Angelo Bonelli non fa sconti al governo Meloni. Conversando con noi di MOW il deputato 61enne, co-portavoce dei Verdi assieme a Eleonora Evi, entra a gamba tesa sull’agenda politica del governo Meloni. Prendendo le mosse proprio dalla questione di questi giorni: il tema del caro-vita, che dalle vacanze alla benzina sta facendo sentire tutto il peso dell’inflazione accumulatasi sui cittadini italiani.
Onorevole, cosa ci insegna a suo avviso la situazione di caro-vita che casi come il boom della benzina rendono manifesti?
Innanzitutto, ritengo che stiamo vivendo la crisi di un modello energetico e di conseguenza anche economico. E il rifiuto di affrontare questa crisi è una delle maggiori criticità di questo governo inadeguato che sull’energia e la transizione ha fatto una scelta non di retroguardia ma da Medioevo. Le posizioni di palese contrasto alla transizione evidenziano questa contraddizione.
Come si manifesta a suo avviso questa crisi?
Prendiamo la questione più ampia rispetto a quella del caro-benzina, il caro-energia: nell’agosto 2022 il gas stava a 330 €/Mwh nel pieno delle tensioni tra Occidente e Russia, oggi è sotto i 40, ma le bollette dei cittadini italiani non sono crollate, tanto che Arera ha stimato un aumento per i prossimi mesi. Idem per la benzina. L’Italia in quest’ottica fa una scelta problematica di volersi costituire come hub del gas e che fa la guerra al piano Fit for 55 dell’Unione Europea. Un contrasto manifestato anche dalla guerra del governo all’agenda sull’auto elettrica portata avanti difendendo ostinatamente l’endotermico. E dunque il modello fondato su gas e petrolio che è in crisi strutturale.
Un problema ecologico ed economico, quindi?
Sì. Chiaramente per noi Verdi il tema ambientale e climatico è ampiamente prioritario, ma questa vicenda ha un chiaro risvolto economico sotto gli occhi di tutti: il modello gas-benzina sta facendo pagare il prezzo agli italiani, ai cittadini e alle Pmi. Il governo Meloni ha peggiorato la situazione con la scelta di fare saltare la tassa da 8,7 miliardi di euro extraprofitti e non può trincerarsi dietro alibi di qualsiasi tipo. Anche sul Pnrr emerge una evidente inadeguatezza nell’affrontare un cambio di passo su questioni fondamentali. Sono saltati di recente, a tal proposito, dal Pnrr progetti importanti sul fronte ambientale.
Con il governo vi siete recentemente confrontati sul tema del salario minimo. Come giudica l’esito dell’incontro?
È evidente che sul salario minimo, a parte la barzelletta della convocazione della Meloni che non aveva nulla da dire, il governo sia in grande difficoltà. Non riesce a giustificare seriamente la sua contrarietà mentre noi stiamo raccogliendo centinaia di migliaia di firme e facciamo presente che 21 Paesi europei su 27 hanno adottato questa misura sperimentando mediamente un aumento dei salari. Questo governo, di contro, sta facendo la guerra ai poveri e non alla povertà sociale.
La povertà è un tema annoso e centrale nel Paese…
Non c’è dubbio che ci sia un problema legato alla povertà sociale, oggi acuito per l’emergere del tema dell’inflazione e il basso livello degli stipendi. A cui si aggiunge l’assenza di lavoro in alcune parti del Sud.
Come si può uscire da questa situazione a suo avviso?
Se ne esce con misure di carattere sociale, difendendo il welfare e ristabilendo l’equità facendo pagare di più a chi ha di più per finanziare le misure capaci di rispondere alle sfide che ci attendono. Prima fra tutte quella climatica ed ecologica, per rispondere alla quale non possiamo che costruire una politica energetica seria: basti pensare che nei Paesi europei mediamente le aste per le quote di elettricità da rinnovabili generate col fotovoltaico oscillano sui 15-20€/MwH. Al contrario il modello tradizionale è volatile e costoso. Serve sviluppare un sistema energetico diffuso, capillare, a basso costo e democratico potenziando anche le comunità energetiche. C’è la necessità di investire su nuove tecnologie sulla transizione ecologica per conseguire quell’autonomia e sovranità energetica che oggi evidentemente a modello vigente non abbiamo.
Lei ha parlato della necessità di chi ha di più di dare di più. Questo implica anche affrontare la questione extraprofitti?
È un tema di cui parliamo da tempo. Nella nostra legge sul clima prevediamo di tassare molti extraprofitti di aziende che si sono arricchite notevolmente nell’era del Covid e con la guerra. Tra queste, quelle del settore farmaceutico, energetico e finanziario. L’aumento sconsiderato dei profitti non può scaricarsi sulla collettività.
A tal proposito, come giudica la tassa sugli extraprofitti del governo? L’avrebbe fatta anche lei se fosse stato nell’esecutivo?
Riguardo alla tassa del governo, io l’avrei fatta ma non sul margine d’interesse. Con questa tassa è sufficiente che le banche riducano quel margine per azzerare l’effetto della misura. Temo che finirà come la tassa sugli extraprofitti energetici di Meloni che ha sostituito quella di Draghi: si prevedeva un gettito di 2,5 miliardi di euro previsti entro 30 giugno 2023, ma a quella data ne sono stati incassati solo 80 milioni, rendendo necessaria una proroga al 30 novembre. Vedremo se quella sui profitti finanziari sarà una misura-spot, come temo sarà, o produrrà un gettito maggiore. Una cosa è certa: Italia ha bisogno che chi ha fatto extraprofitti restituisca risorse agli italiani, che hanno bisogno di risorse per costruire una politica di investimento su energia, sviluppo sociale, lotta alla povertà e sviluppo delle infrastrutture.