vedere Danilo Petrucci inscritto alla Dakar - lui si chiama come me - è una roba incredibile’. A me ha fatto venire i brividi, perché i miei genitori hanno fatto veramente tanti sacrifici per farmi correre. Vederli tribolare così tanto non era bello. Non siamo mai stati ricchi e per fare lo sport delle moto, che invece è da iper-ricchi, si sono tolti tutto quello che avevano. Quel poco che potevano fare, tra vacanze e vita normale, non l’hanno mai fatto per farmi correre”.
Come te la vivi dentro questa roba qui? Ci pensi quando sei alle gare?
“Non ci pensi tanto quando vai alle gare, è una cosa che ti gira in testa giorno per giorno. Magari una volta vuoi dire al tuo preparatore che in palestra non ci vai, nessuno ti viene a prendere per i capelli. Ma mio padre per farmi correre non poteva dire ‘oggi io al lavoro non vengo’. Quella roba lì te la ricordi, dentro lo sai anche se a volte non ci pensi. Ti senti un po’ in debito, ecco. Non è che loro mi abbiano insegnato cose incredibili, però mi hanno insegnato a fare il mio lavoro, mi hanno visto felice di correre in moto e hanno fatto tanti sacrifici. Li ho fatti anche io, perché attraversi periodi della vita, quando cominci ad avere 12, 13 anni, in cui vedi i tuoi amici che cominciano a uscire la sera e tu devi andare alle gare. Magari vuoi diventare campione del mondo ma stai facendo l’italiano minicross, sei ben lontano da quella roba lì”.
Però alla fine è andata bene, dai. E forse tutto questo ti ha dato quella grinta per rimanere lì, anche con una moto che rispetto alle altre non andava manco a calci. In America ci vai per sentirti un po’ più libero?
“Ci vado a livello personale, è il mio sogno americano! Poi non hai quelle pressioni, anche se essendo un pilota della MotoGP è normale che tutti vengano a guardare come vado io. L’impegno però è diverso rispetto al mondiale Superbike, quello sarebbe stato come continuare in MotoGP. Volevo un po’ di pausa, divertirmi. E per questo ho scelto Dakar e MotoAmerica, per il momento non ho altri piani”.
Quindi adesso non hai l’intenzione di correre nel mondiale Superbike.
“No, al momento mi godo quello che ho fatto. Il mio sogno era quello di vincere la MotoGP. Quel sogno non lo posso più realizzare e ora voglio divertirmi”.
Tu hai sofferto parecchio al pensiero di non avere il fisico adatto alla MotoGP?
“Si, tanto. Ma so che comunque non avrei potuto farci niente. Alla Dakar quando avevo tre litri in meno nel camelback mi sentivo più leggero. Immagina averne 15, di chili in più. E lo sapevo. Nei periodi in cui ho provato ad essere più magro possibile, che avevo il 7% di massa grassa, pesavo due chili in meno di adesso, mica venti. E stavo male. Non riuscivo a guidare, ero nervoso, triste. Adesso ho il 9% di massa grassa, sto bene e peso 80 Kg. Rispetto a un pilota della MotoGP me ne ho ancora quindici di troppo, ma alla fine ho accettato quello che sono. Chiaro, mi sarebbe piaciuto pesare 60 Kg per capire come sarebbe andata”.
Domanda che arriva direttamente dai piani alti di MOW: ha più donne un pilota della MotoGP o uno della Dakar?
“Devo dire che un pilota della MotoGP piace, ma quello che mi ha dato la Dakar non me l’ha dato nessuno. Fa molto appeal, non mi lamento. Alla Dakar sei nel deserto, non c’è nessuno. In MotoGP quando esci dal box trovi un bello zoo”.
Ma com’è la storia delle ombrelline in MotoGP?
“È un po’ una leggenda, perché la maggior parte di queste ragazze lavorano in agenzia e una volta fatta la sfilata in griglia chiudono l’ombrello e se ne vanno. Te finché non finisce la gara pensi a correre e quando torni al box al massimo trovi i meccanici che preparano i camion - ride - ci devi lavorare prima! Io non sono mai stato uno così, mi è sempre piaciuto coltivare i rapporti e la storia pilota-ombrellina non mi ha mai dato gran gusto. Ci ho provato eh, però sai, non è il mio stile”.
Continuiamo su questa linea. Tra KTM e Ducati e come se avessi moglie e amante, ma quale delle due è la moglie?
“Sto decidendo! Sicuramente ringrazio entrambi per le opportunità che mi hanno dato. Per me è stata veramente dura lasciare KTM, così come lasciare Ducati. Sono stato l’unico nella storia a vincere sia in MotoGP che alla Dakar, quindi mi piacerebbe correre nella velocità con Ducati e nello sterrato con KTM, devo tanto a tutti e due. Nonostante i problemi che abbiamo avuto, che sono anche normali, devo dire che sono molto legato a loro. E quelle sono le uniche moto che personalmente ho in garage, quelle che compro”.
MotoGP 2022: come la vedi?
“Una bella battaglia, come sempre. La Honda è tornata molto forte, la Ducati ha fatto uno step a livello tecnico molto importante e anche Bagnaia è cresciuto tanto. Poi Martín, Bastianini… Marquez, Quartararo”.
Marc Marquez andrà forte quest’anno?
“Secondo me si. Vuole tornare a vincere ed è da due anni che non ci riesce. Io comunque tengo per Miller, con lui ho un rapporto speciale. Un po’ mi spiace dirlo perché dopo ci sono Bagnaia, Mir, tanti piloti di cui sono amico. Comunque da cinque o sei anni, da quando hanno cambiato le regole è proprio difficile capire chi può vincere. Da fuori è proprio bello”.
Da dentro un po’ meno vero?
“Eh si, ti tira il culo. Il giorno in cui non sei a posto invece di essere quinto ti ritrovi quindicesimo. E a lavorarci ti ammazza, lo odi. Da vedere però è una figata, è proprio come deve essere. Comunque con Miller avevo un rapporto speciale, era l’unico assieme a Valentino con cui magari dopo la gara ci andavamo a bere due birre”.
A proposito di Valentino, come pensi sarà la MotoGP senza di lui?
“Non lo so, però sicuramente ha trascinato un’epoca. Sarà bello lo stesso, per me è bellissimo aver corso 10 anni con lui in MotoGP e averci fatto tantissime battaglie. Mi ci sono giocato il primo posto ma anche il sedicesimo, quello che non pigli neanche un punto. Abbiamo fatto una battaglia a Misano da crepacuore tanto per farla, per il gusto di guidare. Io posso solo dire che Valentino è un grandissimo appassionato di moto. Tu vai a casa sua e lui sta guardando il CEV. Capito? Pensi chissà cosa, invece lui guarda una gara che magari è di due anni fa. È un grande appassionato e questo ha fatto una grande differenza. Puoi solo essere innamorato della moto per fare cose così”.
Come te che sei andato a correre la Dakar.