“Avrei potuto restare a casa, considerando la stagione. Invece ci ho messo la faccia, perché i miei avversari parlano troppo e volevo far capire loro che non temo di affrontarli, non temo eventuali sconfitte e non ho paura di nessuno”: ai Mondiali di atletica leggera di Budapest, a margine della semifinale dei 100 metri piani nella quale Marcell Jacobs non è riuscito a guadagnarsi la finale (10”05 il suo tempo, peraltro il migliore del suo 2023), il campione olimpico in carica ha spiegato così come vede il bicchiere. Mezzo pieno o mezzo vuoto? A metà, e ognuno scelga il resto. Jacobs lascia parlare, ma il dato fattuale è che, tra infortuni e problemi fisici vari – a Budapest finalmente, ed è una rarità, lo si è visto correre senza tape – e considerando anche i mind games di rivali che sembrano snobbarlo, dopo le Olimpiadi che lo hanno consacrato leggenda è sparito dal radar dei migliori nella distanza più iconica dell’atletica.
Sempre lontano dai migliori dieci tempi stagionali a livello mondiale, lontanissimo dalle condizioni fisiche debordanti di Tokyo (vale la pena ricordare la sequenza dei tre record italiani battuti uno dietro l’altro: 9”94 nelle batterie, 9”84 in semifinale, 9”80 in finale, e tutti dietro), a Budapest – dove punta ora alla 4x100 – Jacobs questa volta ha voluto esserci comunque. Anche per testarsi, visto che ai Giochi di Parigi manca un anno (la finale del 100 piani sarà il 4 agosto) e ha bisogno di correre gare vere. La prossima sarà verosimilmente nella tappa della Diamond League in Cina, a Xiamen, tra meno di due settimane, con vista possibile sulla finale di Eugene. Ecco, il punto è questo: vederlo correre con regolarità, a prescindere dai tempi. Ciò che fa specie, infatti, è che dopo l’oro di Tokyo Jacobs ha corso i 100 metri in appena dieci occasioni. Non una di più. La sua miglior prestazione da allora è sempre stata più alta dai tempi fatti registrare ai Giochi, batterie comprese. 9”99 (ventoso) in batteria a Savona nel maggio 2022, nella prima uscita sulla distanza dopo le Olimpiadi, quindi 10”04 nella finale del meeting ligure, 10”17 e 10”12 in giugno agli Assoluti di Rieti, 10”04 nelle batterie dei Mondiali di Eugene a luglio, 10”00 e 9”95 agli Europei di Monaco in agosto, con quest’ultimo crono – che gli ha permesso di vincere il titolo continentale – quale suo miglior tempo dell’ultimo biennio, considerando qualli del 2023 (10”21 a Parigi in giugno, 10”15 e 10”05 a Budapest).
Tre volte sotto i 10”, un dieci netto, e i dieci netti sono proprio il tempo limite che serve per qualificarsi a Parigi, cosa che Jacobs ha intenzione di fare già entro la fine dell’anno. Un tempo alla sua portata, in fondo l’ha dimostrato anche la semifinale iridata, e se davvero riuscisse a ottenerlo entro la fine del 2023, avrebbe poi sette mesi per pensare solo alle Olimpiadi. Nel 2021 Jacobs, e il suo tecnico Camossi, furono perfetti nell’approntare un allenamento che lo avrebbe portato a Tokyo in condizioni perfette. Vero è che allora Jacobs non veniva da alcun infortunio e partiva come underdog, mentre oggi le aspettative nei suoi confronti sono altissime e sotto l’aspetto fisico solo ora può dirsi recuperato. Cambierà molto il contesto, insomma, ma oggi c’è anche più rabbia: Jacobs ha frotte di detrattori che, più o meno, lo considerano alla stregua dello Schillaci di Italia 90, uno da una botta di planetaria gloria e basta. Occhio però, perché nel 2020, l’anno prima di Tokyo, Jacobs non era mai sceso sotto i 10”10, poi è diventato leggenda.