Ho tifato perché italiano, a parte il nome preso dal padre americano, Marcell Jacobs è italiano al cento per cento, visto quanto deve a sua madre Viviana Masini (e ora anche alla moglie Nicole Daza, che gli ha dato due figli, il terzo per lui, che era già papà a 19 anni). Se è un nome, poi, lo deve all’atletica italiana. Oggi c’è chi sputa sentenze, gente senza cuore, Jacobs va rispettato perché ci ha regalato due ori olimpici a Tokyo 2020, nei 100 metri piani e nella staffetta 4X100, ed è campione europeo dei 100 metri piani a Monaco 2022, e ci vuole rispetto per chi ci ha portato questi risultati. «Potevo stare a casa, ci ho voluto mettere la faccia», dice ora rivolto ai soliti odiatori di professione. E ho tifato per Jacobs anche per tifare contro di loro, quelle persone che in questi ultimi periodi come oggi hanno esultato sul web mentre sui giornali leggiamo della «stagione deludente di Marcell Jacobs… che deve fare a pugni con una serie di guai fisici vivendo più bassi che alti». E non sono mancate le gufate: «I risultati visti fino ad ora non fanno di certo ben sperare».
Certo non c’era cattiveria, ma quella precisione chirurgica nella cronaca non incoraggia. E poi si sono aggiunti quelli che della cattiveria hanno fatto una professione per essere considerati almeno un briciolo: “sei spacciato”, “sei senza talento”, “sopravvalutato”. Ma Jacobs a Budapest ha avuto davvero coraggio, non si è tirato indietro, ripete «ci ho messo al faccia», e questa è una grande lezione al di là del risultato, per noi e per chi il coraggio non lo apprezza. Il suo allenatore di Tokyo, Paolo Camossi, l'allenatore del doppio oro olimpico, del resto lo aveva previsto anni fa dopo le Olimpiadi 2020: «Inevitabile che adesso tutti aspettino l'errore perché farà più rumore». E così è stato. Ma Marcell non si è fatto abbattere ed è tornato a gareggiare, anche prevedendo il risultato. «È stato emozionante sentire la gioia scoppiarmi nel petto quando sono entrato nello stadio, percepire l’adrenalina nel corpo, sentire il calore del pubblico e vedere gli sguardi degli avversari. Quanto mi mancava!», ha scritto tempo fa Jacobs, «E immancabili sono arrivate le critiche, gli attacchi, le prese in giro di chi non sa e nemmeno immagina quanto possa essere complicata la vita di un atleta professionista. In un attimo tutti i risultati raggiunti sembrava non valessero più niente». Ed ecco la frase che più mi ha impressionato: «Mi dispiace molto, perché sarebbe bello se in momenti così complicati potessi essere sostenuto».
Ecco, io credo che ci sia il dovere di sostenere chi ha saputo dare, ha avuto, e per una serie di cause indipendenti dalla sua volontà (come problemi fisici o psicologici) sta vivendo un momento in salita. Marcell non è il superuomo descritto alle Olimpiadi di Tokyo, ma semplicemente un uomo. E l’ha sottolineato lui stesso: «Voglio ricordarvi che sono un essere umano e spingo il mio corpo a dare il 110% continuamente, e sudo, fatico e sputo sangue ogni singolo giorno della mia vita per raggiungere obiettivi davvero sfidanti… Ho tante paure, ma sono consapevole di tutte quelle, tantissime, che ho affrontato e superato. E rinascerò ancora, superando gli ostacoli che la vita mi sta di nuovo mettendo davanti». Per questo a Budapest Jacobs ha vinto due volte, sul destino e in pista perché esserci è stato tantissimo quando altri ti davano per finito. Concludo con le sue parole: «Non permetterò mai a niente e nessuno di impedirmi di sognare e di lottare per raggiungere i miei traguardi! E spero di trovarvi ancora una volta al mio fianco». Contaci Marcell, noi saremo con te.
P.S.: un’ultima frase che ho trovato sul web: odiare è gratis, capire richiede tempo e cervello, e quello, forse, manca a troppi.